È nato tutto da un esperimento con Steve Colley che cercava di comprendere come ruotare un cubo sullo schermo, mentre Howard Palmer suggeriva di realizzare un labirinto tridimensionale. Stiamo parlando degli eventi intorno al primo gioco sparatutto in prima persona, che scrisse la storia dei videogiochi, nell’ormai lontano 1973, anzi preistorico in termini informatici. Due ragazzi maturandi ebbero la possibilità di una sorta di stage presso la NASA per testare i limiti del minicomputer Imlac PDS-1 e PDS-4. Il gioco in questione era una fuga dal labirinto, ma con un punto di vista tutto nuovo.
Il titolo era Maze, ossia appunto labirinto, che si evolse molto nei tre anni che seguirono, con due persone che potevano occupare i “corridoi” contemporaneamente, connessi da diversi computer, potevano spararsi a vicenda e sbirciare dagli angoli, insomma, qualcosa di davvero straordinario per l’epoca. All’apice, poteva ospitare fino a otto persone simultaneamente, appoggiandosi a ARPANET, l’antesignano del web. Almeno 20 anni prima di Doom.
Si può dunque considerare Maze il primo sparatutto in prima persona, il primo gioco in multiplayer, il primo titolo con mod e il primo in prima persona di questo tipo. Le altre menti al centro della vicenda sono Greg Thompson (più interessato all’elettronica che in medicina come il padre anestesista) e John McCollum, che gli fece da mentore. Questi ragazzi d’oro, uniti a Palmer, si dilettarono con lo studio dei giochi bidimensionali, come il mitico Pong, per poi puntare più in alto, alle tre dimensioni.
Il primo labirinto era di 16×32 quadrati e si doveva semplicemente risolvere. Poi si connetterono due computer a un medesimo Maze, con indicazioni sulla posizione e sul movimento dell’altro ospite. In seguito si aggiunsero le armi, per dare un po’ di pepe. Questa fu la base per un’innumerevole serie di miglioramenti come le modifiche, sempre più persone connesse trasformandosi in uno dei primi fenomeni virali, nel senso moderno del termine. Ci fu anche qualche super-campione come Ken Harrenstein che riscrisse anche buona parte del programma per renderlo più efficiente. Una bella storia, che fa da fondamenta al grattacielo dell’informatica, non solo dei videogame.
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