Qualcosa si muove sul fronte immigrazione: Libia e Italia firmano un accordo col sostegno dell’Europa. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il premier libico Fayez al Serraj hanno infatti siglato un accordo di cooperazione per garantire maggiore sicurezza e sostegno al lavoro di controllo dei flussi di migranti illegali e per affrontare insieme “le conseguenze da essi derivanti, in sintonia con quanto previsto dal Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione sottoscritto tra i due paesi, e dagli accordi e memorandum d’intesa sottoscritti dalle Parti”. Dall’Unione Europea è arrivato il plauso e il sostegno all’Italia per questo accordo, del quale di seguito illustriamo i punti principali.
I PUNTI CHIAVE DELL’ACCORDO SIGLATO TRA LIBIA E ITALIA
Al centro dell’accordo tra l’Italia e il Governo di Accordo Nazionale dello Stato della Libia, c’è la cooperazione per sviluppare nuovi metodi di contrasto dell’immigrazione illegale, del traffico degli esseri umani e del contrabbando, nonché di un rafforzamento delle frontiere tra la Libia e l’Italia. Le Parti si impegnano infatti anche a completare il sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia. Entro tre mesi i due governi cercheranno di elaborare “una visione di cooperazione euro-africana più completa e ampia, per eliminare le cause dell’immigrazione clandestina, al fine di sostenere i paesi d’origine dell’immigrazione nell’attuazione di progetti strategici di sviluppo, innalzare il livello dei settori di servizi migliorando così il tenore di vita e le condizioni sanitarie, e contribuire alla riduzione della povertà e della disoccupazione”. Previsto anche il sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia e per l’avvio di programmi di sviluppo, attraverso iniziative di job creation adeguate. Il memorandum prevede l’istituzione di un comitato misto per individuare le priorità d’azione, identificare strumenti di finanziamento, attuazione e monitoraggio degli impegni assunti.
Il ruolo dell’Italia contro l’immigrazione illegale
La parte italiana fornisce sostegno e finanziamento a programmi di crescita nelle regioni colpite dal fenomeno dell’immigrazione illegale, in settori diversi, quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, la sanità, i trasporti, lo sviluppo delle risorse umane, l’insegnamento, la formazione del personale e la ricerca scientifica, e si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno.
I centri di accoglienza
Altro punto del memorandum riguarda l’adeguamento e il finanziamento dei centri di accoglienza già attivi, “usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Unione Europea. La parte italiana contribuisce, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti illegali, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi”. Prevista anche la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza, sostenendo i centri di ricerca libici, “in modo che possano contribuire all’individuazione dei metodi più adeguati per affrontare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani”.
I finanziamenti
“La parte italiana provvede al finanziamento delle iniziative menzionate in questo Memorandum o di quelle proposte dal comitato misto senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato italiano rispetto agli stanziamenti già previsti, nonché avvalendosi di fondi disponibili dall’Unione Europea, nel rispetto delle leggi in vigore nei due paesi”, si legge nell’accordo entrato in vigore al momento della firma. Ha validità triennale e sarà tacitamente rinnovato alla scadenza per un periodo equivalente.
‘LA LIBIA NON E’ UN POSTO SICURO’
E nella giornata del vertice dei paesi Ue a Malta, dove è in discussione la proposta di ‘chiudere la rotta dalla Libia all’Italia‘ attraverso la cooperazione con le autorità libiche, Medici Senza Frontiere (MSF) lancia l’allarme esprimendo forte preoccupazione per le persone che saranno riportate in Libia dopo essere state intercettate in mare, o che restano intrappolate nel paese. “L’Unione Europea e i suoi stati membri devono prendere atto della realtà. La Libia non è un paese sicuro, per questo non possiamo considerare questa proposta come un approccio umano alla migrazione“, afferma Arjan Hehenkamp, uno dei direttori generali di MSF, tornato ieri da una missione in Libia, dove ha visitato molte persone detenute a Tripoli. “La legge e l’ordine sono al collasso in Libia – continua Hehenkamp – Le persone provenienti da paesi dell’Africa Sub-Sahariana sono arrestate e tenute in detenzione senza processo legale, senza alcun modo per opporsi o fare ricorso, e senza contatto con il mondo esterno. I detenuti mi hanno pregato di contattare le loro famiglie per fargli sapere che erano ancora vivi. Non avevano idea di quale sarebbe stato il loro destino, nonostante fossero già imprigionati da mesi ormai”.
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Approccio disumano alle migrazioni
In attesa di conoscere in modo più approfondito i piani di collaborazione tra il governo italiano e le autorità libiche del governo di unità nazionale, Msf esprime preoccupazione sui contenuti del memorandum tra Libia e Italia: “L’accordo ripropone ancora una volta un approccio alla gestione dei flussi migratori fallimentare e disumano“, afferma Tommaso Fabbri, capo missione Italia per Msf, che spiega: “Nel testo non compare alcun riferimento all’attivazione di canali legali e sicuri verso l’Europa, che costituirebbero l’unica strategia efficace per spezzare definitivamente la rete dei trafficanti ed evitare ulteriori morti in mare. Sono invece ben chiare le misure per rafforzare le intercettazioni in mare da parte della Guardia Costiera libica e impedire le partenze dalle coste. Hanno lo stesso effetto dei sigilli posti sulla porta di un edificio in fiamme con la scusa di evitare che le persone si facciano male nel tentativo di fuggire”.
‘La fine del diritto internazionale’
Da luglio 2016, Msf fornisce assistenza medica alle persone detenute a Tripoli e dintorni. In questa zona, anche le strutture in migliori condizioni non rispettano gli standard stabiliti dal diritto internazionale sull’asilo e dagli strumenti regionali. Le persone sono vittime di violenze (per mano delle forze dell’ordine, delle milizie, dei trafficanti, delle reti criminali e da parte di privati) e detenute in condizioni inumane: senza luce o ventilazione, con scarso accesso a acqua potabile, e spazi altamente sovraffollati. Secondo Msf, l’assenza di un sistema di asilo in Libia significa che le persone in cerca di protezione internazionale non possano vedere la propria richiesta esaminata secondo procedure eque conformi al diritto internazionale dei rifugiati. La conclusione è che “L’Unione Europea sta travisando la realtà dei fatti: la Libia non è affatto un paese sicuro, e impedire alle persone di lasciare quel paese o costringerle a ritornarvi equivale a mettere in discussione i fondamentali valori della dignità umana e del rispetto delle regole su cui si fondano le istituzioni europee”.
‘Il tradimento dei valori europei’
“Gli sforzi dell’Ue per fermare i barconi provenienti dalla Libia, che siano essi motivati da un freddo calcolo politico o da una reale volontà di salvare vite umane, si riducono a una esternalizzazione della responsabilità ad una delle autorità in un Paese spaccato da conflitti, dove i migranti sono spesso vittime di violenze orribili“, sottolinea Judith Sunderland, direttore associato per Europa e Asia centrale a Human Rights Watch. “Quella che l’Ue vuole chiamare ‘linea di protezione’ – aggiunge – potrebbe trasformarsi in una linea di crudeltà sempre più profonda, nella sabbia come in mare”. “L’idea che l’Ue possa pensare a come aggirare il diritto internazionale per rinviare persone in Libia, dove andrebbero incontro a violenze, dimostra quanto sia sprofondato il dibattito politico”, continua Sunderland. “Il rinvio di individui costituirebbe una violazione della legge, oltre che della decenza più basilare, e tradirebbe i valori su cui l’Ue e i suoi stati membri sono stati fondati“.