Di sicuro quello di Donald Trump è un ufficio che passerà alla storia. Il tycoon, infatti, nella serata di ieri ha stabilito un nuovo primato: è il primo presidente degli Stati Uniti ad essere messi in stato d’accusa due volte durante il mandato.
A favore dell’impeachment più veloce della storia Usa anche 10 deputati repubblicani.
Ci è voluta meno di una settimana per far sì che Donald Trump venisse messo nuovamente in stato d’accusa. Quello votato ieri è stato l’impeachment più veloce della storia statunitense.
Il voto è stato approvato ieri sera: ai 222 deputati democratici, si sono aggiunti anche 10 repubblicani. Un segnale che dopo il deciso “no” al primo impeachment (quello collegato all’Ucrainagare), nel partito iniziano a farsi strada delle crepe.
Non solo per il voto favorevole all’impeachment: sono molti i deputati del partito trumpiano che, nonostanto il voto sfavorevole alla destituzione anticipata perché considerata ormai “inutile” a pochi giorni dal naturale termine del mandato, hanno riconosciuto la responsabilità di Trump negli attacchi a Capitol Hill della scorsa settimana, che ha provocato 5 morti oltre ai numerosi feriti.
Accusato di incitamento all’insurrezione per aver istigato i propri sostenitori ad assaltare il Congresso durante la procedura di certificazione della vittoria di Joe Biden, Trump continua a sostenere brogli elettorali, arrivando anche a minacciare il segretario di Stato della Georgia.
La speaker della Camera Nancy Pelosi non ha usato mezzi termini per commentare il comportamento del presidente uscente: “Trump è un pericolo evidente ed immediato, ha incitato la ribellione armata contro la nazione, deve essere destituito“.
Il tycoon, infatti, aveva definito i riottosi dei “patrioti“, un termine che è piaciuto davvero poco a Pelosi, che ha preferito usare il termine “terroristi“.
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Forse in un estremo tentativo di recuperare terreno, almeno all’interno del suo stesso partito, Donald Trump si è anche schierato contro le rivolte. Ha condannato i manifestanti violenti, invitandoli a “superare gli impeti del momento” in una clip condivisa dalla Casa Bianca dopo il voto di impeachment.
“Io condanno in modo inequivocabile la violenza a cui abbiamo assistito la settimana scorsa. La violenza e il vandalismo non hanno assolutamente spazio nel nostro Paese e nel nostro movimento. Coloro i quali sono stati coinvolti negli attacchi saranno portati davanti alla giustizia… Che tu sia di destra o di sinistra, che tu sia democratico o repubblicano, non ci può mai essere giustificazione alla violenza, nessuna scusa, nessuna eccezione“.
Non solo le parole sembrano giungere in ritardo, ma nel video non si fa neanche menzione a questo secondo stato d’accusa, e infatti molti vedono nel video presidenziale un tentativo di evitare la condanna al Senato.
Conclude facendo riferimento alle possibili proteste armate a durante il passaggio di poteri al suo successore, Joe Biden: “Tutti hanno diritto di far sentire la propria voce in base al primo emendamento della Costituzione” ma ammonendo contro “la violenza, la violazione della legge e i vandalismi“.
Alla lista dei social network che decidono di mettere un cerotto sulla bocca del presidente, bloccando i suoi account, si aggiunge anche Snapchat. Così nel suo discorso Donald Trump lancia accuse a Big Tech: “Voglio dire poche parole sull’assalto senza precedenti alla libertà di parole. Gli sforzi di censurare, cancellare e mettere nella lista nera i nostri cittadini sono sbagliati e pericolosi“.
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