Primavera ed estate sono le stagioni dei matrimoni per eccellenza… sul piccolo schermo, però, è sempre tempo di fiori d’arancio: il genere wedding, infatti, spopola ormai da alcuni anni, soprattutto sui canali tematici o semigeneralisti destinati prevalentemente ad un target femminile, Real Time in primis. Ce n’è davvero per tutti i gusti: dai programmi che ci mostrano spose e damigelle alla ricerca dell’abito perfetto per il gran giorno, a quelli dedicati all’organizzazione della cerimonia, e qui il wedding planner Enzo Miccio, re indiscusso dei matrimoni, fa scuola.
Ancora, ci sono programmi che ci portano alla scoperta di culture diverse, come Il mio grosso grasso matrimonio gipsy, senza dimenticare proposte come Non ditelo alla sposa nella versione nostrana o in quella originale britannica (Don’t tell the bride) in cui spetta al futuro marito l’onere di giocarsi al meglio il budget assegnato, per organizzare in ogni minimo dettaglio il giorno delle nozze. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Sebbene sia una tendenza esplosa con l’avvento dei canali tematici e semigeneralisti, l’interesse del piccolo schermo per confetti e fiori d’arancio non è certo una novità. Come dimenticare Scene da un matrimonio, programma dalla connotazione assolutamente nazional-popolare, condotto da Davide Mengacci, in onda su Canale5 dal 1990? Sposi, parenti, amici, tutti pronti ad aprire alle telecamere della tv la porta del giorno più bello, con un certo orgoglio e compiacimento per quei cinque minuti di popolarità vissuti.
Sempre negli anni Novanta va in onda su Rai Uno, in prima serata, Luna di miele, condotto da Gabriella Carlucci, in cui alcune coppie di sposi sono chiamate a sfidarsi in prove di cultura e abilità accompagnate dall’immancabile codazzo di parenti. Ebbene, a vent’anni di distanza i programmi dedicati al wedding si sono moltiplicati, eppure la sociologia (e l’esperienza quotidiana) ci insegnano che sono sempre più frequenti le coppie che decidono di non sposarsi, talvolta per necessità, talvolta per scelta.
Il sociologo Bauman sostiene che l’incertezza e la liquidità del contesto socio-antropologico contemporaneo abbiano fatto sì che, ai legami del tipo “finché morte non ci separi”, si stiano sostituendo sempre più i legami “finché di reciproca soddisfazione”, che si possano sciogliere senza troppe complicazioni nel momento in cui non siano più capaci di regalare la soddisfazione desiderata, appunto. E allora perché il genere wedding piace così tanto? Certo, c’è sempre quel pizzico di voyeurismo, di curiosità che ci spinge a voler mettere il naso in ciò che accade nelle vite degli altri, magari a volte con uno sguardo un po’ sarcastico e ironico… ma perché proprio il wedding? Forse perché, in fondo, l’idea del grande amore e il pensiero di coronarlo con un giorno da favola sono ancora capaci di far sognare. Il piccolo schermo permette però di vivere le emozioni in maniera vicaria, lasciandoci trasportare per qualche minuto in una situazione che ci attrae, ma che magari non possiamo o non vogliamo vivere in prima persona. Ci lasciamo conquistare da una favola, come potrebbe accadere guardando un film romantico, con la consapevolezza, però, che stiamo assistendo a storie ed emozioni vere (o, almeno, presunte tali).
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