Una canzone del 1935, Faccetta nera, e un’altra diventata famosa quasi vent’anni dopo, Bella ciao, sono al centro di una polemica non da poco in una scuola elementare di Cremona, la Bissolati. I due brani, uno inneggiante al Duce, Benito Mussolini, l’altro, al contrario, il manifesto della lotta partigiana – anche se, probabilmente, i partigiani che hanno combattuto la Resistenza mai lo hanno cantato -, sono stati inseriti nel programma di lavoro di una classe della primaria, e presentati ai genitori in un’interclasse dagli insegnanti che, forse, si sono espressi male sulle intenzioni.
Il proposito dei maestri, infatti, era quello di insegnare ai bambini e ragazzi cremonesi che cosa abbia significato per l’Italia l’epoca del fascismo, facendoli riflettere su quello che è stato il momento della Liberazione, tanto dal regime del ventennio, ma ancora di più dall’invasione dei soldati nazisti tedeschi.
E quindi lo scudo che si è levato nei confronti delle insegnanti. Uno scudo che la preside del plesso, che conta 45 sezioni, Daniela Marzani, raggiunta dal Fatto Quotidiano ha commentato dicendo non si ha “alcuna intenzione di insegnare ‘Faccetta nera’. Si tratta di un equivoco. Il progetto educativo musicale è stato travisato. Qualcosa nel consiglio d’ interclasse non è funzionato ma le posso garantire che non c’è alcun approccio politico ma solo una riflessione a livello storico“.
Non solo, però, perché la dirigente scolastica ha anche sottolineato che non c’era bisogno che i genitori ne parlassero con i media, mettendo l’accento soprattutto sulla scelta di cantare la canzone che inneggia alle Camicie nere che avrebbero liberato la bell’abissina, ma ha anche ulteriormente chiarito che se lei fosse “stata presente alla riunione avrei invitato tutti a una riflessione più prudente per evitare contestazioni di questo genere“. Marzani ha poi chiosato sulle condizioni in cui versa la scuola in Italia, e in generale, e quindi “delle risorse e delle questioni vere della scuola senza alimentari casi sul nulla“.
Che sia un caso montato sul nulla possiamo avere i nostri dubbi. Benché, infatti, Mussolini non sia stato un fan della prima ora del brano di Renato Micheli, e musicata do Mario Ruccione, da quando è nata, la canzone è sempre stata ed è tuttora il simbolo di un movimento che, nei fatti, è stato messo fuori legge nel 1948, nell’esatto istante in cui la Costituzione è entrata in vigore, ormai più di 75 anni fa.
In un periodo, poi, come questo, in cui anche a scuola – si pensi a quello che è successo nel liceo Michelangiolo di Firenze, in cui degli esponenti di un collettivo di estrema destra come Azione studentesca, un tempo facente parte del primo partito alle elezioni politiche del 25 settembre, e nei sondaggi, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, hanno picchiato due studenti – ritorna preponderante il tema dello squadrismo, e anche del fascismo, forse non è proprio il massimo volere un dialogo con dei ragazzi spiegandogli il testo di Faccetta nera, che, diciamocelo, non è neanche tutto questo gran capolavoro, e di riflessioni ne genera solo in negativo.
Un periodo in cui, per altro, anche il suo alterego, la stessa Bella ciao che altrettanto avrebbe dovuto ed è stata insegnata e presentata agli studenti della scuola primaria di Cremona, non è esente da critiche, anzi. Il manifesto della lotta partigiana che, come dicevamo prima, non è mai stata davvero cantata da chi combatteva contro i soldati di Adolf Hitler, non l’ha voluta cantare neanche Laura Pausini, una delle popstar più importanti a livello internazionale della nostra terra, che l’aveva definita, all’epoca, “troppo politica“.
Per carità, lungi da noi credere che la scuola non debba essere un terreno in cui si deve fare e parlare di politica, specie perché la disaffezione dei giovani nei confronti della cosa pubblica sta avendo effetti deleteri, specialmente dal punto di vista dell’affluenza. Lo si è visto a livello nazionale, e lo si è visto soprattutto in Lombardia e nel Lazio esattamente un mese fa. Seppur con un ampio margine rispetto agli sfidanti del centrosinistra, divisi o uniti che fossero, Attilio Fontana e Francesco Rocca sono stati votati dalla metà del 40% della popolazione delle due regioni più popolate d’Italia, il primo governatore anche di quella Cremona che è finita al centro della polemica.
Se per riportarli alle urne, o per fargli avere una coscienza politica, però, c’è bisogno di riportare a galla una canzone come quella che ci rimanda al Duce – che a lui sia piaciuta o meno -, be’, ecco, ci sono altri modi. Magari basterebbe ricordargli che quello da cui stanno scappando i migranti è il loro ventennio, e quindi sono le dittature, sono le guerre, che quella disperazione un tempo è stata anche la nostra, ed eravamo noi quelli che fuggivamo in cerca di un futuro migliore. Basterebbe abituarli al rispetto dell’altro, di quello che si considera diverso, facendogli percepire come in realtà è: una persona, in carne e ossa, fatta di sogni, progetti, e sentimenti uguali e precisi ai nostri, che siamo nati in una fetta di mondo, ora, decisamente più fortunata, ma che questa fortuna ce la siamo anche conquistati con la lotta, dei partigiani, delle donne, del popolo.
Quel popolo a cui, anche da piccoli, appartengono anche loro, i bambini di una scuola primaria di Cremona, gli studenti dei licei, che sì, ha ragione la preside, hanno bisogno anche di una scuola più pronta a rispondere a tutte le esigenze di chiunque ci vada – tutti, e senza distinzioni. La stessa scuola che è una palestra, un ritrovo, una casa, e a volte anche una famiglia in cui rifugiarsi. La stessa scuola che non può essere, però, un campo di battaglia su cui scontrarsi, destra sinistra, Nord e Sud, Est e Ovest, chiari, scuri, verdi, gialli, blu, di qualsiasi colore ci sentiamo. Una scuola in cui non ci deve essere neanche una diatriba su Faccetta nera, consegnata al passato, e Bella ciao, un canto di Liberazione, sì.