Il dubbio è che la pratica di smaltimento dei rifiuti derivanti dal petrolio, prodotti dal Centro Oli dell’Eni in Basilicata, possa avere provocato danni alla salute dei cittadini e all’ambiente. Per verificare una eventuale correlazione tra la possibile presenza di inquinamento e le patologie curate negli ospedali lucani, i Carabinieri del Noe hanno acquisito diverse cartelle cliniche in tutta la Regione, tra cui anche quelle relative ai malati di tumore.
La Procura di Potenza continua a indagare nell’ambito dei tre filoni dell’inchiesta che tocca il Centro oli dell’Eni a Viggiano, l’impianto Total di Tempa Rossa e il porto di Augusta, in provincia di Siracusa. A proposito del Centro Oli di Viggiano e delle attività di smaltimento dei rifiuti prodotti dallo stabilimento Eni, stanno proseguendo in tutta la Basilicata le indagini epidemiologiche anche sui bioindicatori, che sono in grado di dimostrare la presenza e il grado di inquinamento delle produzioni agricole locali e degli allevamenti.
Il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ha commentato così le ultime novità dell’inchiesta partita, lo ricordiamo, nel 2010: ”Dispiace rilevare che per risparmiare denaro ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini”. Nell’ordinanza del gip, infatti, al proposito si legge come avveniva il traffico che generava un ”risparmio dei costi”, ovvero si agiva sul ”corretto smaltimento dei rifiuti prodotti dal centro oli” movimentando ”rifiuti speciali pericolosi” che venivano ”dal management Eni qualificati in maniera del tutto arbitraria e illecita” con una dicitura che li identificava come ‘non pericolosi’, e poi inviati con autobotti agli impianti di smaltimento – come Tecnoparco, in Valbasento – dove subivano ”un trattamento non adeguato e notevolmente più economico”. La restante parte dei liquidi reflui sarebbe stata trasferita nel pozzo Costa Molina 2, sebbene l’attività di reiniezione – precisa il gip – non risultasse ammissibile per la presenza di sostanze pericolose. Il pozzo è stato messo sotto sequestro e dall’Eni vengono resi noti alcuni studi in cui si legge che quei liquidi ”non sono acque pericolose, né da un punto di vista della normativa sui rifiuti, né da un punto di vista sostanziale”, e ”l’attività di reiniezione svolta presso il centro oli” è ”conforme alla legge italiana e alle autorizzazioni vigenti” e ”risponde alle migliori prassi internazionali”.
Intanto, secondo il Gip, i vertici del Centro oli avrebbero responsabilità anche nel celare le inefficienze dell’impianto circa le emissioni in atmosfera della struttura: ”I vertici del centro oli decidevano deliberatamente e in diverse occasioni di comunicare il superamento dei parametri” seguendo ”condotta fraudolenta”, ovvero spiegando tecnicamente qualcosa che ”non corrispondeva al vero” o dando una qualsiasi altra motivazione ”diversa da quella effettiva”. Gli investigatori ipotizzano ‘manomissioni’ delle comunicazioni agli enti di controllo sui superamenti dei limiti di legge per ‘non allarmarli’.
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