Il 20 e il 21 settembre del 2020 è diventato effettivo il taglio dei parlamentari, una riforma costituzionale che ha portato, alle elezioni del 25 settembre 2022, a eleggere “solo” 400 deputati e 200 senatori. Salutata come una legge che avrebbe portato a un risparmio altissimo per i cittadini, alla prova dei fatti, e quindi con l’approvazione del Bilancio di Camera e Senato – e nella precedente legislatura -, si può notare quanto i fondi destinati siano rimasti gli stessi nonostante ci siano, ora, un terzo di parlamentari in meno.
Sono cambiate, sì, le indennità che percepiscono deputati e senatori, ma sono anche rimasti invariati i contributi ai gruppi parlamentari (che ora prendono molto di più rispetto a prima) e sono aumentate altre voci di spesa conseguentemente all’aumento dei costi di bollette ed energia. Altroché, insomma, risparmio per gli italiani: le cose sono rimaste esattamente come erano.
Quando è stata approvata dalla Camera dei deputati, dopo la quarta lettura, la riforma che avrebbe tagliato di un terzo il numero dei parlamentari si è festeggiato parecchio, soprattutto tra i banchi del MoVimento 5 stelle, i veri ideatori della legge che avrebbe cambiato la Costituzione.
Non avendo ottenuto, però, la maggioranza dei due terzi nell’approvazione, si trattava ancora di una vittoria a metà, diventata netta nel momento in cui anche gli elettori hanno risposto con un sì alla riforma nel referendum del 20 e 21 settembre. Tra i motivi che hanno spinto gli italiani a dare il proprio consenso alla riduzione del numero dei deputati e senatori nella legislatura successiva (quella in corso, in pratica) c’era sicuramente il racconto di costi minori per le loro casse.
Si è parlato di almeno 500 milioni di euro risparmiati nel corso di cinque anni, che sommati legislatura dopo legislatura, sarebbero diventati tanti tanti di più. I conti, poi, anche prima dell’approvazione del Bilancio da parte dell’Ufficio di Presidenza di Camera e Senato, hanno dimostrato che si sarebbe arrivati a un risparmio di poco più di un euro a persona all’anno, appena un cappuccino al bar (e prima della guerra in Ucraina). Evidentemente abbastanza da giustificare un probabile ingolfamento del processo legislativo anche perché, chi ha promosso la riforma, aveva sottolineato che quei soldi sarebbe stati usati per comprare ambulanze, treni, insomma sarebbero stati riutilizzati per la cosa pubblica.
Ora, che il Bilancio è stato reso noto, si può notare come di risparmio non ce ne sia proprio l’ombra, neanche con 345 parlamentari in meno a essere stati eletti il 25 settembre. Prima di entrare nel merito, è necessaria una premessa: e no, non è stato il nuovo Parlamento ad approvare il progetto di bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama, ma i documenti sono stati firmati rispettivamente da Roberto Fico, uno di quelli che tanto si era riempito la bocca di belle parole sul taglio ai costi della politica, e da Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Iniziamo dalla Camera, che ha presentato il bilancio il 13 luglio, quindi almeno una settimana prima che si consumasse lo strappo nella maggioranza e cadesse il governo presieduto da Mario Draghi. Nel lunghissimo documento, oltre alle spese previste e fatte durante il 2022, si è fatto un bilancio dei costi anche per il triennio che va fino al 2024. E i fondi stanziati, infatti, per tutti e tre gli anni sono uguali: 943,160 milioni di euro all’anno, così come è stato dal 2013, per altro. La musica non cambia se si guarda al progetto che è stato presentato al Senato il 2 agosto. I fondi messi a disposizione per un anno sono più o meno 505,4 milioni di euro.
Effettivamente, però, un risparmio, per così dire, dovuto al fatto che adesso ci siano solo 400 deputati e 200 senatori c’è. Se nel 2022 sono stati messi a bilancio dalla Camera oltre 81 milioni, nel 2023 saranno solo 59 milioni e nel 2024 saranno ancora di meno, ovvero poco meno di 52,5 milioni. A Palazzo Madama, invece, si passa da circa 40 milioni a poco più di 28 milioni. Anche i rimborsi calano di parecchio.
Rimangono invece uguali i contributi ai gruppi parlamentari. A Montecitorio saranno sempre 30,9 milioni di euro, mentre al Senato la situazione cambia dal 2022 al 2023 di appena 20mila euro e si attesta sui 22,1 milioni. La differenza sta nel fatto che, ora, il finanziamento indiretto ai partiti, che deve essere utilizzato esclusivamente per “scopi istituzionali riferiti all’attività parlamentare e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad essa ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento degli organi e delle strutture dei gruppi”, passa da 49mila euro a deputato a 77mila euro a testa. E a beneficiarne saranno soprattutto da Fratelli d’Italia, il gruppo più numeroso sia alla Camera, sia al Senato.
Filippo Scerra, deputato del MoVimento 5 stelle, ha spiegato a Pagella Politica che il contributo è rimasto lo stesso perché il funzionamento dei gruppi è uguale a quello della passata legislatura, così come il lavoro del personale che si occupa dei vari processi legislativi “non diminuisce in maniera proporzionale al taglio dei parlamentari“.
Alla luce di questo, però, dove sono stati messi i soldi recuperati che arrivano dalle indennità e dai rimborsi dei singoli deputati e senatori? Sempre secondo il pentastellato, con l’aumento dei costi delle bollette di energia elettrica e gas e delle materie prime ha toccato anche i due rami del Parlamento non solo le famiglie e le imprese. Non solo, perché ora ci saranno da pagare molte pensioni in più rispetto a prima.
Perciò sì, il cappuccino in più che ci saremmo potuti permettere non lo pagheremmo con i soldi dovuti al taglio dei parlamentari, ma forse è solo una questione di tempo. Che magari le cose, prima o poi, si sistemeranno e anche con una democrazia svuotata di molti componenti, il gioco sarà comunque valso la candela.
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