Cina, Ungheria e Serbia, i paesi a cui la maggioranza offre appoggio e simpatie. Intanto sul piano nazionale c’è il via alla nuova linea: rigida contro la stampa, ma morbida sugli evasori. A scuola, studenti da “umiliare”.
Il governo di Giorgia Meloni sta attraversando un periodo di prove intense, sia sul fronte interno che su quello europeo. Anche all’estero i segnali non sono confortanti. Tre campi differenti dove il terreno è ugualmente scivoloso. Oggi a Bruxelles la coalizione di destra si è spezzata, con Forza Italia che ha votato sì alla risoluzione del Parlamento europeo contro l’Ungheria di Orban. L’Europa, insomma, vuole escludere l’Ungheria dall’erogazione dei fondi monetari. In fumo per Viktor Orban andrebbero ben 7 miliardi e mezzo di euro.
Contro la risoluzione del Parlamento europeo hanno votato però Fratelli d’Italia e la Lega, confermando le simpatie evidenti a tutti per le derive autoritarie interpretate dal filorusso Orban. Due mesi fa l’Europa aveva etichettato l’Ungheria in un altro documento come una “autocrazia elettorale”, deprezzandola in sostanza dalla sua originaria forma democratica di governo. Dall’opposizione non sono mancate le controbattute. “Il governo Meloni dovrà decidere se schierarsi dalla parte di Orban o da quella di tutta l’Unione europea che pretende il rispetto dei più elementari diritti fondamentali”, ha detto Laura Ferrara, europarlamentare in forza al Movimento 5 Stelle.
La rottura europea della coalizione di maggioranza sul caso Orban altro non è che il sintomo di un malfunzionamento del centrodestra, dove la rotella rotta di Forza Italia potrebbe incepparsi in maniera definitiva. Ma forse il voto del partito di Silvio Berlusconi, il più europeista nella maggioranza e non in linea da tempo con gli alleati, è da intendersi come il contrappeso di una politica che guarda comunque con facilità e accondiscendenza ai leader autoritari, salvo poi rivolgersi col ringhio a quelli democratici. Vedi il caso Macron e migranti in Francia. Durante l’incontro con Xi Jinping al G20 di Bali, la premier Giorgia Meloni, poi, non ha osato toccare note dolenti come l’indipendenza di Taiwan né i diritti umani in Cina, ma ha preferito portare l’attenzione sugli “interessi economici reciproci”. Non è esattamente ciò che si aspettava dalla grand’Italia prospettata nel discorso di insediamento della presidente del Consiglio.
Ancora esteri. Oggi il ministro degli Esteri Antonio Tajani (Fi) ha commentato come un “successo” l’incontro, a sua detta pacificatore, avvenuto con i presidenti di Serbia e Kosovo tre giorni or sono. “Il primo passo che è stato fatto concretamente ieri a Bruxelles dai rappresentanti del Kosovo e della Serbia arriva il giorno dopo la visita che abbiamo fatto insieme al ministro della Difesa, Guido Crosetto”, ha detto il ministro Tajani a margine di un convegno, aggiungendo che “L’Italia vuole essere protagonista di pace nei Balcani, perché è una regione europea, perché è una regione dove l’Italia è molto conosciuta, dove c’è la presenza consistente dei militari italiani”.
La poesia della colomba di pace Tajani, però, non collima con la ratio di un paese democratico che dovrebbe condannare con forza la Serbia, esplicitamente filorussa, peraltro rea di aver rifiutato in toto le sanzioni verso Mosca. Una Serbia dove vige de facto l’autoritarismo di Aleksandar Vucic, che si dota inoltre di un controllo pressoché totale sulla stampa e usa l’indipendenza del Kosovo più come deterrente che come ragion di Stato, spiegano gli analisti.
In Kosovo, poi, ci sono centinaia di militari italiani in forza alla divisione KFor, i nostri sono lì con la Nato dal 1999 e non è una novità. Ma il dubbio legittimo è un altro. Perché mandare Tajani insieme a Crosetto? Se così dobbiamo credere, in Serbia è stato inviato un ministro della Difesa a parlar di pace.
Rispondendo in conferenza a una domanda sulle influenze della Russia, il ministro Crosetto ha spiegato: “La Serbia non vuole farsi strumentalizzare da nessuno, ha una sua postura, ha dimostrato una volontà di dialogo superiore a quella che mi sarei aspettato“. Ma la “coerenza” con le verità sulla Serbia filorussa non è proprio totale.
E la politica interna. Se la fenomenologia del governo Meloni lascia spazio a legittimi interrogativi sia sui frangenti europei che su quelli degli esteri, il piano fattuale visto dall’interno non è da meno. La recente conferenza stampa della premier Meloni ha suscitato le reazioni di molti giornalisti non allineati. Da alcuni sono proferiti epiteti pesanti, tipici del fishing e del “Profumo” di Patrick Suskind. Perché è la forma che conta. E il tono sprezzante della premier Meloni rivolta ai giornalisti con fare di sufficienza è un boccone amaro che altrettanto non è andato giù a nessuno.
Omissis sul ministro dell’Istruzione Valditara: “Quel ragazzo deve essere seguito. Soltanto lavorando per la comunità scolastica, deve lavorare per la collettività, non si perderà. Umiliandosi anche. Evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale di crescita e nella costrizione della personalità”, ha detto il ministro a Milano durante l’incontro Italia-Direzione Nord, salvo poi ravvedersi.
Non vale la pena aggiungere altro, la sostanza comunicativa del dibattito politico e anche quello pubblico sui social, sta radendo veramente il suolo.
I provvedimenti pensati dal governo in tema erariale, poi, esprimono poco della destra sociale e molto della destra populista. Da annoverarsi c’è un condono fiscale su multe e cartelle esattoriali, che aiuta sì gli insolventi ma anche gli evasori. Un provvedimento nefasto, che peraltro cozza con l’idea già arrugginita di senso dello Stato in questo paese. Il condono fiscale della manovra finanziaria, seppur ridotto sotto i mille euro, altro non è che un modo di presentare ai cittadini uno Stato transigente, che tollera la frode e poi addirittura la condona. Ed è proprio ciò che cozza con gli ideali da super nazione tanto rincorsi dalla premier Meloni.
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