[didascalia fornitore=”ansa”]Un accampamento a pochi passi dal paese di Campobello di Mazara dove vivono migranti, in prevalenza provenienti dal Senegal, che ogni anno vengono impiegati nella vendemmia e nella raccolta delle olive[/didascalia]
Dalle pagine del Corriere Momar Nate Lo, imprenditore 42enne originario del Senegal e da diversi anni in Italia, lancia una specie di appello ai suoi connazionali migranti economici che sfidano il Mediterraneo per lasciare l’Africa in cerca di un nuovo futuro fatto di un lavoro ben remunerato e più benessere: ”Fratelli, non venite in Europa, qui per voi non c’è futuro, restate in Africa, costruite voi il futuro del continente nero”.
Per l’imprenditore senegalese che vive a Pontedera la vita non è stata sempre rosea. Appena arrivato in Italia, quindici anni fa, chiedeva l’elemosina per mangiare, poi ha fatto il venditore ambulante vicino alla Reggia di Caserta, ma è stato un caso a cambiargli la vita. “Gioco bene a pallone, mi divertivo in una squadra di amici, poi durante una cena con molte persone ho disegnato su un pezzo di carta. Mi ha notato un imbianchino italiano titolare di un’azienda e mi ha reclutato prima in prova e poi a tempo pieno”. E dopo qualche anno si è messo in proprio, visto che aveva voglia di lavorare.
Ora però, le sue parole sembrano essere quelle di un privilegiato, di un fortunato che ha avuto una sorte straordinaria, per questo ai suoi ‘fratelli africani’ ripete: “Ripensateci. In Italia è difficile integrarsi e non c’è lavoro nemmeno per gli italiani e se sei immigrato è ancora più difficile: il clima di diffidenza e i pregiudizi verso gli stranieri complicano le cose”.
“Questi ragazzi pagano una fortuna per venire in Italia, ma non si rendono conto che questo non è il paradiso che speravano. Oggi non ci sono più le possibilità che c’erano vent’anni fa. Per gli immigrati di oggi, è molto più difficile integrarsi, ci sono meno possibilità. A tutti i miei connazionali senegalesi che stanno per partire alla volta dell’Europa – spiega Momar – consiglio di restare a casa. Meglio vivere in Senegal piuttosto che rischiare la vita per venire in Italia per poi perdere la dignità vendendo accendini. O magari stare in un centro d’accoglienza senza far niente”.