È sempre più accesa la querelle tra Apple e FBI in merito alla natura criptata di iPhone e all’impossibilità (oltre alla non-volontà) dei californiani di bucare il loro stesso sistema per consentire un accesso a dati personali. Ci sono riscontri che vanno ben oltre la pubblica sicurezza dato che investono la sfera della privacy personale, un confine molto pericolo da valicare. Nella foto qui sopra, pubblicata sul proprio profilo Facebook la scorsa estate, Dama Fabretti è ritratto in posa da Bolt sulla spiaggia, con evidenti i segni della malattia che poi l’avrebbe portato via poco dopo. La sua storia è iniziata in modo triste, ha avuto un periodo felice e si è conclusa in modo tragico. Il padre adottivo del ragazzo chiede da tempo ad Apple di poter entrare nello smartphone del figlio, invano. Addentriamoci nella storia.
Come vi abbiamo spiegato nell’approfondimento dedicato, Apple e FBI sono in combutta per via della richiesta dell’agency di entrare nello smartphone di uno degli attentatori della strage di San Bernardino. Cupertino ha detto no, non certo per ostacolare la giustizia, quanto perché per accontentare l’intelligence dovrebbe “auto-hackerare” il proprio sistema iOS fornendo un accesso non solo a quel determinato dispositivo ma – teoricamente – a tutti gli iPhone. Una questione molto delicata che ha visto la solidarietà di tutti i colossi della tecnologia da Google a Facebook passando per Twitter. McAfee ha addirittura offerto il proprio aiuto per andare a sbloccare solo e soltanto quel dispositivo e tagliare la testa al toro.
La politica di Apple è molto severa e condivisibile: come un architetto che costruisce una casa impenetrabile persino a se stesso, quando fornisce il proprio sistema operativo non può e non vuole valicare il confine delle informazioni personali. Anche a costo di mettersi contro l’FBI. Tuttavia, ci sono casi in cui rompere questa regola sarebbe altrettanto accettabile, come nella storia della famiglia Fabretti. Papà Leonardo chiede da tempo ad Apple di poter accedere allo smartphone del figlio e ai suoi ultimi ricordi: Dama – questo il nome del ragazzo – è scomparso cinque mesi fa al termine di una logorante, lunga e dolorosa malattia che l’ha stroncato non ancora maggiorenne. Pur avendo registrato l’impronta del padre per l’accesso – trattasi di un iPhone 6 con tecnologia Touch ID integrata nel tasto home per la lettura del fingerprint – è richiesto anche il codice PIN di quattro cifre. Codice che il signor Fabretti non conosce.
Dopo alcuni tentativi l’iPhone si è bloccato e a nulla è valso chiedere supporto tecnico. Apple si è dimostrata comprensiva e solidale, ma non ha potuto intercedere. L’ultimo backup risale infatti a tre mesi prima della scomparsa del ragazzo di origine etiope, dunque mancano i suoi ultimi pensieri, le sue ultime foto e conversazioni, tutte informazioni che il padre aveva avuto il consenso di poter leggere e visualizzare. Tuttavia, non si può fare niente e l’unica via è quella di un hack da parte di un professionista, cosa peraltro non così semplice. Dal canto proprio, il signor Fabretti ha dichiarato a Repubblica.it: “Se non volesse farmi recuperare i dati chiederei i danni, da devolvere in beneficenza all’Associazione Centro Aiuti per l’Etiopia attraverso la quale io e mia moglie Roberta abbiamo adottato Dama”.