E’ partito con enormi difficoltà il Summit delle Americhe. La lunga polemica su partecipanti e assenti appesantisce i contenuti dell’incontro, che rischia di fallire prima di iniziare oggi a Los Angeles.
Il Los Angeles Convention Center espone sulla facciata un grande poster con il logo del IX Summit of the Americas. Questi tipi di eventi di solito non danno molti risultati reali. Sono più simbolici che altro, cercano di creare consenso in alcune dichiarazioni basate sulle buone intenzioni.
Tuttavia, ciò che non era mai accaduto fino ad ora è che la sensazione di fallimento del vertice si avvertisse prima ancora di iniziare. E ancor meno che non fosse per l’agenda degli argomenti da trattare, ma per l’elenco dei partecipanti.
Le assenze previste e la divisione generata dagli inviti, generano scetticismo sulla possibilità di raggiungere accordi rilevanti su uno dei problemi più urgenti: la crisi migratoria. Washington ha ufficialmente dichiarato l’esclusione dal ‘Summit delle Americhe’ del Venezuela, di Nicaragua e Cuba. Le date del vertice sono dal 6 al 10 giugno.
A partire oggi verranno lanciati i forum per la società civile, i dirigenti d’impresa e i giovani. Ma la cerimonia di apertura con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e i leader che parteciperanno al vertice non è prevista fino a mercoledì, quindi il dibattito agonizzante sugli eventuali presenti potrebbe continuare ancora per un po’.
Il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, continua a spogliare la margherita. Il personale diplomatico ha assicurato a questo giornale che si aspettava che il presidente desse segni lo scorso venerdì sulla sua partecipazione al vertice. Il politico ha condizionato la sua partecipazione all’invito di tutte le nazioni della zona, compresi i leader di Nicaragua, Venezuela e Cuba. E ora che queste 3 nazioni sono state escluse non si sa ancora cosa farà.
Al momento, da parte messicana, è stata confermata al ‘Summit delle Americhe’ solo la presenza del ministro degli Esteri, Marcelo Ebrard. Argomenti come quello usato da López Obrador sono stati utilizzati anche dai presidenti della Bolivia, Luis Arce; Guatemala, Alejandro Giammattei; e Honduras, Xiomara Castro, per scusarsi dal partecipare alla riunione.
La Casa Bianca è riuscita a conquistare la partecipazione del presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, offrendogli un incontro bilaterale con Biden a Los Angeles che gli riconosce un trattamento speciale come grande potenza regionale. Il presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, è stato attratto dalla richiesta di una visita ufficiale a Washington il mese prossimo.
Sebbene Fernández dica che assumerà la posizione della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC), la verità è che la sua presenza e quella di Bolsonaro evitano un completo disastro. “Confidiamo davvero che il vertice avrà una buona partecipazione”, ha affermato mercoledì scorso Juan González, direttore per l’emisfero occidentale del Consiglio di sicurezza nazionale.
Tuttavia, l’elenco degli ospiti e dei partecipanti al ‘Summit delle Americhe’ ha lasciato il continente diviso e in tensione. I Paesi esclusi hanno colto l’occasione per organizzare un vertice parallelo dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (Alba) all’Avana, che ha messo in luce lo scontro con Washington e ne ha fatto emergere tutta la retorica antimperialista. Tutta l’attenzione è su López Obrador.
L’assenza di un presidente messicano al primo vertice regionale ospitato dagli Stati Uniti dal 1994 sarebbe un grande affronto. Entrambe le nazioni hanno da secoli sinergie economiche e culturali. Curiosamente, il rapporto tra i partner ha subito un notevole deterioramento da quando Donald Trump ha lasciato la Casa Bianca.
Secondo analisti come Tony Payan, del Baker Institute of Rice University, alcuni circoli politici di Washington percepiscono l’ostilità dell’attuale esecutivo messicano. L’ex ambasciatore messicano a Washington Arturo Sarukhán, del think tank Brookings, ritiene che boicottare il vertice sarebbe come segnare un autogol per il Messico dal punto di vista dei suoi interessi strategici a lungo termine.
La prevedibile assenza del messicano a Los Angeles eliminerebbe la possibilità di un accordo ai massimi livelli su una verità che López Obrador condivide con Biden, che la migrazione deve essere attaccata dalle sue cause profonde. All’inizio del mese scorso López Obrador ha inviato una risposta dalla stessa zona, il Centro America, indirizzata a Washington.
“Gli Stati Uniti sono i protagonisti del fenomeno migratorio e devono, di conseguenza, essere corresponsabili nel dargli una soluzione, modificandone le politiche migratorie e contribuendo a contrastare le condizioni che costringono milioni di persone ad abbandonare i propri luoghi di residenza”, ha affermato in El Salvador, tappa del tour che lo ha portato in Guatemala, Honduras e Cuba.
Sebbene durante i primi anni del suo mandato abbia rinnegato qualsiasi leadership regionale, López Obrador ha insistito a metà del suo mandato nell’esercitare una guida in America Centrale. In quella regione ha avviato due dei programmi sociali della sua Amministrazione, concedendo 250 dollari (circa 233 euro) al mese a circa 10.000 piccoli agricoltori e altri 180 dollari a 10.000 giovani.
Giorni prima della sua tournée, il presidente aveva chiesto al Congresso degli Stati Uniti 4 miliardi di dollari (3.700 miliardi di euro) da destinare agli aiuti nell’area. “Il Campidoglio ha deciso in pochi giorni di inviare 3miliardi di dollari per la difesa dell’Ucraina, e noi sono quattro anni che aspettiamo che autorizzi i soldi per il Centroamerica. Noi i presidenti di area, vogliamo che ci sia sviluppo ,” ha detto Obrador.
Nella sua conferenza con i giornalisti, Juan González ha riconosciuto la scorsa settimana la necessità di “affrontare la storica crisi migratoria di un livello senza precedenti per gli Stati Uniti”. Secondo González, le autorità statunitensi “si sono messe al lavoro per mobilitare i leader attorno a un nuovo e audace piano incentrato sulla distribuzione delle responsabilità e sul sostegno economico ai Paesi più colpiti dai flussi migratori e dai rifugiati”.
Parallelamente al vertice, anche se formalmente a margine, Biden si unirà ad altri capi di Stato “per firmare una dichiarazione sulla migrazione, inviando un forte segnale di unità e determinazione per controllare la crisi migratoria regionale”. Tutto questo avviene quando i campi haitiani e centroamericani iniziano a riempirsi al confine messicano, e il numero di attraversamenti illegali rischia di battere nuovamente il record massimo raggiunto nel 2021, con 1,7 milioni di rimpatri di migranti.
La migrazione irregolare colpisce quasi tutti i paesi della regione ed è spesso un sintomo di altri problemi, ammette Washington. Secondo González, la dichiarazione affronterà la questione dal “contesto di responsabilità condivisa e dalla necessità di fornire sostegno economico ai paesi che sono stati colpiti dai flussi migratori e di rifugiati” e tenendo conto di “alcuni dei principali motori della migrazione, che sono la mancanza di opportunità economiche e l’insicurezza”.
González è ottimista sulla dichiarazione che si sta preparando: “Questo è qualcosa di senza precedenti, dal momento che i leader della regione che sono paesi di origine, transito o destinazione della migrazione si uniscono attorno a un piano che riconosce che la sfida della migrazione non è sul confine con gli Stati Uniti, ma si estende a tutti i paesi delle Americhe”.
“Dobbiamo lavorare insieme per affrontarlo in un modo che tratti i migranti con dignità, investa nella creazione di opportunità che dissuadano i migranti dall’abbandonare le loro case e fornisca la protezione che anche questi cittadini meritano”. Allo stesso tempo, verranno affrontate questioni quali l’accesso alla documentazione legale e ai servizi pubblici e ai percorsi per una migrazione legale e ordinata.
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