Il problema posto dall’ingegnera è reale: gli under 30 sono davvero sottopagati

È diventato virale il video di una ragazza, un’ingegnera, che in passato ha rifiutato 750 euro netti (con partita Iva) per il suo lavoro in un’azienda che l’aveva assunta in precedenza per uno stage trimestrale. La giovane, di 27 anni, ha spiegato che non si possono accettare determinate condizioni – e chi ha il potere di farlo non deve farlo, appunto -, ma ha anche lanciato un monito alla sinistra, immobile per lei su determinati argomenti. Al di là delle polemiche, la situazione descritta accomuna tantissimi under 30, che in media non arrivano a guadagnare (con le dovute differenze) più di 13mila euro l’anno.

lavoro giovani
Una giovane donna al lavoro – Nanopress.it

I dati del problema, perché di questo si tratta, sono accessibili sul sito dell’Inps, e fotografano un’emergenza, resa ancora più preoccupante dall’aumento del costo della vita in generale, in cui ad avere un peso importante è anche e soprattutto il precariato che non consente a tutti di avere un impiego stabile.

Gli stipendi degli under 30 sono un problema, e l’ingegnera ha ragione

Mentre Giorgia Meloni, la presidentessa del Consiglio, dal palco dell’Auditorio Conciliazione per la kermesse del centrodestra e di Francesco Rocca per le regionali nel Lazio parla (anche) del reddito di cittadinanza dicendo che “dalla fine di quest’anno chi può lavorare lavora” e annunciando che continuerà a prendersi “cura di chi ha bisogno di sostegno“, una ragazza di 27 anni, un’ingegnera per la precisione, ha messo in luce che i giovani di oggi si trovano sempre di più in difficoltà economiche perché, di fatto, gli stipendi che vengono proposti loro dai datori di lavoro non sono sufficienti neanche per pagarsi un affitto.

Non una novità, è vero, e neanche un fulmine a ciel sereno, considerato che, di questi tempi, anche chi non ha sotto i 30 anni è costretto a farsi due conti in tasca in più a causa dell’inflazione e che, come ha detto l’Ufficio parlamentare di bilancio, questa non verrà contrastata con un aumento salariale. Non è una novità, inoltre, perché i Neet in Italia, ovvero le persone disoccupate che non ricevono un’istruzione o una formazione professionale, nella fascia d’età che va dai 15 ai 34 anni, sono tre milioni, il 25% del totale, e gli altri, tra precariato e contratti a tempo determinato (quando ce l’hanno), non se la passano tanto meglio.

need working tour
La tappa inaugurale del truck per il Neet Working Tour promosso dal ministero delle Politiche Giovanili lo scorso anno – Nanopress.it

Basta leggere con attenzione i dati diffusi dall’Osservatorio Inps a dicembre: il reddito medio annuo di un ragazzo dai 20 ai 24 anni con un lavoro dipendente o autonomo è di 11.875 euro, mentre per le donne è quasi la metà, e arriva a 7.948 euro, con una media di circa poco meno di 10mila euro, che non sono neanche mille euro di stipendio al mese, in pratica, e che è sotto anche la soglia di povertà, fissata sempre dall’istituto previdenziale a 10.200 euro circa.

Salendo un po’ con l’età, si nota come la situazione dei lavoratori tra i 25 e 29 anni non sia molto più rosea: con un imponibile medio di 15.629 euro, i giovani devono gioire quando riescono a strappare un contratto o percepiscono un salario che possa garantirgli di portare il pane a casa. Ancora di più, perché, gli over 50, che rappresentano il 40% degli occupati, riescono a guadagnare oltre 26mila euro l’anno, portando di fatto il reddito medio italiano sui 22.588 euro.

Tra i più provati, poi, ci sono i lavoratori a chiamata“, ovvero coloro i quali hanno un impiego solo quando il datore di lavoro ha bisogno e che, quando non ce l’ha, ricevono un minimo indennizzo: loro, nel 2021, hanno percepito redditi per 2mila euro annui. E chi, ancora, ha un lavoro nel mondo dello spettacolo, attori ma anche parrucchieri, make up artist, e ha dai 20 ai 29 anni deve gridare al miracolo se riesce ad arrivare a più di 2.700 euro (sempre all’anno), considerato che lo stipendio medio è proprio quello.

Chi ha una laurea, poi, non può sicuramente definirsi il Paperone della situazione (ed è quello che ha lamentato anche l’ingegnera, che ha rinunciato ai 750 euro netti perché sarebbero serviti a poco). Tra i professionisti che lavorano a partita Iva, e che ricadono nella gestione separata dell’Inps (ovvero non hanno una cassa previdenziale ad hoc), nella fascia tra i 25 e i 29 anni, hanno una retribuzione media di 11.452 euro, contro quella totale che è di 15.701 euro.

Secondo il rapporto 2022 di Cassa forense e Censis, gli avvocati sotto i 30 anni, arrivano a percepire mediamente 13.274 euro, e arrivano poco i 16mila euro quelli che vanno dai 30 ai 34 anni. Poco più di 14mila euro, poi, guadagnano gli altri professionisti under 30, contro gli stessi che hanno dai 50 ai 60 anni che arrivano a 47mila, praticamente più del triplo in più. E al netto di lavori in “nero”, ovvio.

Alla luce di questi dati, è sempre più difficile dire di no a un impiego, anche poco retribuito, tra i giovani

Basterebbero, quindi, i numeri, i dati per rendere giustizia a quanto detto dall’ingegnera di Genova, ma il problema da lei sollevato è anche e soprattutto un altro: l’impossibilità di molti giovani di non poter dire di no a paghe da fame, perché questo sono. Chi, infatti, non ha le spalle una famiglia che può comunque far vivere dignitosamente i giovani senza dover accettare compensi che vanno verso lo sfruttamento è costretto dalle contingenze ad accontentarsi di uno stipendio che in realtà è sufficiente a mala pena a sopravvivere.

lavoro giovani
Una giovane lavoratrice di fronte a un computer – Nanopress.it

E così facendo, si abbassa anche il potere di negoziazione di chi, invece e ancora, può permettersi di non farlo. Perché ci sarà sempre qualcuno disposto ad accettare delle condizioni che vanno oltre l’umano, perché ci sarà sempre qualcuno che, pur di lavorare, dirà di sì. Ma non c’è da prendersela con chi lo fa, perché potrebbe essere (o è) spinto dalla disperazione, c’è da prendersela con chi propone stipendi bassi e con chi permette che si faccia, con chi non mette una pezza in una situazione che ha del drammatico.

E hanno voglia, gli altri, a chiamare i giovani bamboccioni, a puntare il dito se a 30 anni non sono ancora riusciti a lasciare il nido, se non si sono costruiti una famiglia: le possibilità, rispetto a qualche decennio fa, si sono ridotte al lumicino, per chi ha studiato e per chi ha deciso di non farlo.

Impostazioni privacy