Sul Corriere ha fatto in un certo senso scalpore la lettera inviata da Francesco Casile, agente di commercio nel settore della moda, alla rubrica “Lo dico al Corriere” curata da Aldo Cazzullo, in cui offriva un posto di lavoro come venditore nel mondo della moda. Tantissime sono state le risposte con altrettante candidature, oltre 1600, ma l’imprenditore ha lamentato che, in realtà, non ha visto nei candidati una vera volontà a impegnarsi, a lavorare sodo, a faticare, insomma.
‘Mi scrivono, ma nessuno vuole lavorare davvero’
Casile taglia corto spiegando che non vede nei giovani la voglia di lavorare. Una provocazione? Forse. Lui aveva offerto un posto come venditore nel settore moda, soprattutto per allargare il mercato ai clienti di Est Europa, Russia, Cina, Giappone. Un lavoro certo specifico, a metà tra agente commerciale e brand manager, non adatto a una platea generica come i lettori del primo quotidiano nazionale, critica qualcuno.
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Ma tra le (inutili) risposte ricevute, lamenta, ci sono quelle senza curriculum vitae allegato, i candidati che chiedono se si lavora nel weekend, quelli a cui il compenso pare poco (1.500 euro al mese, per 14 mesi, si specifica) e quelli che hanno fatto storie per l’ora dell’appuntamento del colloquio.
I commenti
In tanti hanno commentato l’intervento dell’imprenditore, segnalando analoghe difficoltà nel trovare ‘gente che vuole lavorare’, lamentando che siamo “davanti a una generazione di persone che non è incline al sacrificio e che tutto pretende senza neppure dare il minimo sindacale!”. Altri testimoniano che è un problema diffuso, a prescindere dal tipo di lavoro offerto: “Il mio barista non trova un cameriere, il mio parrucchiere non trova personale”. Da uno studio legale, il titolare racconta: “Ai primi colloqui i candidati sono spesso più attenti a quando si finisce di lavorare, che ad imparare il lavoro. Fatico a trovare bravi avvocati motivati”.
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Il consiglio dell’imprenditore
Casile invita i giovani in cerca di lavoro a cambiare mentalità: “Non tutti gli imprenditori sono sfruttatori. Io stesso sono figlio di un mezzadro calabrese, però sono a Milano da 50 anni: il lavoro c’è, se davvero lo si vuole”. E poi “Non scartate l’idea di aprire una partita Iva e rischiare in proprio: guadagnerete il doppio. Ho fatto i conti: se uno facesse questo lavoro per me aprendosi la partita Iva riuscirebbe a guadagnare oltre 4.000 euro al mese”.
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