Non bastasse la guerra contro l’Isis e le tensioni continue in Medio Oriente, l’inizio del 2016 ha visto un nuovo scontro tra Iran e Arabia Saudita che rischia di far precipitare la situazione. Tutto ha avuto origine il 2 gennaio con l’esecuzione di 47 condanne a morte da parte del regime saudita: tra di loro c’era lo sceicco Nimr al-Nimr, portavoce della minoranza sciita nel Paese. La sua morte ha scatenato enormi proteste in tutto l’Iran, arrivando a colpire l’ambasciata di Riad a Mashad: da qui la rottura dei rapporti diplomatici tra i due Paesi, con l’Arabia che ha ritirato gli ambasciatori, seguiti da Kuwait, Sudan e Bahein. La morte dello sceicco ha incendiato tutto il mondo sciita: proteste e scontri si sono avuti anche in Libano, in Pakistan, India, in Yemen e nelle regioni orientali dell’Arabia. Lo scontro tra le due nazioni porterà il mondo sull’orlo di una guerra?
Al momento, la situazione è ancora tutta da risolvere e la tensione è ai massimi livelli. L’Iran ha vietato il pellegrinaggio alla Mecca finché Riad non garantirà la sicurezza degli sciiti, ricordando il terribile incidente di settembre, quando migliaia di pellegrini morirono nella calca incontrollata. L’Arabia ha interrotto ogni rapporto diplomatico con Teheran e i suoi alleati nella Regione hanno fatto lo stesso, di fatto isolando l’Iran anche di fronte alle potenze occidentali.
Le reazioni internazionali
Se l’Arabia Saudita continua a usare la pena di morte nei confronti degli oppositori politici è grazie anche alle mancate proteste della comunità internazionale. Volendo dimenticare singoli casi come quello del poeta Ashraf Fayadh, condannato a morte per i suoi scritti, l’esecuzione di massa dei primi di gennaio è stata talmente eclatante che reazioni e proteste erano da mettere in conto. Riad è, con Cina e Iran, uno dei primi Paesi al mondo per numero di condanne capitali (eseguite per decapitazione e impiccagione) e non una sola voce di condanna si è alzata in tutti questi anni. In questo caso, l’Arabia si è giustificata dicendo di giustiziare persone legate ad al-Qaeda, responsabili di diversi attentati tra il 2003 e il 2006, ma per lo sceicco Nimr al-Nimr la situazione è molto diversa.
Che la sua morte sia legata alla sua attività politica è ormai chiaro: lo sceicco è stato il portavoce della minoranza sciita nel Paese, in particolare nelle regioni orientali, e da anni era una spina nel fianco del regime saudita. Arrestato con un’accusa mai provata (avrebbe risposto al fuoco contro dei poliziotti pur non avendo armi e professando da sempre la lotta non violenta), al processo apparve segnato dalla tortura. Con lui, in carcere sono finiti il fratello Mohammed e il nipote Alì di 17 anni, anche loro in attesa della pena capitale.
Di fronte a tutto questo, l’Onu non ha emesso alcuna condanna. Nel comunicato rilasciato dopo i fatti del 2 gennaio, le Nazioni Unite hanno condannato solo l’Iran per non aver protetto l’ambasciata saudita sul suo territorio: sulle esecuzioni e della morte dello sceicco non una parola.
Gli Stati Uniti hanno espresso “irritazione” per il loro storico alleato: per il Dipartimento di Stato, la morte di Nimr al-Nirm “può esacerbare le tensioni settarie nella regione mediorientale”. Dall’Europa sono arrivati i commenti preoccupati di Italia e Germania per una situazione che può esplodere da un momento all’altro.
Perché siamo a rischio guerra
Da giorni, la comunità internazionale spinge per la ripresa del dialogo tra i due Paesi, guardando in particolare all’Arabia. Il regime saudita è infatti uno dei più importanti alleati dell’Occidente nella guerra all’Isis, nonché maggior esportatore di petrolio al mondo. Le grandi potenze occidentali hanno da sempre legami economici (e politici) con Riad: in particolare, gli Stati Uniti hanno eletto i sauditi a loro maggiore alleato nella regione.
Iran e Arabia sono agli antipodi nella questione religiosa da cui prende linfa il terrorismo, la lotta tra sciiti e sunniti. Senza il loro apporto, la guerra al presunto Califfato non avrebbe alcuna speranza di riuscita. Iran e Arabia però sono anche due regimi, diversi per forma politica (il primo è una repubblica islamica, il secondo una monarchia assoluta islamica), ma pur sempre Paesi dove i diritti umani contano nulla o quasi. L’Iran si è aperto al mondo occidentale con l’elezione a presidente di Hassan Rouhani, ma sta ancora scontando le scellerate politiche dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad.
Lo scontro tra i due pesi massimi della Regione avrebbe come risultato il riacutizzarsi di tutte le tensioni interne tra sciiti e sunniti in ogni Paese musulmano, trascinando il Medio Oriente in una spirale di guerra e violenza senza via d’uscita. L’unico a trarne vantaggio sarebbe l’Isis e il terrorismo di matrice islamica. Il dialogo tra Iran e Arabia è l’unica soluzione per l’Oriente e per l’Occidente.
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