A una settimana dalle elezioni politiche, con il nuovo Parlamento che ancora non si è insediato, a tenere banco è la formazione del governo che, quasi sicuramente, sarà guidato da Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia sta avendo dei problemi con i suoi alleati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Se il numero uno della Lega punta al Viminale, il presidente di Forza Italia, invece, non accetterebbe di buon grado che nei Ministeri chiave ci fosse un tecnico – dopo tutto le elezioni le ha vinte il centrodestra. Resta ancora in piedi, comunque, l’ipotesi dei due vicepremier.
Su chi siederà nei vari Ministeri non c’è niente di ufficiale, e ci mancherebbe considerato che il Parlamento ancora non si è insediato, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha iniziato le consultazioni e tantomeno ha detto l’incarico a Giorgia Meloni per formare il governo. Eppure il totoministri impazza.
Chi avrà il delicato compito di diventare il prossimo ministro dell’Economia e delle Finanze? Chi dirigerà la Farnesina? Chi, soprattutto, prendere il posto di Luciana Lamorgese? Gli interrogativi sono tantissimi, tanto per i giornalisti, che provano a carpirci e capirci qualcosa, tanto per la stessa futura prima presidentessa del Consiglio donna della storia della Repubblica italiana.
La leader di Fratelli d’Italia, primo partito stando ai risultati delle urne di domenica scorsa, ha da incastrare diverse tessere di un puzzle in cui i suoi alleati Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non vogliono avere un ruolo marginale.
Il primo, il segretario federale della Lega, punta da tempo immemore a tornare al Viminale, il Cavaliere, invece, vorrebbe che ci fossero meno tecnici possibili, come ha chiarito anche il suo braccio destro e coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, in un’intervista a Sky Tg24: “Noi siamo per un governo politico, poi se c’è qualche personaggio che nella sua vita ha raccolto un’esperienza tale da essere al governo senza stare in Parlamento, può accadere, ma devono essere dei casi, non la regola…“, ha detto.
La premier in pectore, dal canto suo, vuole “un governo di alto profilo“, posizione ribadita anche ieri nel summit ad Arcore con il presidente dei forzisti. Difficile che tutti e tre vengano accontentati, specialmente perché Meloni, si dice, deve anche tenere conto delle richieste che arrivano direttamente dal Quirinale. Ed è proprio il Capo dello Stato che mal digerirebbe un ritorno di Salvini al Ministero degli Interni – soprattutto perché è imputato per sequestro di persona nel caso Open Arms. Non solo: Mattarella avrebbe messo il veto anche per quanto riguarda quelli che vengono considerati i Ministeri chiave.
Insomma, la vincitrice delle elezioni è tirata per il colletto da destra e da manca. Ciò che per lei importa è che si arrivi al più presto a una quadra, perché entro fine mese vuole già iniziare la sua esperienza a Palazzo Chigi, non tanto perché potrà finalmente avere il suo ruolo di potere, quanto perché ci sono i problemi del caro energia che scottano e a cui si deve porre rimedio.
Tornando al totoministri vero e proprio, i nodi sono ai Ministeri degli Interni, degli Esteri e di Economia e Finanza abbiamo detto. I nomi che vorrebbe Meloni se potesse decidere da sola sono quelli di un prefetto al Viminale (in lizza ci sono Matteo Piantedosi, nome che piace anche alla Lega perché già è stato capo di gabinetto di Salvini, e Giuseppe Pecoraro), di Giulio Terzi alla Farnesina e Fabio Panatta al posto di Daniele Franco.
L’ultimo, board della Banca centrale europea, è corteggiato da tempo dalla futura premier e scioglierà la riserva entro questa settimana. Per quanto riguarda gli altri, invece, ci sarà da trattare. Perché nel complicato risiko c’è da dare un ruolo di rilievo anche a Tajani.
Le ipotesi sul tavolo per l’ex presidente del Parlamento europeo sono il Ministero degli Affari esteri, ma anche il posto da vicepremier (ci sarà anche il leader del Carroccio in caso), o male che vada la presidenza del Senato. A confermare che i forzisti vogliono lo stesso peso della Lega nella formazione dell’esecutivo è lo stesso Tajani che ha ribadito (anche) questo concetto, come fatto anche dal Cavaliere: “Pari dignità per Forza Italia, che significa avere un peso specifico analogo a quello della Lega, visto che abbiamo avuto gli stessi voti, penso sia giusto. Fi è determinante, noi abbiamo dato un contributo importante, non secondario“, ha detto.
E quindi anche nella scelte dei presidenti delle due Camere si dovrà tenere in conto di questa volta. Proprio loro saranno i primi a essere decisivi: a Montecitorio, tramontata l’idea di un membro dell’opposizione, quindi verosimilmente del Partito democratico, perché agli alleati di Meloni non piace, potrebbe essere una sfida a tre tra Giancarlo Giorgetti, Riccardo Molinari e Fabio Rampelli, per Palazzo Madama, ancora, si deve decidere tra Ignazio La Russa e Roberto Calderoli.
Saranno loro, poi, i primi a trovare una collocazione, a partire dal 13 ottobre, giorno in cui il nuovo Parlamento si insedierà ufficialmente. A pioggia, poi, verranno decisi gli altri ruoli in questa complicata partita che il centrodestra gioca da primo della classe. Che sia unito e compatto o meno si vedrà, sicuramente avrà molto da penare. E Meloni questo lo sa, così come lo stesso coordinatore azzurro.
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