Nonostante le precedenti smentite, Matteo Renzi sta pensando di riformare le intercettazioni. L’obiettivo è l’approvazione della legge delega sul processo penale con la stretta sulla pubblicazione di quelle irrilevanti ai fini delle inchieste. Per salvaguardare il garantismo dal giustizialismo, ma anche la tenuta del governo da eventuali imbarazzi. Come successo con Federica Guidi.
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Partiamo con il Renzi garantista. Il premier è stato diretto, in tal senso, sia in occasione delle mozioni di sfiducia contro il suo governo, respinte, in Senato, sia nel commentare il caso Tempa Rossa, costato la poltrona all’ex ministro dello Sviluppo Economico.
Renzi il garantista
Queste le dichiarazioni a Palazzo Madama, il 19 aprile: “L’Italia ha conosciuto figure di giudici eroi ma questo paese ha conosciuto negli ultimi 25 anni pagine di autentica barbarie legate al giustizialismo”, in cui “l’avviso di garanzia è stata una sentenza mediatica definitiva”. E ancora: “Io sono per la giustizia sempre, non per i giustizialisti. Credo nei tribunali, non nei tribuni. Credo nelle sentenze sempre, non nelle veline che violano il segreto istruttorio”.
L’11 aprile, durante il polverone mediatico del caso petrolio in Basilicata, Renzi aveva promesso: “Il governo non ha intenzione di mettere mano alla riforma delle intercettazioni”. Intercettazioni che “servono per scoprire i colpevoli”, grazie a magistrati “molto seri nell’utilizzarle”. Ed ecco che arriva il ‘però’: “Vicende familiari e pettegolezzi sarebbe meglio non vederli. Spero ci sia buon senso e responsabilità da parte di tutti”. Il riferimento era alle telefonate compromettenti tra Federica Guidi e il compagno Gianluca Gemelli costate le dimissioni all’allora ministro. La Guidi però non risultava tra gli indagati, ed è questo che ha fatto arrabbiare il premier: quelle intercettazioni non sarebbero dovute uscire sui giornali.
La riforma delle intercettazioni
L’obiettivo è quello di porre dei limiti alle intercettazioni, senza essere però paragonato a Silvio Berlusconi. L’ex Cav fece di quella contro i “magistrati comunisti” la sua battaglia principale. Renzi non vuole essere accostato a lui, ma vuole difendere la politica dalle toghe e dai giornalisti (secondo lui) giustizialisti. Come fare ciò? Con il dossier intercettazioni fermo in Senato, da approvare dopo le Comunali (prima no: può essere un boomerang elettorale) con la legge delega sul processo penale.
A spiegare cosa cambierebbe con la riforma è David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd: “Vogliamo fare in modo che le intercettazioni non rilevanti ai fini dell’indagine non finiscano sui giornali. Vogliamo costruire un sistema con vari passaggi, in modo tale che se poi finiscono sui media, almeno si può rintracciare il colpevole. Non come ora che l’unico colpevole è il giornalista che le ha pubblicate”. Diventerebbe legge la circolare del procuratore di Torino Armando Spataro con le linee guida per i pm: i dati sensibili non rilevanti ai fini dell’inchiesta non devono essere distrutti né messi agli atti, ma solo annotati. L’avvocato della difesa potrebbe richiederli in caso di bisogno. Se tutto fila liscio l’ok alla riforma arriverebbe in autunno e i decreti attuativi scatterebbero nel 2017.
Le dichiarazioni del presidente dell’Anm
C’è differenza tra il governo Renzi e quelli di Berlusconi nel rapporto con la magistratura? Secondo Piercamillo Davigo, presidente dell’Anm (Associazione nazionale magistrati), intervistato dal Fatto Quotidiano, no: “Qualche differenza di linguaggio ma niente di più: nella sostanza c’è una certa allergia al controllo di legalità accomuna un po’ tutti”. A proposito delle intercettazioni, Davigo ha affermato che “non vedo necessità di una nuova legge: bastano le norme su privacy e diffamazione”. Sui contrasti tra politica e magistratura: “Non c’è nessuna guerra. Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici”.
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