Se ieri l’assenza di Forza Italia in commissione Bilancio al Senato per il voto sul pacchetto di emendamenti al decreto Lavoro è stata un incidente, che si è risolto senza troppi feriti ma solo con qualche polemica, oggi non si può dire la stessa cosa del primo via libera alla ratifica del Mes. La commissione Esteri della Camera, infatti, oggi ha licenziato il testo base, a firma Partito democratico, senza l’aiuto delle forze della maggioranza, che non hanno neanche partecipato ai lavori.
Un problema non da poco, perché i partiti che appoggiano il governo di Giorgia Meloni, tra cui Fratelli d’Italia, ma anche la Lega del ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, che ieri attraverso il suo dicastero aveva dato il parere favorevole alla ratifica del Mes, non sono affatto d’accordo. O meglio, almeno per quanto riguarda lo schieramento della presidentessa del Consiglio e lei stessa, l’idea è quella di prendere tempo nonostante dall’Unione europea si pressi l’Italia perché dia l’autorizzazione al Fondo salva Stati.
Dalle parti di Palazzo Chigi qualcosa sta iniziando a scricchiolare. I suoni poco piacevoli che già si sentivano ieri quando i due senatori di Forza Italia, per un ritardo, per un incidente, per un “cocktail di compleanno” come ha detto il presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa, non hanno partecipato al voto in commissione Bilancio per l’approvazione del pacchetto di emendamenti al decreto Lavoro, sono diventati oggi dei veri e propri rumori, e per giunta assordanti.
Perché dopo il parere favorevole del ministero di Economia e Finanza, guidato dal vicesegretario della Lega, Giancarlo Giorgetti, alla ratifica del Mes in una missiva in cui venivano elencati i pro al farlo, in commissione Esteri della Camera si è dato il prima via libera al testo base del Partito democratico che obbliga l’Italia ad autorizzare la riforma del Fondo salva Stati.
L’okay è arrivato solo dai dem e dal terzo polo, il MoVimento 5 stelle così come l’alleanza Verdi e Sinistra hanno deciso di astenersi, e nessuno schieramento della maggioranza, né gli azzurri, né tantomeno Fratelli d’Italia della presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Carroccio hanno partecipato ai lavori, sintomo che sul tema e sull’approvazione che prima o poi arriverà, vista la pressione dell’Unione europea, si voglia prendere del tempo.
La discussione del disegno di legge, infatti, è stata calendarizzata a Montecitorio per il 30 giugno, ma prima che arrivi in aula devono esserci altri due via libera, quello della commissione Bilancio e un altro della commissione Esteri, che dovrà votare il mandato al relatore, e quindi è possibile che, nei fatti, avvenga proprio quello che la premier si auspica, ovvero che tutto venga rimandato a settembre.
Si deve, infatti, trovare una soluzione. E di questo ne sono consapevoli anche dal Nazareno. In un tweet, la capogruppo del Pd alla Camera, Chiara Braga, ha messo il governo davanti alle proprio responsabilità, e lo stesso ha fatto anche Enzo Amendola, capogruppo, sempre dei dem, nella commissione Esteri: “Nuova puntata della maggioranza sul Mes. Non si presentano in Commissione esteri. Assenti ingiustificati e senza parere del governo. Ora il testo base andrà in aula, ma la questione non cambia: non sanno cosa fare. Siamo in Parlamento, ma loro continuano oltre ogni decenza“, ha scritto pure lui su Twitter.
Il problema, infatti, è proprio che all’interno della maggioranza ci sono pareri discordanti. O meglio, le posizioni vanno tutte per il no, ma si devono considerare i risvolti negativi in Europa. Se Matteo Salvini, leader della Lega nonché ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e vicepremier, è più per la non ratifica del Mes, e infatti a domanda diretta ha risposto che “quella del ministero dell’Economia è un’opinione tecnica. Tecnicamente uno può fare i conti per quello che è il bilancio pubblico, poi politicamente tutto il centrodestra, da Meloni al sottoscritto, ha sempre ritenuto che in questo momento il Mes non è strumento utile per il Paese“, e pure da Forza Italia la linea è più o meno la stessa, con Antonio Tajani, il reggente dello schieramento fondato da Silvio Berlusconi, che ha spiegato che le riserve che loro hanno non sono tanto sul Meccanismo europeo di stabilità, ma sul regolamento “che non pone alcun controllo al fondo“, dal Tesoro, appunto, si sa che cosa rischia a non dare l’autorizzazione.
E lo sa soprattutto Giorgetti che, a quanto hanno raccontato oggi da Repubblica, preferirebbe ubbidire ai dettami dell’Unione europea piuttosto che continuare il tira e molla, indispettendo tanto Meloni quanto il suo numero uno a via Bellerio. Perché al di là del fatto che per lui, e per i suoi tecnici, il Fondo salva Stati mette in sicurezza l’Italia dall’alto debito pubblica, protegge i titoli di Stato e non presenta controindicazioni, il titolare del Mef è stanco di sentirsi tirare la giacchetta, e soprattutto vuole mettere qualcuno dei suoi nei posti apicali.
Il primo è Daniele Franco, suo predecessore al dicastero di via Venti settembre, che è in lizza per guidare la Banca europea per gli investimenti, poi si potrebbe perdere il posto nel board della Banca centrale europea, nel caso in cui Fabio Panetta diventasse governatore di Bankitalia. E non solo, perché per quanto riguarda la Bce, l’Italia sta correndo il rischio anche di essere esclusa dalla battaglia per il consiglio di vigilanza, in cui adesso siede Andrea Enria.
Insomma, il gioco non varrebbe la candela, anche se pure le parole di Giuseppe Conte, presidente del MoVimento 5 stelle, potrebbero far vacillare il governo. All’Aria che tira, su La7, il leader dei pentastellati ha ribadito che loro non cambieranno posizione, e dopo essersi astenuti in commissione, spiegheranno come stanno le cose in aula, ribadendo che il Mes “ha un meccanismo di vigilanza particolarmente stringente e vessatorio che non è stato superato. Il Mes nei fatti si accompagna a uno stigma per cui, paradossalmente, se un Paese lo attiva rischia che i mercati finanziari gli arrivino addosso“.
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