Sono stati spesi fiumi d’inchiostro dalla pubblicazione del video This is America di Childish Gambino, al secolo Donald Glover. Si sono scomodati critici musicali delle più grandi testate internazionali, definendo il lavoro della canzone e del video, diretto da Hiro Murai, un affresco delle contraddizioni interne agli Stati Uniti d’America. Eppure, è interessante vedere come, nell’era reazionaria di Donald Trump, siano proprio i cantanti di colore quelli che alimentano il dibattito, che denunciano, senza giri di parole, un sistema che si basa ancora sugli stereotipi e sull’oppressione del più debole.
L’America di oggi è quella delle stragi per mezzo delle armi, delle aggressioni mortali ai danni di gente disarmata, ma anche quella che, contro la potentissima lobby del ‘fucile facile’, ha messo in campo gruppi di giovani che dicono basta alle sparatorie nelle scuole. Sull’altare del mondo dello spettacolo, troviamo cantanti rap che svelano quello che molti non vogliono dire e una semplice canzone può diventare una scusa per parlare di disuguaglianza a livello globale. Il Pulitzer al rapper Kendrick Lamar lo possiamo infatti leggere come una legittimazione, anche all’interno dei palazzi di cristallo della cultura, di un tipo di espressione più pop che non ha nulla da invidiare alle canzoni dei cantautori più blasonati.
Il videoclip che ha superato, in nemmeno un mese, 168 milioni di visualizzazioni mostra tutte le contraddizioni americane fin dalla prima sequenza: da una musica corale a una in stile trap. In pochi secondi quella che poteva essere una semplice scena di un video si trasforma in una vera e propria esecuzione di un uomo incappucciato. La critica delle armi c’è già nell’apertura: la cura con cui viene riposta la pistola è in netta contrapposizione alla noncuranza con cui viene trascinato, sullo sfondo, il cadavere dell’uomo a cui Childish ha appena sparato.
I ballerini possono rappresentare il mondo dell’intrattenimento, usato per distrarre dai veri problemi che succedono nel background del video: violenze di ogni tipo si susseguono mentre Childish e i ragazzi in divisa sono impegnati nello loro danze, anche sorridenti. C’è anche chi si è spinto a dire che le macchine usate, vecchi modelli degli anni ’90, se non degli anni ’80, rappresentino in realtà le auto della maggior parte degli americani, in contrapposizione ai modelli nuovi fiammanti che vengono sempre mostrati nei video dei rapper. Una critica al mondo dell’entertainment americano che non fa altro che rendere quasi caricaturale la figura dell’uomo di colore “che spaccia, usa le armi e fa il gangsta”. Le movenze del video si rifanno a una danza africana, il Gwara Gwara, tipica del Sud Africa e ripresa tante volte anche da altre artisti come Rihanna, ad esempio, agli ultimi Grammys. Un’altra scena emblematica è quella del massacro del coro gospel, che ricorda quello di Charleston del 2015, dove Dylann Roof, sostenitore della supremazia della razza bianca, uccise nove persone di colore in una Chiesa. Il videoclip si chiude con il più classico degli stereotipi: un uomo di colore che corre, da cosa non si capisce bene, ma di sicuro l’espressione non è di quelle distese e rilassate (tanto da essere già diventata un meme su Internet). Childish Gambino non è poi solo un rapper ma anche autore e volto della serie tv Atlanta, che ha vinto due Golden Globe e due Emmy Awards, dove racconta le vicende di due cugini che cercano di sfondare nella scena rap della città, consacrandolo come artista a trecentosessanta gradi.
Il regista del video è Hiro Murai, director anche di altri lavori per altri cantanti, come Gold di Chet Faker o Never Catch Me di Flying Lotus e Kendrick Lamar. Lo troviamo qui il collegamento con un altro musicista che più di altri ha dato voce alla questione razziale e che ha avuto il primato di essere il primo rapper a vincere un riconoscimento prestigioso come il Pulitzer. Proprio Lamar, che viene dalla culla del rap ‘gangsta’, la West Coast, che ha fatto del ‘sesso, armi, droga e donne’ la sua firma, ha deciso di appropriarsi invece di quel ramo del genere che preferisce denunciare temi sociali, raccontando anche l’eterna contraddizione tra la vita difficile e la chimera dei soldi facili in contesti complicati. Ha deciso di descrivere quello che vedeva nella sua Compton, uno dei quartieri più difficili di Los Angeles, in California. Una di quelle periferie che può essere accomunata a tutte le altre, dove gli scontri a fuoco sono all’ordine del giorno. Proprio in California, nemmeno due mesi fa, si è consumato l’ennesimo omicidio ai danni di un ragazzo di colore disarmato, eseguito da due agenti della polizia.
L’impegno di Lamar è stato anche apprezzato dal primo presidente americano di colore, Barack Obama. Nel 2016 proprio l’ex uomo più importante d’America si è congratulato con l’opera artistica di Lamar invitandolo alla Casa Bianca, definendolo il suo rapper preferito, con la canzone How Much A Dollar Cost nelle sue playlist personali. Il rap, e i suoi cantanti di colore, tornano ad essere delle icone del dissenso impegnato, della denuncia che tutti possono capire, riportando sul tavolo delle discussioni i nodi mai risolti di razzismo, violenza e risentimento che hanno portato l’America da Barack Obama a Donald Trump. Un passaggio di testimone, dopo quasi cinquant’anni, di quelle stesse battaglie che cantavano artiste del calibro di Nina Simone o Lauryn Hill.
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