Lo stato in cui versa la sanità italiana è proprio in questi giorni in forte discussione per via della manovra del governo Meloni. Ad aggravare il quadro, però, ci sono anche i dati del report annuale dell’Ocse che raffigurano una situazione parecchio difficile per il nostro Paese rispetto al resto dell’Ue, o almeno ai suoi principali Stati. Uno stato di cose che è aggravata dagli esiti della pandemia da Covid-19, che comunque ha lasciato strascichi importanti dal punto di vista economico e per la forte pressione sugli operatori del settore. I nuovi investimenti in programma sono al rialzo, ma ancora decisamente insufficienti rispetto alle reali esigenze dei medici. Un vero e proprio tsunami che ancora non ha finito di scorrere.
La sanità, la cara vecchia – o innovativa – sanità. Cosa c’è che conta di più, in proporzione, per il benessere mentale e fisico del cittadino? Beh, ce ne siamo già resi conto durante il pieno del Covid di quale sia la risposta, anche se molti purtroppo se lo sono già dimenticati o hanno scelto – a torto – di scaricare la loro rabbia sociale proprio sugli operatori sanitari, i più vessati dalla precipitazione degli eventi negli ultimi due anni e mezzo. Proprio da lì si doveva ripartire per rafforzare un sistema troppo spesso carente o dimenticato. Eppure, il riavvio non è stato splendente, ma ancora una volta lento. Lo dimostrano le liste d’attesa, sempre più lunghe – o meglio infinite -, ma anche la spesa italiana procapite rispetto alla media dell’Unione europea. Vediamo nel dettaglio quali sono i problemi e quali le differenze rispetto al resto dell’Unione.
L’organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, definita comunemente OCSE, si occupa di redarre degli studi per i Paesi membri in materia d’economia e in particolare per gli Stati che hanno un sistema di governo di tipo democratico e un’economia di mercato. Di conseguenza, si occupa anche della sanità, a livello italiano ed europeo e stavolta il report annuale ha inquadrato un momento parecchio complicato e che non sarà facile risolvere nell’immediato. La fotografia che ha dato l’OCSE è sempre più sbiadita e rovinata, soprattutto non segue il trend di molti altri Paesi europei.
Nel report annuale sulla sanità, di cui si è occupata anche la Commissione europea, l’OCSE ha messo in luce tutte le difficoltà del sistema dopo il Covid, in cui restano veramente poche note positive. Partendo proprio dalla pandemia partita da Wuhan, si evidenziano i danni creati sotto ogni punto di vista in tutti i Paesi europei. Problemi che l’OCSE ha analizzato sotto il profilo della salute mentale e dell’organizzazione generale del sistema. La spesa sanitaria in Italia resta a livelli più bassi rispetto alla media del resto dell’Europa. E non di poco.
Il Pil si è ridotto in maniera molto significativa, ma nel 2020 la spesa sanitaria pubblica e privata è aumenta del 5% in Europa. Alcuni Paesi hanno evidenziato anche una crescita piuttosto significativa, che si attesta in valori superiori al 10%. Non parliamo per forza di realtà superiori alla nostra, ma di Stati come Bulgaria, Ungheria e Repubblica Ceca. In Italia i numeri sono molto diversi: in totale la spesa procapite è più bassa di 550 euro rispetto alla media europea. Cifra che si traduce in un’incidenza del 9,6% sul Pil, contro il 10,9% del Vecchio Continente. Insomma, i numeri parlano da soli. Entrando ancor più nel dettaglio, la spesa sanitaria complessiva, tenendo conto del potere d’acquisto, è stata di 2609 euro. In Europa 3159 euro. E stavolta guardiamo, invece, ai principali Stati dell’Ue per avere un confronto ancora più impietoso: si parla dei 4831 euro della Germania, cifra un po’ più bassa in Francia, che si ferma a 3807 euro.
L’OCSE, però, si è occupata anche di mettere in luce gli investimenti che dovrebbero essere portati a termine, e soprattutto in quale settore. Secondo l’organizzazione, sarebbe molto importante destinare gran parte dei fondi all’assunzione e alla fidelizzazione degli operatori sanitari. E ciò può avvenire solo migliorando le loro condizioni di lavoro, peggiorate ulteriormente dalla pandemia. Viene posto, inoltre, l’accento su quanto sarebbe importante investire in materia di prevenzione. Fino a qualche anno fa, solo il 3% della spesa sanitaria europea veniva destinata alla prevenzione. Dal 2020 in poi, però, la musica è cambiata soprattutto per aumentare il tracciamento e portare avanti campagne di sensibilizzazione durante la pandemia. Vedremo se saranno investimenti a titolo temporaneo o se verranno prorogati ulteriormente. In futuro, invece, bisognerà sempre di più focalizzarsi sulla prevenzione delle malattie infettive non trasmissibili.
L’onda lunga degli effetti del Covid non si ferma qui, anzi adesso arriva la parte più brutta, sicuramente anche la più triste. Nel 2021 è stata evidenziata la riduzione dell’aspettativa di vita nei Paesi europei di addirittura un anno rispetto a quando il Coronavirus non sapevamo neppure cosa fosse. Per l’Italia è dello 0,7%. Si tratta della riduzione più importante dalla seconda guerra mondiale. Altri dati sul Covid rappresentano la situazione drammatica che abbiamo vissuto: si parla di 1,1 milioni di morti nei Paesi Ue. Ed è un dato che è assolutamente sottostimato. Il 90% dei decessi ha interessato persone che avevano più di 60 anni, ma anche in questo caso sottolineiamo un’Europa a due ondate. Gli Stati del Nord del nostro continente hanno avuto dati meno alti rispetto a quelli del centro Europa, quelli a cui è andata peggio: soprattutto in Bulgaria, Ungheria, Croazia, Slovenia, Lettonia e Romania. In questo hanno inciso sicuramente gli standard sanitari garantiti da questi Paesi, ma anche le condizioni pregresse della popolazione colpita dal Covid.
Ciò ribadisce ancora una volta quanto sia importante curare il sistema sanitario, investire per avere la possibilità di curare al meglio possibile lo stato di salute del cittadino. Allo stesso modo, però, la sanità non può essere analizzata a fondo senza curare gli aspetti della salute mentale. E, anche in questo caso, il Covid ci ha dato l’ennesima dimostrazione. Infatti, l’OCSE ha messo in luce i rapporti che la pandemia ha avuto sui giovani e i loro effetti su milioni di ragazzi europei. Stavolta no, non parliamo di terapie intensive, di long Covid e chi più ne ha più ne metta. Parliamo di questioni comunque parecchio delicate, delle attività sociali e educative di cui si sono occupati.
Il dato più allarmante è sicuramente quello relativo alle persone in depressione nei maggiori Stati europei. Ci sono Paesi come Belgio, Francia, Svezia e Norvegia in cui la percentuale di giovani depressi è addirittura raddoppiata, anzi un po’ di più. Molto più alta rispetto agli strati sociali dall’età più avanzata. E tornando alle abitudini assunte dai ragazzi, i dati evidenziano che il rapporto dei giovani con l’attività fisica è notevolmente peggiorato. E, allo stesso tempo, – o di conseguenza – sono state tante anche le abitudini scorrette dal punto di vista alimentare: sono aumentati i ragazzi che soffrono di sovrappeso od obesità.
Inoltre, il Covid ha portato a una richiesta sempre maggiore di operatori per la salute mentale. Richieste che in molti casi non sono riusciti a soddisfare, almeno per il 50% dei giovani presi in oggetto dall’OCSE. I governi di diversi Stati hanno cercato di mettere in atto delle misure per contenere la situazione e per aiutare chi aveva bisogno di sostegno psicologico, ma si tratta di risorse comunque insufficienti rispetto alle necessità dei pazienti. Si consideri che anche nel periodo prima della pandemia, in ogni caso, si trattava di un settore che andava potenziato. Ora anche di più.
I problemi, però, non sono finiti. No, perché c’è qualcosa di ancora più annoso, ormai quasi endemico nella sanità e che non accenna a risolversi. Stiamo parlando delle lunghe liste d’attesa per prenotare delle prestazioni nel sistema pubblico. Un caso di cui si parla da tanto, ma di soluzioni ce ne sono davvero poche all’orizzonte. E, ci ha fatto intendere l’OCSE, le cose con la pandemia sono anche peggiorate. I prolungamenti sono stati addirittura maggiori e sono ricaduti anche sulle cure oncologiche e sulla chirurgia elettiva, in cui i tempi non potrebbero proprio essere così lunghi.
Le lungaggini hanno riguardato anche le cure primarie o lo screening, addirittura le terapie in molti casi e questo fa intendere la gravità della situazione. La ricaduta si è vista soprattutto nel 2020, dove si sono verificate diverse diagnosi tardive di cancro. Anche in questo caso, i Paesi dell’Unione europea sono andati a due velocità. Infatti, dopo i rallentamenti iniziali diversi Stati hanno cercato di recuperare nella seconda parte dell’anno. In ogni caso, la coda lunga delle fasi più calde dell’emergenza si è vista anche lì. Dobbiamo soffermarci su questo punto. I pazienti oncologici – o chi potrebbe esserlo – hanno necessità di monitoraggio costante. Soprattutto, diagnosi tardive di cancro non sono esattamente la stessa cosa rispetto a una diagnosi tempestiva e un trattamento adeguato.
Di conseguenza, la pandemia ha allargato la platea di persone che hanno ricevuta in ritardo l’infausta notizia e questo vuol dire abbassare le probabilità di sopravvivenza e complicazioni per il trattamento. Oltre al senso di sconforto nei pazienti e la sfiducia nel sistema sanitario. Non sono problemi da poco. Così come non è banale il fatto che siano stati eseguiti in tutti i Paesi Ue due milioni di procedure di chirurgia elettiva in meno. È vero che non si tratta di operazioni urgenti, ma comunque raffigurano lo stato di una pandemia che ci ha fermato. E ha bloccato anche gli standard di cura per i cittadini in tutte le altre patologie.
La principale causa della mancanza di un livello di cura adeguato e delle lunghe liste d’attesa, però, resta un altro: la mancanza di medici e soprattutto di medici specializzati. Se ne parla ormai da anni, anche in questo caso, e senza che si sia davvero trovata una soluzione credibile. Senza medici, e con la pandemia di mezzo ad aggravare il quadro, il servizio ha subito ulteriori rallentamenti. E stavolta se non siamo all’ultimo posto in classifica poco ci manca: l’Italia, infatti, è tra i Paesi che hanno fatto registrare i dati peggiori in assoluto. Sicuramente non un vanto, ma vedremo se il nuovo governo e con una fase della pandemia da Covid decisamente diversa saprà dare delle risposte convincenti.
Tra tante note stonate, però, c’è anche qualcosa per cui accennare un sorriso. Ci riferiamo alla digitalizzazione della sanità. Il virus di Wuhan ha portato necessariamente a uno sviluppo sempre più veloce delle teleconsultazioni nel 2020 che ha aiutato a garantire gli standard di cura minimi. Le persone, contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, hanno accettato di buon grado questo stato di cose, tanto che i livelli di soddisfazione per il servizi offerti sono comunque alti. L’Ue ha risposto alla pandemia con l’incremento dei servizi e si tratta di una direzione da cui sarà molto difficile tornare indietro.
Il problema è che comunque, a fronte di un consenso importante, permangono delle diseguaglianze che è difficile placare. Le diseguaglianze sono aumentate e soprattutto a carico dei più anziani, dei più poveri e di chi abita nelle zone rurali.
Un’altra risposta positiva è arrivata dalle campagne di vaccinazione contro il Covid. La somministrazione dei sieri e le risorse stanziate per contrastare la pandemia non sono state investite invano. Infatti, sempre secondo l’OCSE, sono 250mila le vite che sono state salvate. Dati già ottimi e che sono ulteriormente rassicuranti, nonostante le cose non siano andate esattamente come da noi in altre parti dell’Europa.
Infatti, diversi strati demografici sono hanno avuto o non hanno aderito alla campagna vaccinale. Un altro dato importante è che la stragrande parte degli Stati è stata in grado di dare continuità ai programmi della vaccinazione infantile.
L’OCSE consiglia anche di dare particolare importanza ai fattori di rischio che avrebbero potuto complicare i pazienti Covid. Si tratta di patologie come il diabete o lo stato di obesità che sono state dimostrate alla base dei casi più gravi e dei decessi.
A proposito di fattori di rischio, in generale, il consumo di tabacco è considerato uno dei principali rischi comportamentali per la salute dei cittadini. È alla base di 780mila decessi all’anno, secondo gli ultimi dati. Anche l’abuso di alcol continua a essere un problema importante, che causa circa 300mila morti l’anno. A questi vanno aggiunti anche l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici: anche in questo caso – e sono cifre che fanno paura – si parla di 300mila persone che hanno perso la vita. L’Europa, però, si sta già muovendo in tal senso e infatti le ultime stime già mostrano miglioramenti per il calo delle emissioni e grazie al miglioramento della qualità dell’aria. Un altro dato curioso, e allarmante, va assolutamente sottolineato. In Italia c’è il più alto numero di 15enni che fumano cannabis, con la percentuale del 15%.
Insomma, la situazione è ancora più allarmante e l’Italia, l’avrete capito, è dietro rispetto ai principali Paesi europei. Di passi in avanti se ne dovranno fare ancora molti, soprattutto perché dal Covid ora – finalmente e incrociando le dita – se ne sta uscendo. Le liste d’attesa, la mancanza di medici, le necessità dei cittadini e i miglioramenti nelle terapie non sono assolutamente derogabili. Ne va della salute delle persone, che – anche se sembra una frase fatta – è il bene più prezioso. Bisogna accelerare, restare al passo degli altri Stati e tornare a dimostrare che il nostro sistema sanitario è il migliore al mondo.
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