Che tra il programma di Rai 3 ed il leader leghista non scorra buon sangue è ormai chiaro, dato che emerge anche nella nuova inchiesta di Report.
La trasmissione, sotto la conduzione di Sigfrido Ranucci, nei mesi scorsi è tornato più volte a parlare di Matteo Salvini e della Lega con le sue inchieste. Nella tradizione anglosassone che vuole il giornalismo come il cane da guardia del potere, le magistrali inchieste di Report hanno trovato nella affair Lega – Russia un osso duro ma succulento.
Negli scorsi mesi Report aveva seguito il filone di inchiesta aperto dalle rivelazioni del sito americano Buzzfeed rilanciate in Italia dall’Espresso nel Febbraio 2019. Nel resoconto dei servizi si svelavano i dettagli di un incontro tenutosi il 18 ottobre 2018 all’hotel Metropol di Mosca tra Gianluca Savoini, amico e collaboratore di Matteo Salvini, e altri personaggi italiani e russi per discutere di finanziamenti alla Lega. Nelle settimane immediatamente successive alla notizia Salvini lasciò intendere di non conoscere Gianluca Savoini e di ignorare il motivo della sua partecipazione alla missione diplomatica italiana in Russia. Tale strategia non troverà però molto successo, in quanto in più occasioni numerose testate giornalistiche dimostreranno come quello tra Salvini e Savoini sia un rapporto di profonda amicizia da circa 30 anni e che la sera prima della presunta trattativa al Metropol, Salvini si intrattenesse a cena con Savoini proprio all’hotel Metropol.
Nel luglio del 2019, con l’avvicinarsi della crisi di governo che avrebbe fatto implodere il patto Lega – M5S, il contenuto delle trattative dell’hotel Metropol viene svelato definitivamente attraverso la pubblicazione di un audio dal sito americano BuzzFeed. Alla luce di tale pubblicazione, Matteo Salvini ribadì ancora una volta di “non aver mai visto un rublo” e che i suoi rapporti con la Russia fossero tutti “alla luce del sole”. Bersagliato da richieste di chiarimenti, in quanto ancora ministro dell’Interno, Salvini annunciò a fine luglio che sul caso avrebbe “riferito in Parlamento, forse prima di Conte”. Ma da quel momento, la strategia difensiva si modificò nuovamente.
Con la fine del governo gialloverde e l’avvio dell’inchiesta della Procura di Milano, il leader del Carroccio provò forse una sensazione di accerchiamento che lo costrinse ad una repentina chiusura sull’argomento. In particolare nell’inchiesta della magistratura che indaga per corruzione internazionale, ci sarebbe anche uno screen dello schema trovato dagli inquirenti nel telefono di Savoini: l’ipotesi investigatoria sarebbe che da quell’incontro al Metropol dovesse avere come risultato una vendita di 3 milioni di tonnellate di carburante da una società russa all’Eni (che si è dichiarata estranea alla vicenda), con tanto di “cresta” del 4% che sarebbe dovuta servire a finanziare la Lega per un totale di 65 milioni.
A tali indiscrezioni Salvini aveva reagito stizzito difendendo Savoini, suo ex collega a La Padania, al centro dell’inchiesta per corruzione internazionale: «Per me gli italiani sono innocenti fino a prova contraria. Io aspetto che i giudici ci dicono che cosa è successo. Voglio delle prove, non sarebbe la prima volta che un audio viene montato e smontato, aspettiamo le prove». Inoltre aveva messo in dubbio la possibilità che lui e Savoini potessero effettivamente nascondere una tangente monstre di 65 milioni di euro. Ipotesi che a livello giuridico potrebbe anche essere irrilevante in quanto la corruzione si prefigura anche soltanto con una promessa di denaro (non ci deve essere il passaggio materiale di soldi per configurare l’ipotesi di reato). Ad incalzare Salvini, nel duello televisivo di qualche settimana fa a Porta a Porta, ci aveva pensato anche l’acerrimo nemico Matteo Renzi che aveva infierito sul rapporto sconveniente tra il leader leghista ed il presidente dell’associazione Lombardia-Russia: “perché non quereli Savoini… Se uno dei miei viene con me e va chiedere 65 milioni al Metropol, io lo querelerei”.
Che negli scorsi anni la Russia abbia aiutato, anche finanziariamente, alcuni partiti d’estrema destra in Europa non è più un segreto. Konstantin Malofeev, uomo d’affari russo vicino alla destra putiniana, detto l’Oligarca di Dio, intervistato dall’inviato di Report è uno dei principali indiziati. Malofeev rientra nella lista delle persone sgradite all’Unione Europea. È accusato di aver finanziato la guerra in Crimea e quindi, da diversi anni, le sue attività in Ue sono state limitate, tanto che non gli è consentito finanziare formazioni politiche negli stati dell’Unione. Proprio il miliardario russo avrebbe infatti contribuito ad agevolare il prestito da 9 milioni di euro ottenuto dal partito di Marine Le Pen tramite una banca controllata da Mosca e altri 2 milioni da una società cipriota. Inoltre, avrebbe aiutato in più occasioni l’Alternative für Deutschlan (AfD), il primo partito di estrema destra ad entrare nel parlamento tedesco dalla fine della seconda guerra mondiale, in costante ascesa nei sondaggi in Germania.
Il piano ultraconservatore che il giornalista di Report mette in luce punta alla dissoluzione del progetto dell’Unione Europea, contrario agli interessi geopolitici russi, e alla fine del papato accomodante di papa Francesco. Sostituire l’accoglienza cristiana e il motto dell’Unione Europea “uniti nella diversità” con le parole chiave del complotto della sostituzione etnica, del primato nazionale, del protezionismo e dell’innalzamento dei muri tra gli Stati.
Un piano che, nonostante le sanzioni, Malofeev potrebbe aver continuato a finanziare – secondo l’inchiesta di Report – attraverso una rete di fondazioni che parte dalla Russia, con la fondazione S. Basilio il Grande, e che passa da fondazioni americane, come la National Christian Foundation, eventi ed associazioni ultratradizionaliste e fondazioni della destra religiosa presenti anche all’evento “scandalo” della scorsa estate, sponsorizzato dalla Lega: il World Congress of Families.
Ma perché proprio la Lega? Sempre nell’inchiesta di Report, l’oligarca russo Malofeev, dice di aver scelto la Lega semplicemente perché aveva “un livello socio-culturale molto basso“. Un livello così basso da essere penetrabile. Un terreno fertile su cui seminare. Seminare ad esempio propaganda. Questa è la principale voce di costo infatti dei partiti di destra in Italia. Attraverso fake news (notizie false) rilanciate da profili falsi (troll) si può far crescere una determinata forza politica. Ma serve sempre cibo per le fauci della bestia. Così infatti viene chiamata dagli stessi creatori la macchina della propaganda leghista: la Bestia. A far funzionare questo meccanismo propagandistico ci sono 35 esperti digitali che coprono la vita pubblica e privata di Salvini 24 ore al giorno, festività incluse. Ma non solo la Lega usa questa macchina geniale del consenso.
Anche altri partiti, come Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e il M5S sono finiti sotto la lente di Report. Attraverso processi automatizzati in grado di simulare il nostro modo di interagire e conversare, diffondendo messaggi ed eseguendo azioni (come mettere like), mimando di fatto gli esseri umani in carne ed ossa, alcuni bot (diminutivo di robot) hanno diffuso nei social network informazioni false e tendenziose in grado di far accrescere determinati partiti. Ed i partiti per spargere bugie in maniera virale hanno spesso anche decine di migliaia di euro per ogni singolo post su Facebook. Questo quello che si evince dall’inchiesta di Report andata in onda su Rai3.
Bugie indirizzate soprattutto alle fasce più deboli: anziani ed adolescenti. Una marea di soldi spesi che però portano spesso i loro frutti. Infatti, come si è visto anche in questi ultimi giorni, il “gioco” sembra aver funzionato. Gioco adesso appannaggio della destra, ma la “bestia” non ha colore: oggi è nera, domani potrebbe essere rossa o gialla. Il problema è che con la diffusione delle teorie dei complotti e delle notizie false non è questo o quel partito a perdere, ma è la democrazia ad uscirne sconfitta. Perché senza una conoscenza pura, non si può decidere in maniera libera.
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