Trash, urlata, ripetitiva, diseducativa. Sono solo alcuni degli epiteti con cui viene definita la televisione italiana (e non). Negli ultimi anni il piccolo schermo è stato molto spesso destinatario di aspre critiche e, da un giorno all’altro, ci si è risvegliati tutti critici televisivi, ci siamo tutti sentiti in dovere di criticare qualsiasi prodotto e qualsiasi personaggio, senza sconti di sorta, solo in base a dove tira il vento. A ben ragione, verrebbe da dire. Se si pensa agli ultimi quindici anni, infatti, la televisione è stata appunto trash, urlata, ripetitiva, diseducativa. Fino a un certo punto, però.
Come in qualsiasi altro ambito, anche il piccolo schermo attraversa, conosce e supera cicli, epoche, fasi, trends, periodi che, prima o poi, volgono al termine. La fase trash ne è un chiaro esempio. Alt, la televisione è anche trash, sia chiaro, ma non è solo trash.
E’ all’interno di questo distinguo che è d’uopo studiare la TV a 360 gradi, analizzarla e apprezzarla senza quella puzza sotto al naso che molto spesso ci fa assurgere a opinionisti navigati.
Il caso specifico si chiama Il Supplente, il factual prodotto da Palomar Entertainment, andato in onda per tre puntate in prima serata dal 13 al 27 giugno su Rai 2.
L’idea alla base del format è semplice: a una classe di quinta superiore viene comunicato che la lezione verrà ripresa dalle telecamere per fini istituzionali. Poco prima dell’inizio della stessa, però, viene annunciato l’arrivo di un supplente che sostituirà il professore di ruolo. Il supplente è un personaggio di spicco del giornalismo, della musica, della televisione, e così via, e l’obiettivo è creare un dialogo intergenerazionale che mostri sfumature precipue degli adolescenti di oggi.
Ignari di tutto, nel corso delle tre puntate, i ragazzi hanno visto fare ingresso in aula: Enrico Mentana, J-Ax, Mara Maionchi, Roberto Saviano e Flavio Insinna.
Dopo lo stupore iniziale, i maturandi ascoltano attenti e incuriositi l’ospite-supplente, che non è mai il personaggio, ma un vero e proprio docente, al servizio della loro istruzione. Ed è proprio questo l’obiettivo: il docere, l’insegnare, il trasmettere qualcosa di importante alla classe.
A emergere, guardando il Supplente, sono due elementi: da un lato, lo spaccato di vita di una generazione troppo spesso mostrata e raccontata solo per le vicende di cronaca che la vedono protagonista; la cronaca esiste e esisterà sempre, ma non vi è solo questo. Dall’altro, una televisione che riesce a mostrare la bellezza della normalità, troppo spesso sacrificata in nome degli eccessi utili a raccattare facili ascolti. Se a questo, poi, si aggiunge l’incontro con supplenti speciali, il gioco è fatto.
Da Mentana a Saviano, passando per J-Ax, Maionchi e Insinna, tutti si sono messi al servizio della classe, tra aneddoti personali e non.
Il supplente sale in cattedra e le dinamiche a cui il telespettatore assiste sono quelle di qualsiasi classe: c’è chi non ha studiato e prega perché non venga interrogato, chi invece freme per poter andare alla cattedra, chi non è preparato ma pensa di potersela cavare.
Interrogazione a parte, che si conclude con un vero e proprio voto sul registro, c’è spazio anche per il dialogo: il supplente coinvolge la classe su un argomento specifico ed è solo il punto di partenza per dar voce a una generazione con progetti, sogni, speranze, che emergono parola dopo parola, tra pianti e sorrisi.
Non solo, prima di andar via, il supplente passa dall’altra parte della barricata e torna a essere studente: viene interrogato, quindi, dal professore di ruolo (che a quel punto fa il suo ingresso in aula), davanti a quelli che, adesso, sono i suoi compagni di classe.
A fine lezione tutti hanno imparato qualcosa: gli studenti perché hanno ascoltato racconti di vita importanti, il supplente perché ha rivissuto sensazioni appartenenti a decenni addietro; sia la classe sia il supplente si sono aperti, creando un confronto attraverso il dialogo.
Il format mostra quello che accade nella maggior parte degli istituti italiani, adottando un linguaggio semplice, pulito, soft, mai sopra le righe, mai volgare.
I giovani protagonisti sono educati, rispettosi verso chi hanno davanti, quasi intimoriti dalla figura che in quel momento l’ospite riveste. Molto distanti da chi vorrebbe i cosiddetti giovani d’oggi un branco di maleducati allo sbando. Certo, c’è anche quello, ma è giusto mostrare il buono ed è giusto che a occuparsene sia la TV pubblica, la TV di Stato, mamma Rai.
Va ricordato che non è la prima volta che la RAI decide di raccontare la scuola di oggi, ne è stato un esempio Il Collegio, ma Il Supplente va oltre: la scrittura è ridotta all’osso, il racconto è fluido, reale, i ragazzi non sono attori, bensì adolescenti normali. Ed è proprio questo che troppo spesso la tv dimentica di fare: raccontare la normalità.