Un blackout in volo e un atterraggio di fortuna. Inizia così Il silenzio, il nuovo libro di Don DeLillo, con un incidente che si inserisce in un contesto altrettanto catastrofico: l’azzeramento della connettività a New York e, probabilmente, in tutto il mondo.
Lo schermo che avrebbe dovuto trasmettere il Super Bowl LVI dell’anno 2022 diventa infatti all’improvviso nero, un oggetto inutile. Il silenzio invade lo spazio di fronte al televisore, diventato muto. Un silenzio che i personaggi di questa storia sentono il bisogno di riempire, continuamente, inesorabilmente. E così Max inizia a parlare, falsa la voce e racconta una partita che non sta vedendo, arrivando a mimare con il corpo i momenti dell’incontro che può solo immaginare, con tanto di spot pubblicitari. Martin parla quasi a se stesso, scimmiottando la voce di Einstein. Parla di tutto quello che ha imparato nel corso degli anni e di quello che insegna ai propri studenti; una mente geniale che lentamente si svuota.
È crudele DeLillo, malinconico e crudele. Immaginato in un mondo post-pandemico, Il silenzio trascina il lettore nella profondità dell’ispirazione letteraria, al cospetto di personaggi che si dissolvono pagina dopo pagina, luoghi che non vengono descritti ma percepiti, dialoghi che si rivelano senza senso perché in realtà sono dei monologhi.
Con le movenze di un’opera teatrale, questo racconto di DeLillo porta in superficie una paura che affonda le proprie radici nella quotidianità dell’uomo, la paura di un blackout totale: «Niente e-mail. Provate a immaginarlo. A dirlo. Sentite l’effetto che fa. Niente e-mail». Disconnessi dal mondo e smarriti, quasi svuotati perché privati della propria quotidianità, del conforto della banale quotidianità, così appaiono i personaggi di Il silenzio. Restano le parole, solo le parole, a colmare il vuoto lasciato dalla tecnologia.
In altri tempi, più o meno ordinari, c’era sempre qualcuno con lo sguardo perso nel proprio cellulare, di mattina, a mezzogiorno, di sera, in mezzo al marciapiede, incurante degli altri che gli passavano velocemente accanto, completamente immerso, ipnotizzato, consumato dall’apparecchio, con gli altri che quasi gli andavano incontro per poi schivarlo all’ultimo; e adesso questi tossicodipendenti digitali non possono fare niente, i cellulari sono fuori uso, ogni cosa è fuori uso, completamente totalmente fuori uso.
Il silenzio si chiude sui personaggi che cercano di recuperare la propria identità attraverso le loro stesse parole, «frammenti di una civiltà» che si scoprono drammaticamente soli, perché come dice Martin alla fine «Il mondo è tutto, l’individuo niente. L’abbiamo capito tutti, questo?»
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