Ci sono due silenzi assordanti oggi dalle parti del centrodestra. Nel giorno in cui Giorgia Meloni, da presidentessa del Consiglio, va a Kiev, da Volodymyr Zelensky ribadendo la vicinanza dell’Italia alla causa dell’Ucraina nella guerra contro la Russia, la premier non dice nulla quando il numero uno ucraino manda una bordata al suo alleato di governo Silvio Berlusconi, che domenica scorsa, a urne aperte, aveva utilizzato parole poco carine nei suoi confronti. E non dice nulla neanche lui, il Cavaliere, né sulla leader di Fratelli d’Italia, che pure non l’ha difeso, né per ribadire ancora una volta che Forza Italia sta con la maggioranza, ma soprattutto non ha mai fatto mancare il suo supporto, in termini di voti e non solo, per il Paese di Zelensky.
Qualcuno, però, dal gruppo azzurro ha commentato le parole del presidente dell’Ucraina. Lo ha fatto il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo, e lo ha fatto anche il vicepresidente del Senato in quota Forza Italia, Maurizio Gasparri, e la linea è stata la medesima: ribadire che Berlusconi in alcun modo è contro Kiev, piuttosto si auspica che presto si arrivi alla pace, come per altro già detto dallo stesso Cav per rispondere alle accuse del Partito popolare europeo, di cui per altro lo schieramento fa parte, e di cui lui stesso faceva parte fino a quando non è diventato senatore.
Va tutto bene, più o meno, dalle parti del governo. Giorgia Meloni, presidentessa del Consiglio, la prima donna a diventarlo, sempre più in alto nei sondaggi con il suo Fratelli d’Italia, è andata a trovare in Ucraina il presidente, Volodymyr Zelensky, portando la testimonianza che dalle parti nostre non tentenna minimamente l’appoggio al Paese in termini di solidarietà, ma anche soprattutto di armi, indispensabili per portare avanti una controffensiva che dura da un anno e che in qualche momento si è anche avuta la sensazione che potesse essere più efficace del resto.
Ecco, va tutto bene nonostante in quella stessa visita, nel momento della conferenza stampa, quel presidente, sempre Zelensky, ne approfittasse per parlare, ancora una volta, delle parole che Silvio Berlusconi, alleato della premier e leader di Forza Italia, un tempo anche lui di casa a Palazzo Chigi, ha pronunciato domenica 12 febbraio, nove giorni fa, e quando si dovevano ancora contare le schede elettorali per le regionali in Lombardia e nel Lazio. Neanche troppo carine, in effetti, quelle parole, che erano proprio sul presidente, sempre lo stesso sì.
Stavolta non c’era nessun riferimento a Vladimir Putin, nessuna vodka spedita per il compleanno, a cui si era risposto con del vino, solo il fatto che lui non ci sarebbe andato a parlare con il signore in questione, ma per lui “bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e il conflitto non sarebbe accaduto“. Parole che, stavolta, non sono passate inosservate né a Kiev, che aveva già risposto, né al Parlamento europeo, e a cui il Cavaliere aveva controreplicato dicendo che la pace è l’unica cosa che vuole, e che il partito non ha mai fatto mancare nulla in termini di sostegno, con o senza voti, sempre presenti da parte di chiunque siede tra le fila degli azzurri.
Più o meno la stessa cosa che dicono ora alcuni esponenti di spicco di Forza Italia, sia Alessandro Cattaneo, il capogruppo alla Camera, sia Maurizio Gasparri, infatti, alla contro contro (contro, e potremo continuare all’infinito) replica del numero uno ucraino: “Io credo che la casa di Berlusconi non sia mai stata bombardata, mai siano arrivati con i carri armati nel suo giardino“, hanno risposto riproponendo la stessa musica. “Auspicare che parta un processo di pace, in un momento – ha aggiunto il deputato – in cui si parla di invio di aerei di combattimento e c’è chi paventa l’uso dell’atomica, non è cosa insensata“.
Il vicepresidente dei senatori, invece, ha detto loro sono “preoccupati soprattutto del rischio di una escalation militare e Berlusconi si sta ponendo il problema. Lui sta sempre una casella avanti e come è successo nel 2001 a Pratica di mare e poi con Gheddafi, anche ora con le sue dichiarazioni sull’Ucraina ha dimostrato che si pone la questione su come si possano avviare i negoziati“. Inattaccabile, insomma, e anche difendibile.
Non dalla premier, però, che non ha detto una parola convincente per difenderlo: né davanti a Zelensky, né a microfoni spenti ai suoi alleati, e questo stona soprattutto all’interno del partito di Berlusconi, che si aspettavano qualcosa in più da Meloni, che ormai è il volto della prudenza, in tutto e per tutto, per evitare polemiche in primis, per evitare problemi nei suoi rapporti internazionali soprattutto.
In nome della stessa prudenza, poi, hanno raccontato da Repubblica, che circola voce sia un diktat della leader di FdI, ma che dall’entourage non confermano, l’ex presidente del Consiglio avrebbe riposto la penna – o fatto riporre i computer, è la stessa cosa – prima di dire che sempre quel signore là, di lui, non sa nulla, e che lui, sotto le bombe, c’è stato eccome, e c’è stato quando si scappava dai nazisti, e la sua famiglia aveva dovuto abbandonare Milano per trasferirsi nel Comasco. Oltre a questo, però, mancava un po’ di risentimento per quelle parole che probabilmente hanno imbarazzato un po’ tutti, anche la stessa Meloni. Silenziosa, ora, come tutti. Ma va tutto bene dalle parti del governo, anche perché nei fatti già si è dimostrato in più occasioni da che parte si rema, e da una parte c’è l’oligarca russo, dall’altra ci siamo noi, assieme a Zelensky.
E su questo argomento, che stona più per il MoVimento 5 stelle che per Forza Italia, il presidente dei pentastellati, Giuseppe Conte, ha attaccato Meloni prendendola come pretesto per ribadire la sua posizione sulla scelta di bloccare, tra gli altri, anche il Superbonus al 110%, la pietra angolare della battaglia dell’ex premier anche quando era al governo con Mario Draghi. “Falso dire che costa 2mila euro a persona: è gratis per le famiglie, non per lo Stato. Non c’è logica politica se parli solo della spesa: e allora la spesa militare con cui ammazzi le persone e andiamo a fare le guerre?“, ha replicato il leader del movimento (che fu) di Beppe Grillo. Due piccioni con una fava, insomma.
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