Recentemente sono state pubblicate alcune ricerche, riportate anche in quest’editoriale di Nanopress.it, secondo le quali le auto non sarebbero le prime responsabili dell’inquinamento delle città italiane, visti i cali di PM10 degli ultimi anni. Altri fattori, come il riscaldamento e il trasporto pubblico su autobus vetusti, sarebbero quindi i principali responsabili dell’aria irrespirabile. Sempre secondo questi dati, negli ultimi anni la qualità dell’aria sarebbe addirittura migliorata (e non peggiorata), almeno nella città di Milano. Ma è davvero così? Analizziamo un altro punto di vista.
Prendere un solo capoluogo è un po’ limitante per poterne fare un discorso generale. Usandolo come riferimento si devono anche considerare le sue specificità. Ad esempio, Milano ha introdotto la famosa Area C, il tasso di motorizzazione in città è diminuito (-10% nel decennio dal 2006 al 2016) ed è una delle città in un cui il Trasporto pubblico funziona meglio. È una delle poche realtà dove il servizio di bike sharing del Comune (BikeMi) funziona e si espande, come servizio e come numeri, oltre ad offrire servizi di car sharing di ogni tipo. Questo anche per dire che la città si è impegnata per rendersi più sostenibile e la cittadinanza ha risposto positivamente in tutti i casi di mobilità alternativa all’auto. Perché quindi proporre come “meno peggio” un modello di mobilità legato a un business che comunque alimenta le industrie più inquinanti del mondo? Considerare l’auto semplicemente come mezzo “meno inquinante del riscaldamento”, oltre a comparare due beni molto diversi, non tiene conto del fatto che per alimentare questo mezzo si usino il diesel e la benzina, che non crescono sugli alberi. Quelle rimangono, ad oggi, le aziende che provocano il più alto tasso d’inquinamento del pianeta, quindi non della sola Lombardia e di Milano. Sappiamo che per considerare l’impatto sul pianeta di un bene è doveroso seguirne tutto il processo produttivo, non solo il prodotto finito. Anche perché altrimenti, dovremmo scomodare le tesi, supportate da studi scientifici internazionali, che dimostrano come la prima causa d’inquinamento a livello globale siano gli allevamenti intensivi e tutto l’ambiente che ruota intorno al settore zootecnico.
Prendendo come esempio il bus non elettrico che inquina più di un diesel, è senz’altro vero che un autobus porti una quantità di persone superiore rispetto a un mezzo privato che al massimo può contenere cinque persone. Purtroppo non tutte le città s’impegnano nella ricerca di valide alternative. Prendiamo lo studio pubblicato da Legambiente sul trasporto pubblico che parte da questi numeri: la quota degli spostamenti in auto è passata dall’81,1% del 2014 all’83,8% del 2015; quella con i mezzi è passata dal 14,6% all’11,7% in un anno. A pagare sono stati i tagli ai trasporti pubblici. Il parco autobus in un decennio passa da 58.307 a 50.576 mezzi, con l’età dei veicoli da 9,13 a 11,38 anni, il doppio della media europea che si ferma ai 7 anni). Il 27% degli autobus urbani e il 36% di quelli extraurbani sono pre Euro 3, ovvero molto inquinanti. Anche il trasporto ferroviario può ‘vantare’ tagli e ridimensionamenti, con alcune tratte davvero penalizzate (pensiamo alla Roma-Lido o ai mezzi vecchi di circa 20 anni). Si taglia per la crisi? Forse, ma non tutti sanno che l’Europa, e quindi anche l’Italia, hanno finanziano ogni anno il mercato del diesel. Nel rapporto Mobilitaria, redatto dal Kyoto Club, viene specificato: “Il 70% delle auto diesel presenti al mondo è concentrato in Europa e al di fuori di essa solo un modello ogni 20 venduti è diesel. Se gli europei comprano auto diesel in largo numero, la ragione è essenzialmente da ricercarsi nei vantaggi fiscali e normativi di cui il diesel gode rispetto alla benzina. In media il diesel in Europa è tassato il 30% in meno del petrolio e ai motori diesel è permesso di emettere, a parità di carburante bruciato, quantità di NOx considerevolmente maggiori della benzina”. Con le ultime notizie sul diesel sembra che le cose siano destinate a cambiare presto. Finanziare un trasporto pubblico efficiente ed elettrico avrebbe un peso maggiore sulla collettività.
E per quanto riguarda l’aria? È davvero migliorata? Il rapporto Mobilitaria tiene anche in considerazione la qualità dell’aria delle 14 principali città italiane dal 2006 al 2016, e viene specificato che: “Il settore dei trasporti è responsabile di un quarto delle emissioni di C02 ed ha visto un leggero aumento delle emissioni, invece che una loro riduzione, rispetto al 1990. Considerati inoltre gli impegni al 2030 che prevedono per l’Italia un taglio del 33% delle emissioni dei trasporti rispetto al 2005, occorre un deciso cambio di marcia nei prossimi anni”. In generale viene riportato come ci sia stato un miglioramento diffuso della qualità dell’aria con una lieve riduzione della media delle concentrazioni annuali (ed in alcuni casi anche dei superamenti dei valori limite), ma le città sono ancora caratterizzate da livelli di concentrazione e superamenti superiori ai limiti fissati per l’NO2, il PM10 e il PM2,5. Infatti, anche se è diminuito il valore del PM10, questo non ha impedito di oltrepassare più volte il limite massimo, con una situazione più critica soprattutto per Milano, Torino, Venezia (35 per anno). Lo stesso vale per il valore del PM 2,5, anche questo valore supera i limiti giornalieri in più occasioni a Milano, Venezia e Torino.
Per concludere, visto che l’utilizzo di un mezzo piuttosto che un altro comporta altre conseguenze, esistono delle altre controindicazioni dell’utilizzo dell’auto, non strettamente legate all’ambiente. I dati sulla mortalità stradale vedono Reggio Calabria (3), Cagliari (2,3), Catania(1,7) e Messina (1,7) con il peggiore indice di mortalità e corrispondono esattamente alle quattro città con il più alto utilizzo dell’automobile: la sicurezza stradale resta un obiettivo essenziale della mobilità sostenibile. Utilizzare di più il TPL evita le code (che si portano via 5 anni di vita in media) e la ricerca del parcheggio, e prendere la bici, dai 20 ai 30 minuti al giorno, migliora il nostro benessere. Non tutto il territorio italiano è però pianeggiante e il dislivello potrebbe scoraggiare chi non si sente proprio un ciclista da Giro d’Italia. Oggi, però, esistono bici modulabili, che si chiudono e si possono portare sui mezzi pubblici e che occupano lo spazio di un carrellino della spesa. Rendere la mobilità davvero sostenibile è la vera sfida da mettere in pratica in questi anni, prima che sia troppo tardi, e non è allarmismo.
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