Nel 2023 potrebbe esserci una recessione globale, lo dicono gli economisti di tutto il mondo. Il rischio c’è e pare che la situazione soprattutto in Europa e negli USA possa essere tutt’altro che idilliaca.
Lo scenario economico globale, dopo la pandemia e la guerra in Ucraina, non è ottimale, questo era già chiaro a tutti. Ma adesso la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente: pare, infatti, che nel 2023 potrebbe esserci una recessione globale.
Il rischio recessione globale c’è e si vede. Almeno è quello che gli esperti giurano di vedere, mentre la guerra continua a generare caos a livello internazionale (vedi importazioni, esportazioni, inflazione e chi più ne ha più ne metta. Prima di addentrarci però in questo bosco, fatto di nebbia fitta e pochi alberi rigogliosi, dobbiamo tentare di capire cosa rischiamo esattamente nel caso in cui questo scenario dovesse presentarsi davvero davanti ai nostri occhi.
Innanzitutto – come ci comunica Wikipedia – con il termine recessione si indica “una condizione macroeconomica caratterizzata da livelli di attività produttiva più bassi di quelli che si potrebbero ottenere usando completamente ed in maniera efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione, in contrapposizione dunque al concetto di crescita economica”. Parliamo quindi di un decremento della produttività e di una contrazione (“decrescita”) della ricchezza. Questa condizione si verifica in pratica quando i mercati subiscono una contrazione che dura da più di sei mesi, cioè per due trimestri consecutivi.
Gli esperti assicurano che tecnicamente questo è un processo che si può collocare all’interno di un ciclo economico, di cui è anche una parte essenziale, considerando che in genere la ricchezza cresce, arriva a un picco massimo, poi decresce, raggiunge il punto minimo (e qui parliamo di recessione) e aumenta nuovamente.
Il problema, però, non è solo quello che accade durante una contrazione del mercato, ma sono le sue conseguenze nel medio-lungo periodo. Sì, perché le sue ripercussioni riguardano gli immobili, i cui prezzi perdono valore, sulle imprese, tra cui soprattutto quelle di piccole dimensioni sono in pericolo, con posti di lavoro a rischio, assunzioni bloccate, ma anche sui mercati azionari e sulle obbligazioni, il cui valore gioco forza cambia (essendo queste viste come più “sicure” rispetto alle azioni) e spesso a un prezzo più basso corrispondono interessi inferiori.
Questo chiaramente è un quadro tutt’altro che idilliaco, che vorremmo tutti scongiurare, ma siamo sicuri che sarà possibile? Attualmente non solo la risposta è no, ma pare che la recessione sia molto più vicina di quanto si possa pensare.
Il Chief Economists Outlook – che altro non è che una survey tra i capi economisti delle maggiori istituzioni finanziarie e aziende – ha parlato chiaro: nel 2023 andremo incontro a una recessione globale, il quadro geopolitico continuerà a essere macchiato da conflitti, la Fed e la Bce continueranno nella stretta monetaria.
Ad affermarlo sono stati praticamente due terzi dei componenti della survey, che l’hanno definita “estremamente probabile” (che potrebbe essere un altro modo per dire che è quasi certa). C’è un dato “positivo” (ammesso che qualcuno possa considerarlo rincuorante): “un terzo degli intervistati ritiene improbabile una recessione globale quest’anno”. Il fatto è che molto dipenderà dalla guerra in Ucraina e da cosa accadrà, indi per cui ovviamente sarà da vedere durante quest’anno qual evoluzioni ci saranno in merito.
Tutti loro invece all’unanimità hanno parlato di crescita debole (anche molto debole) in Europa e il 91% ha parlato di uno scenario simile negli USA. Diversa è invece la situazione della Cina, condizionata in qualche modo dalla politica zero Covid, che da un lato potrebbe dare il via a una crescita economica, dall’altro potrebbe avere ripercussioni sulla sanità nazionale.
A confermare questo dato è stato il Global economic outlook del World economic forum di Davos, che si è aperto proprio oggi e ha già portato cattive notizie (ma anche qualcuna buona, ammettiamolo). L’unica nota non dolente è che gli economisti ritengono che l’inflazione sia arrivata al suo picco massimo, quindi adesso la situazione in questo senso non può far altro che migliorare. Il problema però è che, mentre la condizione globale potrebbe risollevarsi, in Europa non sembrano essere grandi segnali di miglioramento, tra la guerra in Ucraina, il costo dell’energia e delle materie prime alle stelle, la crisi climatica sempre presente.
Come si legge nel rapporto, nonostante il 2023 sia iniziato praticamente da soli 16 giorni, vi è “un forte consenso sul fatto che le prospettive di crescita nel 2023 siano fosche, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti”.
E poi, come abbiamo anticipato, c’è lo spettro della recessione. Di che entità sarà, per adesso non ci è dato saperlo, ma pare che sarà lieve, ma comunque presente. Questo significa che ci sarà un rallentamento, che si inserisce in una crisi economica post-pandemia, che a sua volta si era inserita già – almeno per quanto riguarda l’Italia – in quella già iniziata circa 15 anni fa e nel cui solco si è già inserita anche quella post-conflitto.
Interessante anche il cambio di prospettiva dell’outlook del Wef da settembre 2022 ad oggi. All’epoca – sembra passata un’eternità, ma in realtà sono trascorsi solo quattro mesi – i rischi principali erano costituiti dall’inflazione e dal costo della vita. Oggi, non solo queste problematiche sono ancora presenti – e le famiglie si trovano a fronteggiare costi altissimi sia delle materie prime che dell’energia – ma al contempo devono contrastare anche questa nuova minaccia che incombe.
Le politiche monetarie, però, messe in atto per ridurre l’inflazione, devono ancora produrre pieno effetto e probabilmente lo faranno a breve: quello comunque – a prescindere da quando sarà esattamente – sarà il momento in cui il costo della vita potrebbe toccare il suo picco massimo (e verosimilmente quel momento è imminente). Il 68% degli intervistati, però, prevede che in realtà la crisi entro la fine dell’anno sarà meno grave.
Ulteriori informazioni giungeranno verso la fine della primavera, cioè quando in Europa i Paesi dovranno riempire gli stoccaggi di gas naturale, ma questa volta senza poter contare sulle forniture russe. Restando all’interno del continente, inoltre, come abbiamo anticipato il 100% degli economisti vede un’espansione economica debole, ma a questo dato si aggiunge che più della metà – il 57% cioè – vede un’inflazione ancora elevata per tutto il 2023.
Come si legge nello studio “in risposta ai venti contrari del 2023, la maggior parte dei principali economisti si aspetta che le multinazionali riducano i costi, con l’86% degli intervistati che afferma di aspettarsi che le aziende riducano le spese operative. (…) Circa due terzi degli intervistati (68%) si aspettano che i prezzi vengano aumentati dalle imprese in modo che i costi di input possano essere trasferiti ai consumatori”. Ma non finisce qui, perché ” quasi tre quarti dei principali economisti (73%) hanno affermato di aspettarsi che le imprese rinviino gli investimenti nel 2023 per risparmiare denaro”.
C’è da dire, infine, che l’outlook parla di responsabilità che i governi dovrebbero assumersi, considerando che ormai “l’economia globale si trova in una posizione precaria”. L’inflazione, la bassa crescita, il debito elevato, sono tutti indicatori (negativi ovviamente) che fanno sì che immaginare un ritorno alla crescita sia assai complesso.
Come ha spiegato Saadia Zahidi, amministratore delegato del World economic forum “i leader devono guardare oltre le crisi odierne per investire nell’innovazione alimentare ed energetica, nell’istruzione e nello sviluppo delle competenze e nei mercati di domani ad alto potenziale che creino posti di lavoro. Non c’è tempo da perdere”. In effetti, considerando tutto quello che è successo nel mondo negli ultimi tre anni, sappiamo che davvero il tempo è denaro (in questo caso letteralmente).
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