Se c’è un settore dell’economia che sta vivendo un periodo molto florido è quello della produzione vinicola: l’Italia ha superato Francia e Spagna nella vendemmia 2015 con una produzione di ben 48,9 milioni di ettolitri di vino, secondo i dati ufficiali della Commissione Europea. Ci riconfermiamo la patria del vino, quello buono, e leader nella sua produzione che vanta un export da più di 5 miliardi di euro l’anno.
L’Istituto Internazionale di Ricerca ha fornito all’ultima rassegna sul mondo della viticoltura, Vinitaly, una classifica dei dieci vini più apprezzati dagli italiani nel 2014 e al primo posto troviamo il Lambrusco, che vanta una produzione da 13,3 milioni di litri, seguito da Chianti (11,7 milioni ), Bonarda (8 milioni), Barbera (7,7), Montepulciano (7,6), Chardonnay (7), Sangiovese (6,3), Nero d’Avola (5,8), Vermentino (5,7) e Prosecco (5).
“Prosecchino? Volentieri!”
Quello che forse non ci saremmo aspettati e un’impennata della produzione e vendita di Prosecco, che dopo la crescita vissuta negli anni ’70 ha visto lievitare le percentuali di produzioni del 26,9% nel 2014 rispetto all’anno prima, grazie all’allargamento della zona produttiva dai colli di Treviso al Friuli. Sono state esportate e vendute 119.300.000 bottiglie, 55 milioni delle quali in Inghilterra, il 60% in più del 2013.
Secondo una ricerca svolta dalla Bocconi, la forbice che divide Francia e Italia sul posizionamento di mercato è ancora grande: “Il prezzo medio dell’imbottigliato d’Oltralpe tocca i 5,46 dollari al litro contro i 3,63 di quello italiano, mentre il prezzo medio dello sparkling (le bollicine, ndr) è addirittura di 18,59 dollari al litro, contro i 3,98 dello spumante italiano”, spiegano i professori Roberta De Sanctis e Armando Cirrincione del Wine Management Lad.
Prendere esempio dalla Francia
Secondo Giorgio Medici, ex presidente del Consorzio di Tutela del Lambrusco, bisogna puntare alla qualità come fanno i francesi per vendere a prezzi maggiori il vino nostrano, seguendo la “politica del cru”: “Il tal vino è unico e ha buone caratteristiche perché viene prodotto nel tal vigneto del tal territorio. Finito il vigneto, finisce quel vino unico. I guadagni sono discreti, ma c’è soprattutto la soddisfazione di avere resuscitato il vero Lambrusco”, racconta Medici.
Nonostante però nei vigneti sia stato raccolto il 13% di uva in più nel 2015, l’ultima indagine di Coldiretti riporta che i consumi interni sono scesi attorno ai 20 milioni di ettolitri, tornando al minimo storico registrato nel lontano 1861: la media di consumo è di 37 litri a persona all’anno ma solo il 21% beve vino ogni giorno e il 48,8% dichiara di non berlo mai. Insomma, si beve più vino italiano all’estero che nel suo Paese d’origine come in Russia e Polonia, che amano particolarmente la produzione vinicola made in Italy.
Chianti superstar
Il nostrano Chianti sembra essere il più apprezzato: quest’anno la Toscana ha vissuto una grande crescita dell’export, il 25,8%, secondo i dati riportati da Assoenologi, riconfermandosi il vino più famoso nel mondo nonostante gli alti e i bassi.
Si assiste sempre più a un boom dello sfuso, dove a farla da padrona è la Spagna secondo l’Unione Italiana Vini, forte della sua produzione eccezionale riversata sul mercato a prezzi molto bassi: “E’ stato uno dei motivi del rallentamento italiano nel 2014, ma ha un valore congiunturale e non strutturale, e dunque non ci preoccupa”, spiega Angelo Gaja, il re dei Barolo e Barbaresco e ambasciatore del vino italiano nel mondo.
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