[didascalia fornitore=”altro”]Un lavoratore evaporato. Questo tipo di incidenti sul lavoro in estate diventa sempre più frequente. Foto di lassedesignen/Shutterstock.com [/didascalia]
Questo articolo può essere letto in due modalità: breve o lunga.
MODALITA’ BREVE: d’estate fa caldo quindi andare a lavorare indossando giacca e cravatta per poi sparare l’aria condizionata a palla è stupido. Grazie per la lettura e arrivederci.
MODALITA’ LUNGA: E’ luglio. Le città sono dei forni non ventilati. Chi cammina sul marciapiede lo fa a suo rischio e pericolo: le lamiere delle auto parcheggiate emanano calore come i nuclei delle giganti rosse. Una zanzara l’altro giorno mi ha spiazzato: “Succhiati da solo, io ho troppo caldo”. Eppure per strada, sui tram, in metro vedo uomini eroici in giacca e cravatta che arrancano verso l’ufficio, umidicci e rassegnati. E mi domando perché.
[didascalia fornitore=”ansa”]Junichiro Koizumi in una foto del 2005[/didascalia]
Nel 2005 il premier giapponese Junichiro Bellicapelli Koizumi raccomandò ai cittadini nipponici di sciogliersi il nodo della cravatta e di lasciare la giacca nell’armadio. Andare in ufficio con un look casual avrebbe permesso alla nazione di risparmiare energia e di abbassare i livelli di inquinamento. Traduzione: più soldi in cassa e meno morti di tumore, mica scemo Koizumi.
In Italia l’iniziativa fu imitata da Eni e da poche altre realtà illuminate. Per dare un’idea del risparmio in termini di energia e di minore impatto sull’ambiente, con la campagna “Eni si toglie la cravatta” nel 2011 – dichiara l’azienda – fu risparmiata la stessa quantità di CO2 che avrebbe potuto produrre un’auto per compiere 40 volte il giro del mondo, e si evitò di sperperare 430.000 kWh di energia elettrica.
L’iniziativa dovrebbe essere applicata a tappeto. Non c’è nulla di male nel barattare un po’ di eleganza per un grande vantaggio economico, energetico e ambientale. E anche per un pizzico di comodità in più.
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(Nella foto: un lavoratore mostra gli effetti di un abbigliamento non adeguato alla calura estiva)
Ma siamo italiani e, si sa, per noi la forma è sostanza. Dobbiamo complicarci la vita oppure ci sentiamo in colpa. Anche perché non riuscendo ad essere persone serie ci illudiamo di compensare diventando seriosi. Ecco spiegato perché la scritta “pay here” che si trova sui caselli delle autostrade americane da noi per anni ha avuto un corrispettivo ben più arzigogolato: “La riscossione del pedaggio viene effettuata dal lato in cui opera l’esattore”.
La stessa cosa accade col vestiario sui posti di lavoro che impongono un dressing code formale. Ma siamo proprio sicuri che eleganza e formalismo siano indice di affidabilità e professionalità?
Proviamo a immaginare due scenari, uno rigidamente formale ed uno più casual e domandiamoci se le cose andrebbero realmente così.
Questo articolo non è un invito ad andare a lavorare in canottiera e bermuda. Fra il rigido formalismo del completo elegante e la sciatteria da spiaggia esiste una ragionevole via di mezzo. Si può timbrare il cartellino e fare un figurone indossando semplicemente camicia e cravatta, oppure una camicia senza cravatta con colletto chiuso, oppure una camicia senza cravatta con colletto aperto, oppure anche solo una polo su pantaloni lunghi di cotone.
[didascalia fornitore=”altro”]”Buongiorno, sono il suo nuovo consulente finanziario. Non porto giacca e cravatta quindi scapperò sicuramente col malloppo dopo averle truffato tutti i soldi” / Foto di Dean Drobot/Shutterstock.com[/didascalia]
Se finora non vi ho convinto, permettetemi di buttarla sul sessismo che oltre ad andare di moda fa sempre presa: negli uffici dove vige un dressing code formale gli uomini sono costretti a indossare giacca e cravatta e le donne, che normalmente indosserebbero camicetta e gonna al ginocchio, hanno due scelte: congelare o coprirsi come se fosse autunno. Sì, l’aria condizionata è sessista. Vi sembra giusto?
Se ad agosto c’è qualcosa che mi mette ansia è guardare i telegiornali condotti da giornalisti uomini ingiaccati e incravattati. Osservare quei signori che mi raccontano le notizie coperti di tutto punto, mentre io soffro i 30-35 gradi del mezzogiorno siciliano, mi fa sudare anche l’anima. E mi fa anche sorridere: perché nei ricordi della mia gioventù c’è uno stage nel telegiornale di una rete privata. Il conduttore, in piedi nello studio, raccontava le notizie indossando solo la parte superiore di un completo impeccabile. Nella parte inferiore invece portava bermuda e infradito. La telecamera lo inquadrava solo dal mezzobusto in su.
Concedetemi un altro ricordo, che non ho vissuto ma che mi è stato riferito da persone a me vicine. Anni ’90, luglio, facoltà di Giurisprudenza di Palermo: il chiarissimo professore, ben coperto da giacca, cravatta e panciotto nonostante il periodo estivo, interrogava durante una sessione d’esame in un’aula di piccole dimensioni. Fuori oltre 30 gradi, dentro una temperatura prossima all’inverno nucleare dovuta ad un abuso dell’aria condizionata. Gli studenti, già tesi per l’esame, battevano i denti e rabbrividivano. Ogni invito ad alzare la temperatura veniva cassato dal chiarissimo: “Mi volete far morire di caldo?”
Tutto ciò è grottesco.
In ufficio alziamo di qualche tacca il buonsenso e abbassiamo in maniera proporzionale l’aria condizionata. Giacca e cravatta a luglio e agosto possono tranquillamente restare nell’armadio. Nessuno ne sentirà la mancanza. L’ambiente ringrazierà, così come il portafoglio. Decoro e professionalità non ne risentiranno affatto. Gli unici posti giusti dove indossare giacca e cravatta in estate sono quei matrimoni ai quali in realtà nessuno avrebbe davvero voglia di partecipare.
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