Nell’ultimo periodo in Italia è nato un fenomeno che prende il nome di mismatch.
Si tratta della ricerca di lavoratori che però non va a buon fine.
Il fenomeno del mismatch
In Italia la situazione lavorativa sembra essere abbastanza inusuale: non si riesce a trovare i lavoratori di cui si ha bisogno. Questo è un fenomeno che prende il nome di mismatch.
Infatti, a seguito della pandemia, si è registrato un grande cambio di passo decisamente inatteso. Lo scorso anno infatti sono stati circa 2 milioni i posti che non sono stati occupati anche se non mancavano due milioni di disoccupati. Una situazione che si è verificata nonostante siano presenti anche altri 2 milioni di disoccupati giovani che non stanno seguendo nessun corso di formazione né tantomeno sono impiegati. Questo è un fenomeno che gli esperti hanno definito come una “Tempesta Perfetta”. In poche parole, la domanda di lavoro non riesce ad incrociare l’offerta andando così a creare un fenomeno transitorio che si configura come “strutturare e multifattoriale”.
È molto importante capire il motivo di tale situazione anche perché tutto ciò ha provocato una perdita di 235,6 di euro miliardi sull’economia del paese. Il mese di febbraio Bankitalia aveva già lanciato un allarme in quanto il potenziale bacino occupazionale dei 375.000 posti di lavoro potrebbero dar vita ad un vero e proprio picco durante il prossimo anno.
Due sono le ragioni che indica via Nazionale, ossia la mancanza di profili adeguati e le tendenze demografiche sulla popolazione. Infatti, saranno circa 630 mila le persone in meno che ci saranno in Italia. A causa dell’Italia che invecchia e che fa meno figli sono molto il debito pubblico aumenterà del 166,5% in quanto si andranno a gonfiare i costi sanitari, previdenziali e quelli di assistenza sociale.
Negli ultimi 10 anni i giovani occupati hanno visto una diminuzione del 7,6%, mentre i senior sono aumentati del 40,8%. Inoltre, non è stata d’aiuto la stretta sulle politiche migratorie che sono state realizzate durante questi ultimi anni. Non manca poi un altro volto del mismatch.
Il fatto che in Italia si facciano sempre meno figli, si traduce in un numero più basso di dottorati e laureati. Inoltre, coloro che riescono a raggiungere il proprio obiettivo, scelgono di trovare un posto di lavoro all’estero lasciando quindi l’Italia. A questo riguardo ha parlato il direttore generale della fondazione Links, Stefano Buscaglia il quale ha affermato che: “Uno dei miei più brillanti giovani ricercatori, un giorno mi ha detto: “Vado a Berlino, farò il data scientist per Amazon”. Come dargli torto? È passato da uno stipendio di 32-33 mila euro a 80 mila euro annui. In questo momento trovare persone che vogliono fare ricerca applicata in Italia anziché farsi assumere dai colossi è davvero dura”.
Per alcuni mestieri la competizione non sembra essere per nulla al rialzo. Infatti a questo riguardo Buscaglia afferma che attualmente la cultura del lavoro risulta essere totalmente diversa. Oggi il giovane non va più alla ricerca della carriera che ha inizio con la classica gavetta ma cerca direttamente una professionalità fatta di stipendi alti e smart working così che possa avere tempo anche da dedicare alle proprie passioni. Anche questa situazione è un fattore che compone il mismatch. Infatti, è molto importante anche tenere a mente che il 46,7% degli occupati, come afferma il Censis, è pronto a lasciare l’impiego attuale. Di questa percentuale il 50,4% sono i giovani, il 58,6% sono operai e il 26,9% sono manager.
Il problema della precarietà
Il problema è provocato anche da un disagio crescente di quelle che sono le condizioni di lavoro che risultano essere sempre meno sopportabili. Infatti, il 21% degli occupati si trova in una situazione di precarietà mentre vive il 17% lavora con un contratto part time involontario.
Alla base del mismatch troviamo anche il declino demografico unito ai flussi migratori a cui poi vanno aggiunti anche i livelli retributivi insieme ai cambiamenti culturali. Claudio Gagliardi, il vicesegretario generale di Union camere, afferma che a seguito della pandemia, tale fenomeno è andato alle stelle.
Se prima un quarto della domanda di lavoro era in difficoltà, nel 2020 la percentuale è arrivata al 30% per aumentare al 32% nel 2021 e al 40% nel 2022: “La forte accelerazione impressa dalla transizione digitale ha reso ancora più difficile il passaggio tra scuola e università, tra università e mondo del lavoro e anche tra lavoro e lavoro. Se prima le imprese non trovavano competenze giuste, ora un quarto non trova per mancanza di candidati. Così si perde un pezzo di Pil, noi stimiamo più di 15 miliardi all’anno. Le aziende rinunciano alle commesse e ad andare all’estero”. Nei primi mesi di quest’anno la situazione sembra addirittura peggiorata: le posizioni difficili da trovare in febbraio sono salite al 46% del totale”.
Pare inoltre che durante i primi mesi di quest’anno la situazione sia ancora più grave in quanto, soltanto nel mese di febbraio, sono aumentate al 46% le posizioni difficili da trovare. Non manca poi un problema inerente alle politiche attive ma funzionanti insieme ad un orientamento che ancora non riesce a venire a galla come si deve. Infatti, soltanto il 10% delle imprese chiede aiuto ai centri per l’impiego mentre l’11% utilizza canali digitali. Tutte le altre invece si avvalgono di metodi informali, tra cui il passaparola.