La Cina sta compiendo un percorso diplomatico e punta a primeggiare all’interno della comunità globale sia come mediatrice nelle situazioni di conflitto o astio, che a livello economico e sociale. Xi Jinping ha iniziato un percorso di avvicinamento ulteriore alla Russia e agli Stati asiatici e medio-orientali, ma anche africani come si è visto chiaramente dal vertice BRICS, per contrapporsi all’Occidente e alla sua visione del mondo dato che Pechino è stata spesso attaccata a causa della violazione dei diritti umani da parte di associazioni umanitarie internazionali.
Durante una rara visita nella regione dello Xinjiang, il presidente cinese Jinping ha esortato i funzionari locali a salvaguardare la “stabilità conquistata a fatica” nell’area. La dichiarazione è attivata mentre crescono le accuse internazionali di abusi contro le minoranze uigure e di altri gruppi etnici musulmani nella regione.
In risposta a quelle che Pechino definisce minacce di “terrorismo” ed “estremismo” degli abitanti locali, il governo cinese ha condotto per anni una dura campagna di sicurezza nello Xinjiang, con arresti di massa e detenzioni in campi di rieducazione politica. Lo scorso anno, un rapporto delle Nazioni Unite ha concluso che le politiche cinesi nella regione potrebbero equivalere a “crimini contro l’umanità”.
La visita di Xi Jinping è la prima nello Xinjiang in oltre un anno e ha avuto lo scopo, molto probabilmente, di sottolineare il pieno controllo di Pechino sull’area, nonostante la crescente condanna internazionale riguardo alle azioni intraprese dal governo per placare quella che è stata definita insurrezione.
Nel suo discorso, il presidente Xi ha ribadito la necessità di mantenere la stabilità politica e sociale, una priorità chiave per il Partito Comunista al governo.
La visita di Xi Jinping nello Xinjiang giunge mentre cresce la pressione internazionale su Pechino per le politiche nella regione. Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a settembre ha concluso che le azioni della Cina contro la minoranza uigura potrebbero costituire “crimini contro l’umanità”. Il rapporto ha esortato la Cina a rilasciare tutti i detenuti arbitrariamente, chiarire il destino di coloro che risultano scomparsi e revisionare le sue leggi sulla sicurezza interna.
Successivamente, gli Stati Uniti e i parlamenti di Regno Unito, Canada e Francia hanno definito la repressione cinese contro gli uiguri un “genocidio”, accuse respinte con forza da Pechino.
Nel suo discorso durante la visita, il primo viaggio pubblico di Xi Jinping nello Xinjiang in oltre un anno, il presidente cinese ha lodato i risultati ottenuti nella regione in materia di sicurezza, ribadendo la necessità di salvaguardare la stabilità.
La tempistica del viaggio, a pochi mesi dal rapporto ONU, sembra voler riaffermare l’autorità di Pechino sull’area nonostante la crescente condanna globale per le politiche contro la minoranza musulmana uigura. La Cina respinge con forza tali accuse, definendole interferenze nei suoi affari interni.
Secondo quanto riportato dall’emittente statale cinese CCTV, nel suo discorso Xi Jinping ha sottolineato l’importanza di dare la massima priorità al mantenimento della stabilità sociale nello Xinjiang, utilizzando questa stabilità come base per garantire lo sviluppo economico della regione.
Il presidente cinese ha inoltre esortato a combinare gli sforzi antiterrorismo e antiseparatismo con il rafforzamento dello stato di diritto. Ha anche chiesto di promuovere una maggiore sinicizzazione dell’Islam nell’area e di controllare le attività religiose considerate illegali.
Citato dall’emittente di stato, Xi Jinping ha affermato la necessità di una maggiore consapevolezza delle difficoltà da affrontare per consolidare la stabilità conquistata con fatica nello Xinjiang. L’obiettivo finale, ha aggiunto, è costruire una regione “unita, armoniosa, ricca e prospera” all’interno del processo di modernizzazione guidato dalla Cina.
Le dichiarazioni di Xi confermano l’importanza strategica dello Xinjiang per Pechino e la ferma intenzione di mantenere il controllo sull’area nonostante le crescenti critiche per le politiche verso le minoranze locali.
Negli ultimi anni, attivisti per i diritti umani, ricercatori e uiguri all’estero hanno accusato la Cina di gravi abusi contro la minoranza musulmana nello Xinjiang. Queste accuse includono la detenzione di oltre un milione di persone in campi di rieducazione politica, lavoro forzato, separazione delle famiglie e distruzione di siti culturali e religiosi uiguri.
La Cina respinge con forza tali accuse, definendole un complotto guidato dall’Occidente. Pechino non nega l’esistenza delle strutture di detenzione ma le descrive come “centri di formazione professionale” necessari per combattere l’estremismo.
Di recente, il ministero degli Esteri cinese ha organizzato una visita nello Xinjiang di circa 40 diplomatici stranieri, tra cui rappresentanti di Pakistan, Malesia, Iran ed Egitto. Secondo Pechino, i diplomatici avrebbero constatato una realtà molto diversa dalle “storie inventate” diffuse dai media occidentali.
Nel suo discorso, Xi Jinping ha invitato a rafforzare una “pubblicità positiva” per mostrare un’atmosfera di apertura e fiducia nello Xinjiang. Allo stesso tempo, ha chiesto di confutare quelle che Pechino considera false narrazioni negative sulla regione. Secondo il presidente cinese, la regione dovrebbe aprirsi maggiormente al turismo interno ed estero.
La regione cinese dello Xinjiang è al centro di un acceso dibattito internazionale sui diritti umani. Secondo ricercatori, attivisti e testimoni oculari, a partire dal 2017 il governo di Pechino ha intrapreso una dura repressione nei confronti della minoranza musulmana uigura che abita la regione.
Si stima che oltre un milione di uiguri e altre minoranze etniche siano stati rinchiusi in una vasta rete di campi di detenzione non del tutto legali e soprattutto non formali. Queste strutture vengono descritte come simili a prigioni, con condizioni durissime di sorveglianza e programmi di indottrinamento politico. Sono presenti inoltre molti resoconti di uiguri costretti ai lavori forzati dentro e fuori la regione.
La Cina respinge con forza queste accuse, definendole inventate e motivata da ragioni politiche. Pechino sostiene che i centri servano per combattere il terrorismo ed estremismo. Ma le testimonianze e le analisi satellitari contraddicono la versione ufficiale cinese.
Oltre ai campi, gli uiguri nello Xinjiang sono soggetti a un invasivo sistema di sorveglianza di massa, con raccolta obbligatoria di DNA e dati biometrici. Migliaia di siti culturali e religiosi della minoranza sono stati distrutti. Nonostante le smentite cinesi, la comunità internazionale denuncia ormai diffusamente quella che viene definita una sistematica repressione della cultura uigura.
La Cina è sotto la lente d’ingrandimento della comunità internazionale per la situazione dei diritti umani all’interno dei suoi confini non soltanto per la minoranza nello Xinjiang ma la metodologia utilizzata nei confronti del diverso o nei confronti dei sottogruppi non è accattata dall’Occidente che la definisce coercitiva.
Le politiche repressive nella regione nord-occidentale dello Xinjiang hanno attirato durissime critiche così come ha scatenato polemiche la scelta di Jinping di adottare una linea durissima anche nell’affrontare il COVID-19.
L’ONU ha espresso allarme per le detenzioni di massa arbitrarie contro la minoranza uigura mentre altre organizzazioni hanno documentato l’esistenza di campi di rieducazione politica. Anche le restrizioni alle libertà religiose e culturali nella regione sono state condannate dalle Nazioni Unite.
Molti paesi occidentali, tra cui Stati Uniti, Canada e Unione Europea, hanno imposto sanzioni mirate contro funzionari cinesi per le politiche nello Xinjiang. Critiche sono arrivate anche da diversi stati a maggioranza musulmana, nonostante l’influenza economica della Cina tenda a limitare le loro denunce.
Ong internazionali come Amnesty International accusano apertamente Pechino di crimini contro l’umanità e genocidio culturale contro gli uiguri. Nonostante la repressione, anche attivisti e dissidenti interni alla Cina continuano a denunciare gli abusi del governo.
La Cina respinge con forza queste critiche, definite ingerenze nei suoi affari interni. Ciò nonostante, è sotto una crescente pressione globale per le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e in altre zone del Paese e ciò potrebbe aver scatenato questa visita che, secondo molti esperti, essere motivazione di altre iniziative simili che puntano a dare un’immagine differente che punta alla coesione e all’uguaglianza.
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