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Impatto ambientale petrolio: tutte le conseguenze per il pianeta

L’impatto ambientale del petrolio rappresenta oggi una delle principali cause dello stato di malessere che vive il pianeta, a cominciare dai cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo la vita di milioni di esseri viventi. Come il carbone, questo combustibile è tra gli indiscussi responsabili dell’effetto serra, ma le nefaste conseguenze sul mondo in cui viviamo è in realtà assai maggiore. Tuttavia il cosiddetto ‘oro nero’ resta la principale fonte di energia elettrica nel pianeta, ed è per questo che nonostante lo sviluppo delle rinnovabili, e le conoscenze scientifiche approfondite sull’impatto ambientale, derivato non solo dalla combustione ma da tutta la sua filiera produttiva, il petrolio continua ad essere largamente utilizzato.

Il continuo fabbisogno di petrolio ha portato anche Paesi che non possiedono grandi quantità di questo combustibile a esplorare in terra e per mare, in modo da abbattere i costi e dipendere meno dalle importazioni, come accade, non senza polemiche e tentativi di opposizione, anche in Italia.

Cos’è il petrolio e come viene lavorato

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Il petrolio è un liquido viscoso di colore variabile, situato in alcuni giacimenti dentro gli strati superiori della crosta terrestre, con una densità e un peso specifico nella maggior parte dei casi inferiori a quelli dell’acqua, e chiamato greggio nel suo stato naturale. Esistono diverse tipologie di petrolio, ma in generale la sua composizione è fatta di idrocarburi, ovvero composti chimici le cui molecole sono formate da idrogeno e carbonio, insieme ad altre sostanze presenti in minore quantità. Il ciclo produttivo del petrolio e dei suoi derivati può sostanzialmente essere suddiviso in tre processi di lavorazione: una prima fase che comprende esplorazione, trivellazione ed estrazione del greggio, una successiva che riguarda il trasporto e lo stoccaggio, ed infine la raffinazione, ovvero il processo di trasformazione finale nei vari prodotti. Ognuna di queste fasi presenta grandi rischi e conseguenze certe dal punto di vista ambientale.

Effetto serra e cambiamenti climatici

L’effetto più evidente che abbiamo dall’uso del petrolio come fonte di energia è la produzione capillare di CO2 derivante dalla combustione. In particolare questo processo comporta la presenza nell’aria di ossido di carbonio, presente soprattutto negli scarichi delle automobili e altri mezzi che bruciano benzina o gasolio, di anidride carbonica prodotta dagli impianti di riscaldamento nelle fabbriche, e di anidride solforosa, responsabile delle piogge acide come avviene anche con il carbone. Una corposa letteratura scientifica ha dimostrato come queste sostanze tossiche siano artefici dell’effetto serra che genera i mutamenti climatici e il riscaldamento globale, e producano danni rilevanti alla salute pubblica in termini di patologie cardiovascolari e polmonari.

Inquinamento del mare

Il petrolio produce danni altrettanto consistenti in mare, sia dal punto di vista della ricerca e le estrazioni di idrocarburi offshore, sia nel momento del trasporto. Non si contano più ormai gli incidenti in mare dovuti a sversamenti di greggio, come la marea nera che colpì il Golfo del Messico nel 2010, uno degli episodi più gravi mai avvenuti. Incidenti gravi o anche ‘minimi’ hanno comunque danneggiato gli ecosistemi in maniera rilevante: basti pensare che un solo litro di petrolio ha la capacità di ricoprire circa 4000 metri quadri di mare, l’equivalente di 16 campi da tennis, e che in tutto il mondo si sono riversati negli oceani dai 4 ai 6 milioni di tonnellate di greggio, per capire il disastro incalcolabile che in tanti decenni ha generato la produzione petrolifera.

Animali e piante

Se già la semplice attività di esplorazione è in grado di disturbare le biodiversità, ad esempio attraverso l’utilizzo di tecniche come l’airgun, è inevitabile che gli animali risultino essere le prime vittime quando avviene un disastro petrolifero: i pesci muoiono e gli uccelli ricoperti dal greggio rischiano di fare la medesima fine, e quando costoro diventano cibo per altri animali entrando nella catena alimentare è facile immaginare quale possa essere l’impatto. Sostanze tossiche che danneggiano anche le piante: le infiltrazioni nel suolo infatti comportano una grave forma di inquinamento per la flora che si trova ad assorbire elementi chimici tossici. In genere le piante muoiono o subiscono delle gravi malformazioni che possono generare ulteriori vegetali pericolosi per la salute se diventano parte della catena alimentare.

Una tecnica distruttiva: il fracking

Negli ultimi anni ha preso piede soprattutto negli Stati Uniti una modalità molto pericolosa per il suolo riguardo la ricerca di idrocarburi: parliamo del fracking, o fratturazione idraulica, in cui si sfrutta la pressione di un fluido, in genere acqua, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso nel sottosuolo. Questa tecnica viene utilizzata dopo la trivellazione di una roccia, per aumentarne la permeabilità al fine di migliorare la produzione del petrolio o del gas, ma oggi è sotto osservazione e in alcuni Stati addirittura bandita poiché si può andare incontro a possibili rischi di contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell’aria. Uno studio pubblicato sulla rivista Endocrinology sostiene che tali alterazioni chimiche interferiscano con il funzionamento normale degli ormoni, provocando infertilità, cancro, e malformazioni neo-natali. Inoltre al fracking sono associati anche rischi sismici: queste tecniche di fratturazione idraulica possono generare una micro-sismicità indotta e molto localizzata dall’intensità piuttosto limitata, ma possono creare problemi di stabilità del terreno quando i sedimenti sono superficiali.

Petrolio: quale futuro?

[Credit: BP Statistical Review of World Energy – 2012]

Da molti anni gli esperti si interrogano su quale futuro si prospetti dal punto di vista energetico nel momento in cui dovessero esaurirsi le riserve di greggio nel pianeta. La spinta verso le energie rinnovabili non si spiega tanto in un improvviso amore per l’ecologia da parte dei potenti del pianeta, ma dall’effettiva scarsità di questo combustibile rispetto al fabbisogno crescente: l’Agenzia internazionale dell’energia nel 2008 ha stimato che la produzione di petrolio sia destinata a calare del 6,7 per cento l’anno, e d’altronde già il Rapporto sui limiti dello sviluppo del MIT aveva evidenziato il drastico calo a cui sarebbero andate incontro le riserve di greggio nel nuovo millennio. Una volta raggiunto il cosiddetto picco estrattivo, ovvero la metà di quanto estraibile in un giacimento, la produzione è destinata a scendere, e con essa la velocità con cui si può continuare ad estrarre, come accaduto ad esempio negli Usa. Altri studiosi sostengono che la tecnologia continuerà a rendere disponibili idrocarburi a basso costo e che sul pianeta esistono ancora vaste riserve di petrolio ‘non convenzionale’, come le sabbie bituminose o gli scisti bituminosi. Tuttavia i dati più recenti ci dicono che gli investimenti sul petrolio e i consumi sono in calo, e che gli stessi sceicchi possessori dei giacimenti più ricchi del pianeta, stanno diversificando i loro investimenti su altre fonti di energia come il solare. E se anche i tycoon cominciano a nutrire perplessità sul futuro del petrolio, vuol dire che davvero, volente o nolente, qualcosa dal punto di vista energetico è destinato a mutare per sempre.

Giulio Ragni

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