La “prova tv” invocata nel caso degli insulti sessisti al Senato è arrivata e il senatore Vincenzo D’Anna non ha perso tempo, pubblicandola su Youtube. La risoluzione delle immagini lascia molto a desiderare, ma, spiega il diretto interessato, arrivano direttamente dalle telecamere interne di Palazzo Madama. A suo dire, dimostrerebbero la sua estraneità ai fatti contestati che gli sono costati, insieme al collega di ALA Lucio Barani, 5 giorni di sospensione. Intervistato da Repubblica TV, D’Anna spiega le immagini: mentre in Aula succede di tutto, tra parolacce che volano e proteste, la senatrice M5S Barbara Lezzi inizia ad aprire e chiudere la maglia. Il gesto in risposta, secondo lui, replicherebbe quello della collega pentastellata, senza altri intenti. In seguito, la Lezzi “confabula” con la collega di partito Paola Taverna e un altro senatore: solo dopo dieci minuti, viene segnalato il gesto osceno. Nel frattempo, si vede Barani prendere la Costituzione e mimare il gesto di “mangiarla”, visto, che, spiega ancora D’Anna, “la sventolavano di continuo“.
Le immagini non sono molto nitide, ma, secondo il senatore, dimostrerebbero che “c’è stata malizia solo in chi ha visto il gesto, non in chi l’ha fatto“. Dopo la sospensione di 5 giorni, D’Anna ha iniziato uno sciopero della fame per “avere giustizia“.
Sulla volontarietà del gesto si può anche discutere. Di certo, il video mostra i momenti concitati del voto sul ddl Boschi, si coglie qualche parolaccia tra i banchi e si vedono senatori della Repubblica agitarsi come studenti durante l’assemblea di classe (anzi, molto peggio di loro).
Il fatto però non si poteva ignorare. Il gesto è stato ripreso da cellulari e tablet e, nonostante le giustificazioni, sembra il classico gestaccio osceno; da qui le parole della Taverna all’indirizzo di Barani e D’Anna, l’intervento del presidente del Senato Pietro Grasso e la convocazione dell’ufficio di presidenza con i cinque giorni di sospensione. Visto che gli insulti sessisti nella politica italiana non sono mai mancati, è stato giusto parlarne e punirlo, anche se non c’era l’intenzione.