Le intercettazioni, telefoniche e ambientali sono un importante strumento investigativo e come tale dovrebbero essere valutate e considerate. Ma purtroppo vengono contemporaneamente utilizzate sempre di più per la lotta politica a causa della pubblicazione sui mass media di stralci di esse e della divulgazione di audio e video, soprattutto quando c’è di mezzo la “non rilevanza penale”. Ma d’altro canto, è dovere dei giornalisti informare su ciò che è di rilevanza pubblica o meglio ancora, su ciò che ha rilevanza sociale. Per cui non possono addebitarsi agli operatori dell’informazione le distorsioni conseguenti. Sapere per esempio, come trascorreva le serate l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non poteva rimanere una vicenda privata, tanto più che il pm Boccassini indagava proprio su quelle feste nella villa di Arcore.
Le intercettazioni nel caso Consip
Il bubbone, perché di ciò si tratta, è scoppiato con il caso Consip, quando si è scoperto che una conversazione tra un indagato e una persona estranea alle indagini era stata mal riportata nei brogliacci (non è ancora chiaro se per colpa o per dolo) tirando in ballo a sproposito Tiziano Renzi, imprenditore toscano ma soprattutto padre di Matteo Renzi. Tra le procure di Napoli e di Roma si sono verificati contrasti, comunque smentiti dai rispettivi capi, è dovuto intervenire il Csm, un sostituto procuratore rischia il trasferimento e l’inchiesta ne è uscita fortemente indebolita.
L’intercettazione che ha tirato in ballo a sproposito Tiziano Renzi
Uno dei problemi principali, quando ci si occupa di intercettazioni, riguarda la pubblicazione di frasi irrilevanti dal punto di vista penale, ma non da un punto di vista politico. Indubbiamente l’ex premier italiano che invita il padre a dire la verità ai pubblici ministeri, fa la figura del cittadino integerrimo.
Ma il punto, in questa vicenda, è anche e soprattutto un altro: l’intercettazione, secondo alcuni giuristi, non doveva essere autorizzata in quanto l’indagine su Renzi senior era passata da due mesi da Napoli e Roma e quindi doveva essere la procura capitolina e non quella partenopea a disporla. Perciò quella conversazione tra padre e figlio non doveva essere registrata e di conseguenza non sarebbe mai emersa.
Altri giuristi non la pensano così e quindi questo particolare aspetto giuridico della vicenda sarebbe ancora in bilico.
Le intercettazioni sono amate dal popolo
La verità in fondo è un’altra: gli italiani sono un popolo di gossippari. Amano le indiscrezioni, i pettegolezzi, la superficialità e non vogliono approfondire gli argomenti. Ma soprattutto non hanno pazienza, anche perché i tempi della giustizia italiana sono biblici, e attraverso le intercettazioni possono dare immediatamente la patente di colpevole o di innocente (ma quest’eventualità fa meno gola) agli indagati, meglio se potenti e se esponenti politici.
Cosicché non è raro il caso di persone travolte dalle inchieste e distrutte moralmente prima di essere magari assolte in via definitiva. E poi, parliamoci chiaro, c’è una certa stanchezza nel sentire dibattiti in televisione tra colpevolisti e innocentisti. Meglio quindi capire subito chi sono i buoni e chi i cattivi, magari al telegiornale all’ora di cena prima di vedere un bel film.
Le manine vellutate
Che fare? La soluzione può stare solo a monte: evitare di inserire nelle ordinanze di custodia cautelare tutto ciò che non è rilevante penalmente, visto che i provvedimenti restrittivi una volta depositati diventano pubblici e quindi pubblicabili quantomeno in forma di sintesi. Poi se manine vellutate estrapolano frasi irrilevanti penalmente, ma politicamente succose, è un altro discorso.
D’altro canto, non si è mai saputo che un direttore di giornale abbia fatto i complimenti a un proprio cronista se volutamente ha preso un “buco” scegliendo di non pubblicare un atto per questioni di privacy.
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