La richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro non può essere respinta automaticamente nel caso in cui lo straniero sia stato condannato per reati minori.
La valutazione della pericolosità sociale del richiedente spetta al questore, il quale sarà responsabile della decisione di rinnovo del permesso, che potrebbe essere negato.
La Corte costituzionale ha emesso una sentenza oggi, con la relatrice Maria Rosaria San Giorgio, dichiarando l‘illegittimità costituzionale riguardo alcune parti del decreto legislativo 286 del 1998, noto come Testo Unico Stranieri. Questi articoli includono le condanne per piccolo spaccio e vendita di merci contraffatte, che impedivano automaticamente il rinnovo del proprio permesso di soggiorno se per lavoro, senza considerare la pericolosità sociale del richiedente e senza una verifica concreta da parte dell’autorità competente.
La Corte Costituzionale ha comunicato che il Consiglio di Stato ha presentato questioni di costituzionalità riguardo a due giudizi originati da ricorsi di stranieri che avevano visto il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro respinto a causa di condanne per alcuni reati. La Corte ha spiegato che il legislatore ha la possibilità di regolare l’ingresso e il soggiorno degli stranieri, ma solo se lo fa in modo ragionevole e proporzionato, bilanciando i diritti e gli interessi in gioco, come già stabilito da varie pronunce e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
In due casi di reati minori, uno riguardante la detenzione illecita di 19 grammi di hashish e la cessione di 1,5 grammi, e l’altro relativo alla vendita di prodotti con segni falsi, l’automatismo del diniego è stato giudicato “manifestamente irragionevole” per diverse ragioni. In primo luogo, per le stesse condanne nell’ambito dell’emersione del lavoro irregolare, il permesso di soggiorno non è automaticamente escluso ma richiede una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero. In secondo luogo, l’automatismo del diniego per stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale e in fase di integrazione sociale, è in contrasto con il principio di proporzionalità come stabilito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Secondo la Corte, in determinati casi la condanna non implica necessariamente una pericolosità attuale del colpevole, a causa della lieve gravità del reato, delle circostanze in cui è stato commesso, del tempo trascorso e del livello di integrazione sociale raggiunto dallo stesso. Pertanto, l’autorità amministrativa che esamina la richiesta di rinnovo di permesso di soggiorno deve considerare questi elementi per evitare di giudicare in modo astratto e lesivo dei diritti garantiti dall’art. 8 Cedu. Inoltre, la Corte ha evidenziato che:
“l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto ad eventuale sindacato di legittimità del giudice”.
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