In Italia c’è una nuova terapia per l’iperparatiroidismo secondario, grave complicanza che colpisce almeno la metà dei 50 mila dializzati italiani in emodialisi. Con la nuova molecola gli specialisti puntano a superare il problema della scarsa aderenza alla terapia, osservato per questi pazienti già sovraccarichi di cure. Con l’arrivo del nuovo farmaco viene rinforzato l’armamentario terapeutico a disposizione degli specialisti per malati la cui gestione è complessa. Persone, evidenzia Giuseppe Vanacore, presidente dell’associazione pazienti Aned, che “vedono cambiare la propria esistenza e la quotidianità delle loro famiglie e hanno bisogno non solo di aggiungere anni alla vita, ma di aggiungere vita agli anni”.
L’iperparatiroidismo secondario è una complicanza frequente della malattia renale cronica: si innesca con il progressivo declino della funzionalità degli ‘organi filtro’, che porta a un’alterazione del metabolismo di calcio, fosforo e vitamina D. Il conseguente sviluppo di ipocalcemia e iperfosfatemia causa un’eccessiva produzione di paratormone (Pth) che a sua volta favorisce pericolose calcificazioni metastatiche. Oggi, nonostante le attuali opzioni terapeutiche – chiariscono gli esperti – solo il 15-20% dei pazienti riesce a raggiungere contemporaneamente i livelli target di Pth, calcio e fosforo.
Per contrastare tutto questo e agire sulle ghiandole nascoste dietro la tiroide ora è disponibile in Italia un nuovo farmaco, etelcalcetide, un agente calciomimetico di seconda generazione, il primo somministrato per via endovenosa. Ce ne ha parlato Mario Cozzolino, direttore dell’Unità operativa complessa di nefrologia e dialisi all’ospedale San Paolo (Asst Santi Paolo e Carlo) e professore di nefrologia del Dipartimento di scienze della salute dell’università Statale di Milano.
La nuove molecola è innovativa: “La somministrazione per via endovenosa in coincidenza con le sedute dialitiche – osserva l’esperto – assume un particolare valore clinico perché viene gestita direttamente dal personale medico-infermieristico”. La certezza di una terapia fatta nei modi e nei tempi stabiliti determina anche un’efficacia costante nel tempo. “Per capire l’entità del problema dell’aderenza alle cure – dice lo specialista – basti pensare che circa il 90% dei pazienti in dialisi riceve la prescrizione di chelanti del fosforo, ma oltre il 50% non li assume”.
Questo è semplice da capire: il numero di pillole che sono costretti ad assumere i dializzati, spiegano gli esperti durante un incontro promosso a Milano da Amgen, può raggiungere le due decine. La nuova terapia viene invece somministrata direttamente al termine della seduta di emodialisi. “La lunga emivita del farmaco consente una frequenza di assunzione che può essere ridotta a 3 volte a settimana”,
La nuova molecola, illustra Cozzolino, “è un peptide che agisce in modo diretto sul recettore del calcio, inibendo la secrezione e la produzione del paratormone da parte delle ghiandole paratiroidee. Gli studi pubblicati su ‘Jama’ hanno dimostrato che, come il precedente calciomimetico, etelcalcetide è più efficace della sola terapia standard con chelanti del fosforo e vitamina D. Tuttavia, rispetto ai pazienti trattati con il calciomimetico attualmente in uso, nel gruppo trattato col nuovo farmaco si è evidenziata una percentuale significativamente maggiore di pazienti il cui valore medio del paratormone si è ridotto del 30% o del 50% rispetto al valore basale: due endpoint che nello studio sono stati classificati come secondari, ma che influenzano positivamente il metabolismo calcio-fosforo”.
Il farmaco lega e attiva il recettore sensibile al calcio espresso anche sulle cellule delle ghiandole paratiroidee, e riduce il paratormone sierico agendo anche su calcio e fosforo. Una nuova arma contro quello che per gli specialisti è “un vero problema clinico – sottolinea Francesco Locatelli, direttore emerito del Dipartimento nefrologia, dialisi e trapianto renale all’ospedale A. Manzoni di Lecco – L’iperparatiroidismo secondario è una condizione che progredisce con il passare del tempo in dialisi e spesso anche dopo il trapianto. L’eccessiva produzione di paratormone è responsabile delle cosiddette calcificazioni metastatiche, il depositarsi di sali di calcio nelle arterie e nei tessuti molli, anche nei parenchimi nobili come cuore e polmoni, con la conseguente compromissione della funzione di questi organi vitali. Inoltre, le calcificazioni vascolari aumentano la rigidità delle pareti dei vasi e, associate alle calcificazioni delle valvole cardiache, sono la principale causa dell’aumentata mortalità cardiovascolare di questi pazienti”.
Il farmaco è stato inserito in classe A (rimborsato dal Ssn) ed è soggetto a prescrizione da parte di specialisti in nefrologia e centri dialisi individuati dalle Regioni. L’obiettivo futuro è “cercare di impedire che si raggiungano livelli di ormone paratiroideo troppo elevati, oltre i quali la condizione di ipersecrezione di Pth potrebbe diventare ‘autonoma’, non più controllabile e risolvibile unicamente con il ricorso all’intervento chirurgico di paratiroidectomia”, prosegue Locatelli.
“La prevenzione della patologia da eccesso di produzione di paratormone, nei pazienti con insufficienza renale cronica in dialisi, deve iniziare già dai primi stadi della malattia renale per impedirne la progressione e prevenirne le complicanze”, riflette Locatelli, evidenziando fra le altre cose l’importanza delle raccomandazioni dietetiche per un’alimentazione dal contenuto proteico limitato e il controllo dell’iperfosforemia. L’attenzione allo stile di vita, insiste Vanacore, “è cruciale. Scoprire di essere malato di reni è un’esperienza traumatica, spesso avviene all’improvviso e troppo tardi. Contro una malattia vigliacca e silente chiediamo di investire di più in prevenzione. Basterebbe un esame delle urine per intercettare in tempo il problema. Può sembrare un’utopia, ma il nostro sogno è un mondo senza dialisi“.
In collaborazione con AdnKronos
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