L’immunità parlamentare è uno dei capisaldi delle moderne democrazie. Tutti gli studiosi di diritto costituzionale in ogni angolo del mondo concordano su questo; tra loro anche i nostri Padri Costituenti che l’hanno inserita nella Costituzione della Repubblica Italiana. La conquista dell’assoluta libertà di parola e voto per gli eletti al Parlamento è una pietra miliare della nostra storia ed è anzi una condizione essenziale perché un paese possa definirsi democratico. Chi ha scritto la Costituzione lo sapeva bene anche per aver provato sulla propria pelle il regime fascista ed è anche per questo che l’hanno inserita nel nostro ordinamento politico.
L’immunità parlamentare è inserita in Costituzione all’articolo 68 che ne specifica anche le caratteristiche e i confini. Questo è il testo:
“I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.
Perché è stato inserito
L’articolo 68 della Costituzione è stato previsto dai Padri Costituenti perché l’immunità parlamentare è una delle caratteristiche di ogni democrazia moderna. L’Assemblea Costituente del 1946 era composta da uomini e donne che avevano subìto sulla loro pelle le conseguenze del regima fascista e ben sapevano cosa significava non aver libertà di espressione e di voto in un paese dal partito unico.
Anche l’inviolabilità è un presupposto essenziale per un parlamentare. Gli arresti dei membri di opposizione furono il primo passo verso il regime fascista che fece piombare l’Italia in 20 anni di dittatura.
Assicurare maggior protezione dall’azione giudiziaria era fondamentale in un paese che aveva visto troppi prigionieri politici morire per mano dei fascisti o nei campi di concentramento (secondo i dati de Il Libro della Memoria, edito da Mursia, 23.826 italiani – 22.204 uomini e 1.514 donne – furono deportati nei lager nazisti per motivi politici: di questi 10.129 non tornarono).
Come abbiamo già detto, un paese è libero se sono liberi i suoi rappresentanti politici, di maggioranza e di opposizione: in una democrazia tutti hanno il diritto di poter esprimere i propri pensieri e votare secondo coscienza senza essere incriminati.
Le origini storiche
In realtà, l’immunità parlamentare era già prevista in quella che è stata la prima Costituzione del nostro paese, cioè lo Statuto Albertino del 1848, precisamente all’articolo 51. Il testo recita che “I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere”, mettendo nero su bianco una delle immunità che resiste ancora oggi, cioè l’insindacabilità delle opinioni e voti.
Il concetto di insindacabilità ha origini molto più antiche: ormai tutti gli studiosi indicano la sua nascita nel “freedom of speech” (libertà di parola) inserito dal Parlamento inglese nel Bill of Rights del 1689, ma in molti lo fanno risalire addirittura al diritto romano secondo cui i Tribuni della plebe, cioè i rappresentanti del popolo, erano ritenuti “sacrosancti“, cioè inviolabili.
Alla base dell’immunità dei parlamentari c’è proprio la libertà di parola e di voto ed è per questo che anche i nostri Padri Costituenti l’hanno voluta in Costituzione.
Nella foto in apertura, il Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, firma la Costituzione Italiana alla presenza di Alcide De Gasperi e Umberto Terracini
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