Nonostante recenti notizie di un rallentamento nell’arricchimento di uranio, l’Iran ha riferito inaspettatamente che il programma nucleare nazionale sta procedendo secondo i piani stabiliti dalla legge approvata nel 2020 dal parlamento, controllato dagli ultraconservatori.
La dichiarazione è stata rilasciata dal capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana, Mohammad Eslami, durante la presentazione del radionuclide cesio-137 prodotto a livello nazionale. L’isotopo radioattivo ha applicazioni mediche ma si forma anche nelle reazioni di fissione dell’uranio nei reattori e nelle armi nucleari.
L’Iran ha dichiarato di aver continuato ad arricchire l’uranio
La legge del 2020 prevede l’arricchimento dell’uranio al 20% di purezza, ben al di sopra dei limiti previsti dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015, disconosciuto dagli Stati Uniti nel 2018, quando l’amministrazione Trump ha deciso di ritirarsi e imporre sanzioni al regime in Iran.
Le parole di Eslami hanno sostanzialmente avviato così una nuova sfida di Teheran alla comunità internazionale, confermando l’intenzione di procedere con il programma nucleare, nonostante le preoccupazioni sulla possibile finalità bellica e le richieste di un ritorno al tavolo dei negoziati da parte di Washington.
Interpellato sulla notizia di un rallentamento nell’arricchimento al 60% di uranio, il capo dell’agenzia nucleare iraniana Eslami ha ribadito che il programma procede sulla base della legge del 2020, nonostante l’opposizione di nemici come gli Stati Uniti, come concordato all’interno dei vertici di Teheran.
La suddetta legge imponeva di intensificare le attività nucleari oltre i limiti dell’accordo del 2015, nel tentativo di costringere Washington a revocare le sanzioni. Oltre a ciò ha introdotto restrizioni al monitoraggio dei tecnici dell’AIEA, complicando così i negoziati sul nucleare.
L’Iran ha effettivamente iniziato ad arricchire uranio al 20% all’inizio del 2021, superando il limite massimo del 3,65%. In seguito il livello è salito al 60% durante i colloqui con l’Occidente, e Teheran dispone ora, secondo gli esperti, di materiale per realizzare velocemente almeno due ordigni atomici.
Di recente l’Iran aveva rallentato l’arricchimento e diluito parte delle scorte, mosse che potrebbero favorire una distensione con gli USA e il rilancio dei negoziati. Ma le parole di Eslami hanno indicato la volontà di proseguire il programma nonostante le pressioni internazionali.
Secondo diversi analisti, l’accordo segreto tra Stati Uniti e Iran che ha portato al rilascio della prigioniera americana Xiyue Wang, scambiata con uno scienziato iraniano, farebbe parte di un più ampio disgelo tra i due Paesi.
Oltre al rallentamento del programma nucleare, Teheran avrebbe anche limitato l’attività delle milizie filo-iraniane in Iraq e Siria. Una serie di mosse che puntano a ridurre le tensioni in vista di un possibile ritorno ai negoziati sul nucleare entro fine anno.
Per Henry Rome, analista del Washington Institute, lo scambio di prigionieri rappresenta “un passo fondamentale” in questa direzione. I contorni esatti dell’intesa rimangono però poco chiari e avvolti nel mistero e ciò alimenta malcontento tra alcuni esponenti dell’opposizione politica di Biden che è visto come troppo accondiscendente nei confronti dell’Iran.
Quel che appare evidente è la volontà di ambo le parti di allentare il confronto durato anni, in un delicato equilibrio dove la questione nucleare resta il nodo centrale da sciogliere per evitare una nuova escalation di tensioni.
Oltre allo scambio di prigionieri, con il rilascio dello studente cinese-americano e dello scienziato iraniano, Teheran avrebbe liberato un altro cittadino statunitense nel mese di dicembre. Per alcuni analisti, si tratterebbe di segnali di una più ampia cooperazione sui detenuti tra i due Paesi in contrasto.
Sul fronte nucleare, l’Iran avrebbe rallentato il ritmo di arricchimento dell’uranio e anche diluito parte delle scorte, concessioni reversibili che potrebbero creare fiducia in vista di nuovi negoziati.
Inoltre, come sopra menzionato, le milizie filo-iraniane in Iraq e Siria che hanno visto le loro azioni sul campo limitate potrebbero indurre gli Usa a fare concessioni ulteriori. Un tentativo iraniano di mostrare moderazione ed evitare ulteriori tensioni con gli Stati Uniti nella regione.
Nelle questioni che riguardano diritti umani e sicurezza regionale le parti non hanno sicuramente una linea comune dato che si trovano in contrapposizione totale. Un delicato equilibrio dove la questione nucleare resta il nodo principale da sciogliere per ristabilire relazioni meno conflittuali.
Mentre accade questo emerge anche la preoccupazione riguardo alle proteste che potrebbero riaccendersi violentemente a causa delle leggi sempre più restrittive imposte al popolo iraniano e soprattutto nei confronti delle donne e studentesse iraniane, a cui continua ad essere legata all’istruzione e continuano ad essere inoltre colpite le minoranze e soprattutto chi ha ideologia e filo occidentali.
Il regime iraniano teme nuove proteste a settembre
Secondo Yadollah Javani, importante collaboratore della Guida Suprema Ali Khamenei, il regime iraniano resta saldamente ancorato ad una roccaforte, vigilata in ogni circostanza da un gruppo religioso devoto.
Parlando ad un raduno volto a “rafforzare la milizia Basij”, il generale ha affermato che le valutazioni israeliane sulle proteste del 2022 dimostrano il disprezzo per la potenza statale e dall’altro lato l’autenticità degli iraniani religiosi.
Javani ha invitato a diffondere la narrativa del regime, benché ciò possa convincere solo chi già sostiene l’attuale potere. L’uso di un gergo che sembra esprimere opinioni da assediati e minacciati sembra tradire la preoccupazione per le ampie proteste in corso.
Il generale ha suggerito di propagare il pensiero dell’ex comandante Soleimani, le cui attività però sono ricordate soprattutto per il sostegno al terrorismo. Inoltre ha sostenuto che il movimento di protesta mira a seminare ostilità verso i religiosi, mentre gli esperti indicano il malcontento economico come causa principale.
Intanto in vista dell’anniversario della morte di Mahsa Amini, i funzionari hanno avvertito di: “tenere d’occhio ed eventualmente arrestare nuovamente i manifestanti rilasciati.”
Una dichiarazione che tradisce l’apprensione del regime di fronte alle proteste che non accennano a diminuire.
La milizia Basij, forza paramilitare sotto controllo dei Guardiani della Rivoluzione, viene elogiata per la sua devozione nel reprimere violentemente le proteste in corso. Le autorità accusano nemici stranieri di fomentare i disordini, ma gli esperti indicano il malcontento economico e le restrizioni alle libertà personali come fattori determinanti.
Il regime sostiene che i manifestanti nutrano ostilità verso gli iraniani religiosi, ma per molti analisti sono le élite politiche ad aver perso legittimità tra i giovani. Inoltre, l’eredità di Soleimani, che ha speso ingenti somme per finanziare milizie all’estero, è controversa per la popolazione alle prese con difficoltà economiche interne.
Centinaia di detenuti sono stati rilasciati e poi nuovamente arrestati, segno della mancanza di una sincera riconciliazione da parte delle autorità, che temono ulteriori proteste. Ciò è confermato dagli avvertimenti a identificare potenziali manifestanti in vista dell’anniversario della morte di Mahsa Amini, evento scatenante delle contestazioni attuali.
La retorica utilizzata dei funzionari tradisce in realtà l’ansia di voler a tutti i costi mantenere il consenso interno di fronte al diffuso malcontento sociale ed economico. Ma finora la repressione resta la risposta principale.