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Tra vip, opinionisti, editorialisti e semplici cittadini, tutti sono concordi nel dire che il disastro ferroviario accaduto in Puglia poteva essere evitato, che è scandaloso che ci siano ancora chilometri e chilometri di infrastruttura ferroviaria nazionale vecchia, vecchissima, praticamente da rifare. Il binario unico non è una prerogativa della Puglia, sia ben chiaro, ma di tutta Italia, soprattutto del Meridione e delle Isole, ma ci sono esempi anche al Nord (vedi la Val D’Aosta). E non si parla (soltanto) di pochi chilometri di rete lasciata in mano a qualche gestore privato in concessione (certo, i numeri parlano da soli: 6000 km su un totale di 6500), ma di oltre novemila chilometri su un totale di sedicimila gestite dalla RFI nazionale.
Il problema fondamentale alla base di tragici incidenti come quello avvenuto tra Andria e Corato non è tanto (o soltanto) la presenza di binario unico, quanto la mancanza di tecnologie innovative e comode per la gestione del traffico ferroviario in queste condizioni. Il doppio binario, da solo, non è garanzia di sicurezza in assoluto, se non adeguatamente rafforzato da semplici ma efficaci tecnologie. E delle carenze della Rete Ferroviaria italiana, specialmente al Sud, ne abbiamo parlato esaurientemente in questo articolo.
Il paradosso è che questo argomento, cioè la condizione e lo stato delle ferrovie in Italia, e in particolare in Puglia, non è entrato nelle Aule parlamentari in questi giorni di luglio 2016, ma addirittura nel 1911, come testimoniato in un bel reportage a firma Nicoletta Cottone pubblicato sul Sole24Ore. Ai tempi la discussione fu portata dal deputato Giovanni Ravenna, già sindaco di Gallipoli e bisnonno della Cottone, alla Camera dei deputati del Regno d’Italia.
Nel lungo documento tratto dagli Atti Parlamentari della Camera dei deputati del Regno d’Italia (XXIII Legislatura, 12 giugno 1911) si legge l’intervento di Giovanni Ravenna sullo stato delle ferrovie pugliesi:
”Se non ci decidiamo a impiantare questi doppi binari, noi soffochiamo lo sviluppo dell’industria, del commercio e del traffico”, e ancora sosteneva: ”Le ferrovie finiscono a Lecce, possiamo dirlo senza tema di smentita perché effettivamente fino a Lecce si hanno i collegamenti diretti coi grandi centri. Da Lecce in poi si è serviti dall’esercizio economico” e lamentava la bassa velocità (20 km orari contro i 35 stabiliti) dovuta proprio alla presenza di binario unico. ”Occorre un tempo infinito per andare da Lecce a Gallipoli e ciò arreca un danno gravissimo all’economia dei paesi posti a Sud del capoluogo” furono le parole del deputato.
Le cose non sembrano dunque essere cambiate di molto, nonostante il secolo trascorso. Ecco uno stralcio del racconto di Giovanni Ravenna tratto dagli Atti parlamentari della XXIII Legislatura del Regno d’Italia, in cui si parla di come si viaggiava al sud oltre cent’anni fa:
”Onorevole ministro, forse ella non avrà occasione di visitare quei luoghi, o se mai, vi andrebbe in carrozze che servono a trasportare i dignitari dello Stato. Ma se il suo spirito democratico giungesse al sacrificio di voler viaggiare come i poveri mortali, eviti di sedere al centro della carrozza, perché il suo abito ne uscirebbe imbrattato per lo stillicidio che fa l’olio messo ad alimentare la piccola fiammella centrale; e si guardi bene dal sedere agli angoli perché pei vetri abitualmente rotti o mancanti soffia la poco piacevole tramontana. Come vedono, onorevoli colleghi, per quanta buona volontà egli potesse avere, il ministro non troverebbe posto in quelle carrozze. Più volte, onorevoli colleghi, fu lamentato questo stato di cose. La Camera di commercio di Lecce, l’Associazione commerciale di Gallipoli, i Consigli comunali sono ormai stanchi d’inviare petizioni e proteste, ché mai nulla si è fatto, e nulla forse potrà farsi fino a che non si faccia intendere alla Direzione generale delle ferrovie che le lontane terre salentine sono anch’esse abitate da cittadini italiani e non da beoti”.