«Poi vennero a prendere gli omossessuali. E fui sollevato, perché mi erano fastidiosi»*. A giudicare dalle reazioni, ben diverse da quelle all’attentato alla redazione dello Charlie hebdo o al Bataclan di Parigi o all’aeroporto di Bruxelles, sembra questo il pensiero di molti dopo la strage al locale gay di Orlando. Una strage che ha causato 50 morti e 53 feriti, ma che non sta scatenando l’indignazione e nemmeno la solidarietà che sono, invece, seguite agli altri attentati dell’Isis: niente marce dei capi di Stato, niente campagne sui social, niente immagini del profilo appositamente modificate per l’occasione e nemmeno un hashtag che ci associ alle vittime. E certo… quanti sarebbero disposti a scrivere di se stessi «je suis homosexuel»?
I pregiudizi ancora esistenti (è inutile negarlo!) nei confronti degli omosessuali stanno, infatti, ostacolando le manifestazioni di solidarietà e perfino l’indignazione nei confronti di quanto accaduto in Florida, perché anche chi qualche mese fa si divertiva su Facebook a colorarsi il volto con i colori dell’arcobaleno comunque si sente meno coinvolto in questa strage che nelle precedenti.
Prima ancora dei pregiudizi nei confronti delle vittime, non troppo lontani da quelli sugli ebrei nel periodo nazifascista, a frenare la solidarietà e l’indignazione è l’assenza di paura. Un gruppo di scellerati che entra all’improvviso in un locale e spara all’impazzata per fare quante più vittime è possibile spaventa, infatti, soltanto se in quel locale avremmo potuto esserci noi, se quel locale è del tutto simile a quelli che frequentiamo noi.
Allora la paura che la stessa sorte possa capitare a noi fa scattare l’indignazione, che in realtà è indignazione per quello che potrebbe accadere a noi più che per quello che è successo a loro, e la solidarietà con le vittime, a cui ci sentiamo vicini perché corriamo il loro stesso pericolo.
Se, invece, la stessa identica strage avviene in un locale che noi non frequenteremmo mai, allora non ci sentiamo esposti allo stesso rischio e quindi viene a mancare prima l’indignazione e poi la solidarietà con le vittime, con cui non si sentiamo accumunati dallo stesso pericolo. A maggior ragione se quelle vittime già prima di essere vittime non ci andavano troppo a genio.
Difficilmente io, eterosessuale, mi troverei in un locale frequentato principalmente da gay e quindi non ho paura che quello che è successo a Orlando possa accadere anche a me. Non correndo lo stesso rischio che hanno corso le 50 vittime non mi sento solidale con loro e, quindi, non mi dipingo la faccia in loro memoria. In più mi vergogno un po’ di dire pubblicamente che io «je suis homosexuel»…non si sa mai che poi qualcuno pensi davvero che sono un po’ “ricchione”!
È lo stesso motivo per cui una strage avvenuta in medio-oriente o in nord Africa indigna, spaventa e interessa se e solo se avviene in una località turistica e quindi dove chiunque potrebbe ritrovarsi: 10 morti sulle spiagge di un resort sono una notizia da prima pagina e migliaia di condivisioni, mentre 100 morti in un villaggio sperduto dello stesso paese sono insignificanti.
Nel primo, infatti, potremmo ritrovarci tutti noi che non vediamo l’ora di poter postare la foto dei nostri piedi affondare in quella sabbia (possibilmente mentre i nostri amici e colleghi sono a lavoro), nel secondo non ci andremmo mai: perché mai dovremmo ritrovarci in mezzo a tutti qui “neri”? E, quindi, non ci preoccupa, non ci spaventa, anzi forse ci fa risparmiare pure qualche immigrato.
E così, in base alla possibilità che quello stesso destino colpisca anche noi, si creano vittime che ci sembrano vicine, da ricordare e da commemorare, e vittime che, al contrario, ci sembrano distanti e quindi possiamo dimenticare. Un crimine contro una parte dell’umanità non è più, quindi, un crimine contro l’umanità tutta, come dovrebbe essere, e pertanto non ci riguarda: è affare soltanto di quelli che appartengono alla minoranza che corre quello stesso rischio.
Ciascuno di noi, però, in realtà appartiene, per una caratteristica o per un’altra, a un sottoinsieme del grande insieme dell’umanità e, se proprio non vuole sentirsene parte, dovrebbe almeno capire che da un momento all’altro il suo sottoinsieme potrebbe diventare una minoranza ed essere presa di mira.
Se non vogliamo indignarci perché qualsiasi essere umano è stato colpito a causa di una sua caratteristica, dovremmo almeno capire che comunque quello che è successo a lui potrebbe comunque capitare anche a noi. E, a quel punto, perché mai gli altri dovrebbero indignarsi? Perché mai dovrebbero essere solidali con noi?
Allora io, eterosessuale, oggi sono «je suis homosexuel» se non altro perché domani l’Isis o chiunque altro potrebbe avercela con me perché sono biondo o moro, perché sono bianco o nero, perché ho gli occhi azzurri, verdi, marroni o neri, perché parlo veloce o perché balbetto, perché…
*questa frase è tratta da un aforisma di Bertolt Brecht che, di tanto in tanto, è bene rileggersi:
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