Non è chiarissimo il bilancio effettivo delle vittime del terremoto che ha colpito Turchia e Siria, ma pare che siano circa 41mila. Ma anche quelle che sono rimaste in vita, dopo un evento simile, non possono non essere considerate vittime: attualmente si trovano a dover combattere contro il freddo, la fame, non hanno più una casa, devono dormire in auto in moltissimi casi. Tra questi molti sono bambini e Save The Children ha lanciato un messaggio a tutto il mondo: bisogna aiutare la popolazione subito, non c’è tempo da perdere.
Il The Guardian scrive la percentuale di sopravvivenza a cinque giorni da un sisma è del 6%, cosa che non fa ben sperare. Ma non guardiamo le statistiche, guardiamo i fatti. Ma soffermiamoci soprattutto sulle storie vere, perché se è vero che sopravvivere dopo eventi estremi come il terremoto che si è verificato in Turchia è difficile, lo è anche che non è impossibile.
“Voglio comprare un telefono nuovo”: queste sono state le prime parole di Seminh, 9 anni, trovato miracolosamente vivo dai soccorritori dopo aver trascorso sotto le macerie 156 ore. Non ha potuto dire la stessa cosa purtroppo Ali, che aveva solo 15 anni, tanti sogni, tante speranze, tante aspettative per il futuro, a cui ha dovuto rinunciare. Ma un attimo, perché prima ha dovuto rinunciare a tutta la sua famiglia, che è ancora peggio. Ali aveva le gambe schiacciate da tonnellate di detriti e questo rendeva impossibile riuscire a farlo uscire lì con tutti e quattro gli arti intatti. “Dovremo amputargli le gambe”, hanno pensato i soccorritori, dopo aver tentato – invano – di salvarlo scavando da quattro direzioni. Ma neanche questo è stato possibile: lo spazio era troppo stretto, non c’era posto per le manovre. Alla fine Ali è morto, ma non prima di aver lasciato un ultimo sorriso ai suoi soccorritori, che adesso giurano che mai lo dimenticheranno. E chissà quanti altri nomi saranno costretti a ricordare per sempre per lo stesso motivo.
C’è poi la storia di Yavuz Canbaz: tra non molto compirà tre anni, che sono circa mille giorni, ma di questi sei li ha trascorsi sotto le macerie di un palazzo completamente distrutto nel distretto di Onikisubat. Da solo, al buio, circondato solo da pietre e polvere. Questo, però, sia chiaro, non gli è bastato per smettere di ridere e infatti così lo hanno trovato i soccorritori: contento, entusiasta, gioioso, mentre aveva indosso solo la sua giacca verde e i suoi pantaloni del pigiama blu. Neanche un giorno prima, nel diretto di Adiyaman, un’altra ragazzina era stata trovata. Hanim era decisamente più grande di Yavuz – aveva 13 anni – ma con lui aveva una cosa in comune: la voglia di vivere, ridere, essere contenta comunque, a prescindere dalle (quasi) 150 ore trascorse sotto le macerie. “Grazie, però per favore non fatemi delle punture”, queste le sue prime parole dopo essere stata ritrovata. Nessun dolore traspariva dalle sue parole, nessun segno di sofferenza, nessuna paura.
Hanno avuto un destino simile Lena, una ragazzina di 11, trovata insieme a sua madre Medha, di 50, in un edificio di Antakya dopo 160 ore, così anche l’ormai celebre bambino con gli occhioni azzurri di Hatay, trovato dopo 128 ore e tanta paura, le cui immagini in cui mangia come un lupo in ospedale diffuse dal Ministero della Salute hanno iniziato a fare il giro del web, ma anche quello di 7 mesi trovato in buona salute dopo 140 ore e quella di 5 anni trovata dopo 150 dai vigili del fuoco.
I bambini sono resilienti, dicono. Sono più forti di quello che si pensi, sia psicologicamente che fisicamente. Hanno una resistenza agli urti della vita che noi adulti perdiamo negli anni, perché ad ammazzarla sono i ragionamenti, la paura, la consapevolezza dei pericoli che ci circondano. E neanche un sisma di tale portata è riuscito a spazzarla via. Ma non tutti sono stati e sono fortunati allo stesso modo perché, anche molti di quelli che sono sopravvissuti, oggi si trovano a combattere quotidianamente contro il freddo, la distruzione totale, le condizioni più che precarie in cui versano attualmente i loro Paesi natali.
“L’impatto di questo sisma è devastante, dobbiamo con estrema urgenza supportare al massimo queste persone”, con queste parole Okke Bouwman, direttore Media di Save the Children Siria, ha commentato l’attuale situazione in cui versano la Turchia e la Siria. Non c’è tempo da perdere, lo sappiamo tutti. Del resto, il bilancio parla chiaro: ci sono ad oggi circa 41mila vittime, a cui si aggiungono i 5 milioni di sfollati – dato arrotondato per difetto – siriani.
Ma non basta dirlo perché sia chiaro, dobbiamo costruire davanti ai nostri occhi delle immagini di quello che sta accadendo davvero, ogni giorno, nei due Paesi. A Gazientep le persone dormono in macchina. Ma c’è il freddo che sta colpendo (anche) quella del mondo attualmente, siamo a febbraio del resto. E allora, come si vivessero in un campeggio perenne (non per loro scelta ovviamente), accendono fuochi lungo la strada per scaldarsi (soprattutto in Siria, in cui le temperature invernali sono rigidissime). Tutto questo mentre noi viviamo nel tepore dei nostri appartamenti, riscaldati dai termosifoni.
I bambini, probabilmente non consapevoli al 100% della gravità della situazione in cui si trovano ad oggi, non possono andare a scuola, spesso non hanno più una casa. E quindi anche loro vivono per strada, sì, ma la loro situazione potrebbe essere ancora più delicata rispetto a quella degli adulti. Come ha affermato Berna Köroğlu, coordinatrice del team di risposta alle emergenze di Save the Children Turchia: “Le loro condizioni di vita sono desolanti. Dormono in auto o in rifugi di fortuna, non ci sono servizi igienici né acqua corrente. In queste condizioni, questa gente non ha altra scelta se non quella di lavarsi all’aperto, con il rischio di contrarre malattie come colera, tifo e dissenteria, particolarmente letali per i bambini”. Loro sono resilienti sì, ma non hanno gli strumenti per poter sopravvivere ad alcune malattie e devono essere protetti.
Ma c’è da aggiungere che la Siria nordoccidentale era già segnata da un conflitto lungo più di dieci anni, che aveva già fatto non pochi danni, soprattutto ai più piccoli, come afferma Save The Children. E quindi adesso con il terremoto “si profila una seconda catastrofe umanitaria con moltissimi sopravvissuti esposti alle temperature gelide e privi di beni di prima necessità come riparo, cibo, acqua e servizi igienici”.
Ma anche in Turchia la situazione non è poi migliore. Antakya – nella provincia di Hatay – è completamente distrutta. Non c’è più nulla di “intero”: palazzi, case, scuole, uffici, complessi sono andati distrutti. E così gli abitanti del luogo vorrebbero solo andare via, lasciarsi alle spalle quello che hanno vissuto e ripartire, come ha dichiarato sempre la Köroğlu.
Ecco perché Save The Children sta fornendo pasti caldi, tende, coperte, materassi e sacchi a pelo e in alcune zone – come Malatya e Antep – anche kit per neonati. Ma non basta: “Le regioni colpite hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. La comunità internazionale deve fare tutto il possibile per sostenere gli sforzi umanitari locali, per evitare che si verifichi una tragedia nella tragedia”. Tutto il mondo deve mobilitarsi per aiutare i due Paesi. Punto. E infatti una grande fetta lo sta già facendo (tra cui anche l’UE).
Nel frattempo, però, la situazione continua a essere gravissima: su dieci edifici distrutti sono al massimo un paio quelli in cui, statisticamente, i soccorritori riescono a cercare i dispersi in modo efficace. Questo significa che, per ogni adulto oppure bambino che sopravvive, ce ne sono molti altri che sono morti. Questa è la dura realtà.
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