Il 20 novembre, con buona pace di tutti i tifosi di Serie A, e quindi di tutti gli innamori del calcio italiano, inizieranno i Mondiali in Qatar. Da qualche settimana, anche nel nostro Paese si sono accesi i riflettori su quello che è successo nel Paese mediorientale da quando la coppa del mondo è stata assegnata dalla Fifa – correva l’anno 2010 -: lavoratori migranti morti a migliaia, proibizionismo a gogo, omosessuali considerati come malati mentali, diritti umani calpestati per dirla in breve.
Non tutti, però, anche in Italia hanno girato la faccia e hanno fatto finta che tutto fosse bello, come l’organizzazione di calcio internazionale un po’ ci ha fatto credere, e continua a farlo. Giorgio Coluccia e Federico Giustini, due giovani giornalisti, se ne sono occupati nel loro libro “Calcio di Stato. Il Mondiale in Qatar e non solo: come lo sportwashing sta cambiando la geopolitica del pallone“.
In effetti, come si può notare anche dalla scelta del titolo, la coppa del mondo non è l’unico evento di sport a essere finito nella lente di ingrandimento, perché come il Qatar anche gli altri Paesi del Golfo persico come il Bahrein, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno usato lo sport in tutte le sue declinazioni, quindi calcistiche e no, per portare avanti un progetto più grande. Ed è di questo che abbiamo parlato in una lunga chiacchierata con i due autori del libro.
Iniziamo dalle basi: cosa è lo sportwashing?
G: È il tentativo, come raccontiamo nel libro, degli Stati coinvolti di mascherare dietro i grandi eventi sportivi tutte quelle violazioni che avvengono nel Paese in tema di diritti umani, quindi di problematiche nella gestione del potere, anche dal punto di vista politico. Siamo risaliti alla genesi del termine, che è iniziato a circolare nel 2014/2015, e abbiamo intervistato Rebecca Vincent, un’attivista, che, tramite il suo team, ha utilizzato per prima questa parola in occasione degli European Games in Azerbaijan. Poi sì, non è un fenomeno che si contraddistingue per essere usato soltanto nei cosiddetti Paesi del Golfo. Negli anni ne hanno fatto un grande uso in Cina, ma anche in realtà più piccole come possono essere il Kazakistan o l’Azerbaijan.
Ecco, appunto: come scrivete voi nel libro, se n’è parlato tanto per i Mondiali in Qatar, ma è una pratica che si può vedere anche per molte altre manifestazioni, penso al Giro d’Italia, che quest’anno è partito dall’Ungheria, ai Gran premi di MotoGp e Formula 1, ai Mondiali di atletica a Doha. Cosa cambia rispetto a quest’edizione della coppa del mondo?
F: Sì, si potrebbe addirittura tornare molto più indietro, alle Olimpiadi del 1936 di Berlino che potevano essere un veicolo per il regime nazista per mostrarsi agli occhi del mondo, si può tornare anche ai Mondiali di calcio del 1978 della Tripla Junta militare. Cambia che qua c’è stata una riflessione sulle conseguenze, materiali ed economiche, di una riprogrammazione completa dei calendari, un qualcosa di cui si è iniziato a parlare solo a Mondiali assegnati. Nel libro proviamo a ricostruire cosa è successo proprio nel momento dell’assegnazione in cui c’è stato un processo quantomeno controverso, visto che poi nessuno del team legato alla candidatura di Qatar 2022 è stato mai condannato o dichiarato colpevole, e questo va chiarito.
Abbiamo avuto modo di spiegare e capire quanto poco fossero trasparenti le procedure, ecco. Il dibattito che è iniziato dopo con una rivoluzione vera e propria, perché il Mondiale d’inverno non si era mai visto, e da questo momento in poi tutto sarà possibile, anche le Olimpiadi estive è verosimile che possano essere assegnate un giorno a un Paese come il Qatar.
Avete parlato dei Mondiali in Argentina, che erano stati definiti i Mondiali della vergogna, che differenze ci sono?
F: La differenza è che, all’epoca, c’erano meno elementi per conoscere cosa stava succedendo in Argentina, e contano. Noi ne parlavamo con Riccardo Cucchi, che ha scritto la prefazione del libro. Ecco, lui ci ha raccontato che più volte ne ha parlato con i giocatori della Nazionale italiana, con Tardelli per esempio, a cui chiedeva come era possibile che loro non sapessero nulla di quello che stava succedendo a poche centinaia di metri dallo stadio, in cui venivano torturati i dissidenti. In realtà non c’era questa grande conoscenza dei fatti, insomma, la maniera in cui venivano fatti sparire i dissidenti. Qua, invece, da un certo momento in poi, si sapeva tutto, c’è stato poco interesse da parte dei mezzi di comunicazione di massa, ma inchieste ce ne sono state, soprattutto tra Gran Bretagna e Stati Uniti. Gli statunitensi, forse, hanno avuto un’attenzione maggiore perché sono sostanzialmente gli sconfitti di quella votazione? Non lo so, è probabile. Sta di fatto che qua si sta parlando di nuovi attori che si affacciano sulla scena dello sport mondiale, non solo nel calcio, e che comunque mettono tanta liquidità nel sistema. Non solo, l’interesse generale a stabilire buone relazioni, buoni uffici con questi Paesi, penso anche all’Arabia Saudita, c’è, ed è anche abbastanza importante.
G: Mentre abbiamo assistito, in passato, anche a fenomeni simili con le Olimpiadi che venivano assegnate e poi diventavano terreno di scontro, si può pensare a quello che è successo con i vari boicottaggi negli anni. Ecco, qui i Mondiali, per la seconda volta, e forse adesso ancora di più, vengono assegnati, probabilmente, con un fine diverso. Era già successo in Argentina, è vero, ma anche nel tennis con la Coppa David del 1976, in Qatar i Mondiali vengono usati come pretesto per la manifestazione, non per esaltare lo sport, ma per conseguire tutta una serie di finalità differenti che vanno dal volere esercitare un potere al livello di branding, per poi magari acquisire potenza a livello internazionale, oppure priorità nel momento in cui si vanno a barattare le cosiddette materie prime che in questo periodo hanno molto richiesta. Ce lo ha fatto notare anche Ciccio Bianco, il Mondiale diventerà il territorio, l’evento in cui si incontreranno i capi di Stato, i primi ministri, esponenti di governo e verranno quindi intrecciate tutte quelle relazioni che poi che verranno portate avanti anche una volta che i Mondiali saranno finiti.
Non c’entra, dunque, anche il fatto che siano stati assegnati all’Argentina prima che arrivasse la dittatura militare?
F: Sì, però, come si vede anche nel documentario di Netflix, là si era appena insediato João Havelange alla Fifa, e lui era abbastanza compiacente con il regime. Qui, è evidente, stiamo parlando di un emirato, quindi di discendenza ereditaria, non c’è stato ovviamente un cambio di regime, ma sostanzialmente la volontà di investire nello sport con risorse illimitate, e questo è quello che vedremo, perché gli stadi sono assolutamente di primo livello, perché la Nazionale dal nulla è diventata una Nazionale decente. Parliamo di un Paese con zero cultura sportiva, e questo aspetto si deve considerare.
Per voi, gli emiri sono riusciti veramente nel loro intento di ripulirsi l’immagine con l’organizzazione dei Mondiali?
G: Onestamente, agli occhi nostri, che l’abbiamo seguito più da vicino, probabilmente no, perché quelle macchie rimangono comunque indelebili. Però, nei confronti del tifoso medio comune, dell’appassionato di calcio, che vuole guardare soltanto l’evento sportivo, probabilmente sì. Si fanno vedere tutte le insegne sfarzose e luminose del Qatar in modo poi anche da invogliare ad andare e a farlo diventare poi una meta turistica in alternativa, per esempio, ad Abu Dhabi a Dubai, visto che poi hanno una compagnia di bandiera, come Qatar Airlines, che ormai ha preso piede con le sponsorizzazioni anche nel calcio. Di certo bisognerà fare un bilancio alla fine di quelli che sono stati i pro e i contro, di chi ha cantato contro le cosiddette violazioni che ci sono state in questi mesi e quanto poi il Qatar sia riuscito a far passare i messaggi positivi in questi anni. Lo vedremo, secondo me, anche a torneo in corso, se ci saranno eventuali problematiche di ordine pubblico come i divieti sull’alcol e sugli alcolici, sulle droghe, nei confronti degli omosessuali, quindi si dovrà vedere come andrà a finire.
F: Io penso che per certi versi sia riuscito. Oltre al Mondiale, il Qatar ha una squadra, una delle squadre più forti d’Europa, con i giocatori più forti che ci stanno al mondo in un’unica rosa, che è il Paris Saint-Germain. Di volta in volta, allo stadio dei Principi, quello del Psg, arrivano stelle, persone da tutto il mondo. Il brand Paris Saint-Germain è associato a gruppi musicali, case di moda, senza che questo sia fonte di imbarazzo, quindi per certi versi è riuscito. Forse con il Mondiale si è andati un pochino oltre, però, forse dal punto di vista del Qatar, la proiezione dell’immagine, i benefici superano i costi a lungo andare. Lo vedremo alla fine di questo Mondiale quanto durerà la quota polemiche, ma io non penso che durerà così tanto.
Da Report, qualche giorno fa, hanno fatto un servizio che si è occupato dei Mondiali, e nella fattispecie hanno intervistato l’ex agente di Marco Verratti, che doveva essere venduto al Barcellona e poi non se n’è fatto nulla perché si è messo in mezzo direttamente il presidente del Psg, Nasser Al Khelaifi.
F: C’è un episodio molto più paradigmatico di questo. Sicuramente il fatto di Verratti fa effetto, ma addirittura il presidente della Repubblica francese è sceso in campo perché Kylian Mbappé restasse al Psg e non andasse al Real Madrid, con il Real Madrid, comunque, che era disposto a pagare 200 milioni, una cifra di questo tipo. Questo ci dà la misura di quanto si vada molto oltre il gioco, oltre lo sport.
G: In termini giornalistici e mediatici, per il ruolo che rivestiamo, sarebbe interessante capire soprattutto perché in Italia si è iniziato a parlare di questi temi nell’ultimo mese, nelle ultime due settimane. Noi abbiamo iniziato a curare il libro due anni e mezzo fa. Il Mondiale è stato assegnato dodici anni fa e alcuni interrogativi potevamo porceli prima come stampa, come movimento nazionale, visto che oramai in Inghilterra stanno battendo su questo da cinque o sei anni, per non parlare degli Stati Uniti. Ormai, come e chi ha cercato di portare avanti determinati movimenti di boicottaggio siamo arrivati troppo in ritardo, la macchina è già partita. Probabilmente può servirci da lezione per altre occasioni perché comunque c’è l’idea del Qatar di ospitare le Olimpiadi del 2036, nel 2029 verranno ospitati i giochi asiatici invernali, nel deserto, che può sembrare un paradosso. È un qualcosa che si sta evolvendo, per cui sarà importante e interessante per chi se ne occupa continuare a tenere monitorato questo tema.
Sì, come mai effettivamente si sono accesi i riflettori su quello che effettivamente è successo in Qatar?
F: Una delle cose che ci ha dato l’input per approfondire questo tema sono stati una serie di eventi che stavano spostando clamorosamente l’attenzione su una determinata area. Prendiamo come esempio il Newcastle, l’Arabia Saudita, il fondo sovrano. A distanza di poco tempo dalla morte di Jamal Khashoggi (il giornalista ucciso in Turchia con la compiacenza del regime saudita, ndr), si è giocata la prima edizione delle tre che sono state concordate della Supercoppa italiana: Juventus-Milan. Qualcuno ha provato a sollevare il tema in Italia, ma poi si è parlato di Khashoggi molto più quando Matteo Renzi è andato da Mohammed bin Salman (il principe ereditario dell’Arabia Saudita, ndr), e quindi la contingenza ha portato le persone ad accendere un riflettore e a far diventare quella vicenda uno strumento per attaccare qualcuno.
In generale sul Qatar, io credo che se ne stia parlando solo perché ci si sta facendo i conti, perché adesso il campionato si ferma, la gente probabilmente si annoia anche perché l’Italia non è qualificata, gli allenatori si sono trovati a dover gestire una serie di partite in pochissimi giorni, con giocatori che si infortunavano. E questo sicuramente ha fatto capire che si era andati un pochino oltre.
Avete parlato delle finali di Supercoppa italia, quest’attenzione potrà far cambiare idea anche ai vertici della nostra Figc e della Lega calcio per rivedere gli accordi o per non farne più?
F: C’è un contratto, quindi la terza edizione devono ancora farla. Io non penso che si prendano la responsabilità di cambiare le cose, anche perché Inter-Milan si giocherà a gennaio. Ecco, mi sembra abbastanza evidente che si vada in quella direzione: con la Federcalcio, ma anche più in alto, con Uefa, Fifa, si vuole andare di pari passo con la volontà di questi Paesi di essere sempre più protagonisti. Se guardiamo chi comanda, sostanzialmente, il calcio europeo, ovvero Aleksander Ceferin, ha come braccio destro Al Khelaifi, che a capo dell’Associazione dei club europei (l’Eca), lo stesso Gianni Infantino (presidente della Fifa, ndr) ha un buonissimo rapporto con il principe ereditario dell’Arabia Saudita.
Non solo, ci sarà una candidatura congiunta di Arabia Saudita, Egitto e Grecia per i Mondiali del 2036. Si era parlato anche dell’Italia al posto della Grecia, se n’è parlato veramente, però forse Italia ed Egitto, candidate insieme, dopo alcune vicende, credo fosse veramente difficile. Quindi no, non credo che quello che sta accadendo questi giorni, questi mesi possa portare a chissà quali conseguenze.
Ci diranno, ci spiegheranno, e in parte è vero, che questi eventi portano anche dei benefici, dei cambiamenti sociali positivi, per esempio la riforma del lavoro in Qatar, alla fine, nel 2020, è costata tanto ma è stata fatta.
G: C’è anche da considerare che a livello di calcio italiano, non siamo la Premier League che ci possiamo permettere di fermare il mondo per guardare una partita di calcio a inizio agosto perché si gioca la Community Shield con quasi centomila persone a Wembley. È ovvio che il calcio italiano, come ha fatto la Liga, vada a cercare nuovi introiti. Adesso i condomini litigiosi della Serie A dovranno andare a discutere la prossima Supercoppa le alternative sono o l’Arabia Saudita con una final four, in stile Liga, appunto, oppure l’alternativa è andare a giocare in Ungheria da Victor Orban, per cui non so dove si cascherebbe meglio. Quindi, non credo che questa situazione faccia cambiare le carte in tavola, ma c’è molta curiosità su questo anche perché il nuovo accordo con l’Arabia Saudita sarebbe per sei edizioni, e non sarebbe una cosa da poco. Ma di questo si tornerà a discutere, come si è fatto nelle due edizioni della Supercoppa, puntualmente il 18 gennaio quando ci sarà il derby di Milano a Gedda.
Tornado a Khashoggi, qualcuno dopo quella vicenda, per dire, aveva anche provato a scrivere “Non andiamo”, ma non se n’è fatto nulla. Tra l’altro, c’era anche il tema della pirateria, e malgrado questo si è andati avanti, generando anche delle perdite in termini economici. La stessa Lega calcio non era riuscita a trovare un accordo con BeinSport, ovvero la vendita dei diritti tv in Medio Oriente e in Nord Africa, che era molto molto favorevole per le squadre di Serie A, tant’è che sono venuti meno dei ricavi per i club, e questo ha causato un danno, perché BeinSport, Al Jazeera, quindi il Qatar ha visto mal volentieri questi rapporti fra Lega calcio, Federazione con l’Arabia Saudita.
Bruno Fernandes, centrocampista del Portogallo, ha detto che si sa cosa è successo e che loro non ne sono felici, mentre il portiere e capitano della Francia, Hugo Lloris, ha detto che intende rispettare le regole del Qatar, compresa quella di non indossare la fascia arcobaleno. O ancora, le dichiarazioni di Joseph Blatter sul fatto che sia stato un errore assegnare i Mondiali al Qatar. Qual è, secondo voi, il comportamento ipocrita e perché?
F: Ipocrita, diciamo Blatter, perché una volta che è uscito di scena, magari anche per togliersi di dosso qualche colpa, magari per accusare qualcun altro, più di una volta ha cercato di sviare le responsabilità e dire che, comunque, in quella votazione lui non avrebbe mai voluto che vincesse il Qatar, ma che doveva essere il Mondiale degli Stati Uniti. Però Blatter, una volta che il Mondiale era stato assegnato, disse: “Oggi sono un presidente felice perché il calcio arriva in un territorio in cui non era mai arrivato”. Quindi, forse, se dobbiamo assegnare la palma dell’ipocrita, la dobbiamo dare a lui. Dai calciatori non mi aspettavo niente di troppo eclatante, perché fanno parte di un sistema che è alimentato dai soldi, dal potere, dal prestigio di questi Paesi e dei loro mondi sovrani.
G: La posizione di Lloris mi pare molto simile a quella di Infantino con la lettera mandata alle 32 squadre in cui si dice: “Pensiamo al calcio, pensiamo a giocare, a quello di positivo che ci porterà il Mondiale”. Ma lui si è trasferito a Doha con la famiglia, ha esaltato le specialità culinarie di quei Paesi, però poi c’è tutto il resto a cui pensare, e sono finzioni che vengono messe alla luce e possono essere più o meno rispettabili. Di certo, sarebbe auspicabile, da parte dei giocatori, dirigenti, qualcuno già lo ha fatto in avvicinamento, assumere delle posizioni un po’ più nette come quelle di Eric Cantona o Philipp Lahm nei mesi scorsi, che si sono esposti in modo molto categorico nei confronti a questo Mondiale.
Cosa potrebbe succedere in questo mese di full immersion nel mondo qatariota? Penso al fatto che si parli di tifosi pagati, per esempio.
F: Loro hanno sempre pagato i tifosi influencer per sponsorizzare il prodotto Qatar. Lo raccontiamo anche nel libro: lo hanno fatto anche con la nazionale di pallamano, che pagò dei tifosi spagnoli per sostenere la squadra che poi vinse anche il Mondiale. Non solo, anche per riempirli, questi stadi, in passato sono stati pagati dei lavoratori migranti, insomma non ci stupiamo.
Io penso, invece, che nella società qatariota non succederà nulla, perché comunque parliamo di una parte degli autoctoni abbastanza ristretta della popolazione, che si può definire agiata, dato che sono il Paese con il Pil pro capite più alto al mondo e motivi per guardare al mondo, con uno sguardo diverso, non ne hanno sostanzialmente.
G: Dai conti che abbiamo fatto noi, infatti, i qatarini sono 600mila rispetto a una popolazione di tre milioni e mezzo di abitanti. Nel 2010, quando c’è stata l’assegnazione, erano poco più di un milione e mezzo, in dodici anni la popolazione è più che raddoppiata. Per quanto riguarda il resto, non solo i Mondiali, ma anche l’ampliamento dell’aeroporto internazionale di Doha, gli hotel a cinque stelle che hanno costruito, la linea ferroviaria che hanno costruito da zero per collegare cinque stadi su otto, per cui si può andare tranquillamente in metropolitana e assistere a due partite nella stessa giornata, tutto questo resterà.
La risposta a livello globale che ci sarà da questo Mondiale, poi, sarà il contributo che ci sarà dalle altre 31 nazioni perché in Qatar c’è una cultura calcistica, ma anche sportiva davvero povera. Ce ne danno una testimonianza i mondiali di ciclismo nel 2016 e quelli di atletica del 2019 in cui gli spalti erano vuoti e, anche lì, le persone erano state pagate per occupare le tribune, avevano regalato i biglietti ai lavoratori migranti e questo dà la risposta di quanto questo Mondiale sia artefatto, fin dal momento dell’assegnazione.
E invece per quanto riguarda i divieti, per esempio quello sull’alcol di cui avete parlato anche prima.
F: Sui tifosi inglesi non ci metterei la mano sul fuoco, però sarà interessante vedere al di là di questo vademecum, delle regole tipo quelle per cui si potrà bere in determinate aree dello stadio.
G: Intanto il New York Times ha spiegato come stanno cercando di nascondere questi punti, isolarli, renderli meno fruibili, fregandosene anche del fatto che Budweiser sia uno degli sponsor dei Mondiali.
F: Esatto, allestiranno delle aree dedicate. Però, se la fase a gironi è interlocutoria, nel momento in cui si arriverà ai quarti, alle semifinali, poi in finale onestamente non so cosa possa succedere, e non ci metto la mano sul fuoco soprattutto in relazioni a tifosi accesi come possono essere quelli inglesi, quelli olandesi. Diciamo che al Qatar è andata bene dal punto di vista del sorteggio, perché hanno preso l’Ecuador, l’Olanda e il Senegal, per cui non sono automaticamente eliminati.
G: Diciamo pure che stanno preparando il Mondiale, in ritiro, da luglio. Quindi arriveranno con una forma sostanzialmente buona, una squadra organizzata e nessuno si può permettere una cosa del genere, e hanno un vantaggio clamoroso sugli altri. Potrebbero avvantaggiarsene dal punto di vista della condizione atletica, per esempio. In Sudafrica la squadra aveva un grande seguito, in Russia pure, qui se va avanti non è di nessuno, solo di 600mila qatarini, ma c’è tutto il resto del ritorno di visibilità che non è da meno, per cui questo aspetto dovrà essere tenuto in considerazione.
In linea generale, il Mondiale sarà il volano per progetti simili anche in tutto la Penisola del Golfo come avete già spiegato?
F: Sì, il Qatar, il Bahrein, gli Emirati e l’Arabia Saudita sono attori destinati ad acquisire sempre più un peso specifico e protagonismo e sempre più eventi andranno lì. Lo faranno anche con le acquisizioni dei club.
G: Il disegno va avanti: lo abbiamo visto con il Palermo in Italia, o quando c’era stato una sorta di inserimento con Investcorp con il Milan, e secondo noi potrebbe tornare in campo con un attore diverso ma sempre proveniente da quella realtà. In Arabia Saudita, la chiusura con il Newcastle c’è stata un anno fa e loro sono già terzi in Premier League, per cui l’anno prossimo potremo ritrovarceli in Champions League.
F: Non solo perché il Qatar ha preso una quota di minoranza del Braga, allargandosi dalla Francia al Portogallo, per cui potrebbero mettere su anche loro una piramide di club. Dovremo capire cosa cambierà una volta giocato questo Mondiale, ovvero come i piani verranno riprogrammati: le squadre di proprietà di Inspire, che non si è capito che vantaggio portino al Qatar, come l’Apoel in Belgio, il Cultural y Deportiva Leonesa in Spagna, club che all’inizio servivano per far giocare giocatori che venivano reclutati nell’Inspire Academy in giro per l’Africa o gli stessi qatarioti, però poi i piani sono cambiati, perché sono semplicemente club che galleggiano nelle loro serie. Ecco, potrebbe cambiare tutto e il Qatar Sport Investment potrebbe inglobare il tutto e mettere su una piramide.
Il Qatar ci ha perso con il Psg dal punto di vista finanziario?
F: Eh sì, infatti è uno dei temi che affrontiamo: capire se c’è un ritorno dell’investimento, ritorno economico. Noi riteniamo che è difficile pensare che investire queste cifre possa portare un ritorno o anche solo rientrare di quello che si è speso anche rivendendo il club a una cifra che ti consente di uscirne al meglio. Qui, però, si tratta di risorse infinite che vengono utilizzate per branding, e vale per il Newcastle, vale per il Psg. Che sarà mai di un rosso di bilancio se poi le regole del fair play finanziario non ti penalizzano? Io non penso che Al Khelaifi ci abbia perso molto, anche perché lui è un manager, la figura di riferimento del governo qatariota, amico di infanzia dell’emiro. E comunque, in generale, sono tutti soldi che non è necessario che tornino.
G: E sì, i soldi sono l’ultimo problema, perché organizzeranno l’edizione dei Mondiali più costosa di sempre e saranno anche l’ultimo Paese a riuscirci da soli anche perché dal prossimo si passerà a 48 squadre e addirittura ci saranno tre nazioni a ospitarli. Da tutti i Paesi che abbiamo citato, dal punto di vista del ritorno dell’immagine e a livello turistico, tolti Abu Dhabi e Dubai, i Paesi limitrofi non hanno di queste ambizioni, dicevamo. Il Bahrein e l’Arabia Saudita, tolta Gedda, non le hanno, il Qatar rimane l’unico a contrastare l’egemonia dal punto di vista turistico perché poi, a turno, anche per spirito di emulazione, quest’operazione di branding la fanno e l’hanno fatta quasi 365 giorni all’anno.
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