L’Iran è entrato nel quarto mese della rivoluzione popolare che si sta imponendo contro il regime Islamico autoritario, che schiaccia il genere femminile ma anche tutta la popolazione. Dal 16 settembre, giorno in cui ha perso la vita Amini, gli iraniani hanno deciso di rischiare il tutto e per tutto, per poter dare alle prossime generazioni un futuro migliore. La repressione continua feroce, così come la rivoluzione del popolo che ha deciso di proseguire, nonostante stiano fioccando nuove condanne a morte e anche le esecuzioni stiano proseguendo.
Si tratta di un momento delicato che necessita della resilienza del popolo che non può arrendersi, dopo quattro mesi di perdite e lutti e ne è ben consapevole, dato che continua a rischiare per poter arrivare a rovesciare il regime di raisi. La comunità internazionale ha criticato e ha ammonito numerose volte il governo dell’iran che però prosegua nella sua convinzione di voler riportare pienamente le leggi islamiche ad essere rispettata nella maniera più dura e rigida che esista. Più l’occidente cerca di arginare la situazione, devastante per la popolazione iraniana, più le autorità spingono sull’acceleratore e proseguono e aumentano crudeltà e violenza.
Dopo l’esecuzione del cittadino iraniano e britannico Akbari, ex ministro, l’attenzione internazionale si è tornata soffermare sulle condanne a morte eseguite e sulla crudeltà con la quale Raisi utilizza le impiccagioni come monito per i dissidenti statali. L’Unione Europea condanna a fortemente la situazione in cui il governo, sta gettando il suo popolo baratro e si vede sofferenza continua e abusi su cittadini innocenti che chiedono soltanto dignità e diritti primari.
La rivoluzione iraniana continua così come le condanne a morte e le esecuzioni
Gli ultimi avvenimenti capitati in Iran hanno sollevato sdegno internazionale e fatto, chiaramente, emergere la volontà di Raisi e dei suoi alleati di non indietreggiare, nel percorso di islamizzazione radicale che preveda l’emarginazione e la sottomissione femminile. Le autorità iraniane sono convinte e fedeli riguardo alle leggi islamiche e alla Sharia, che comprende anche norme di comportamento e quelle inerenti l’abbigliamento femminile ovvero le leggi di castità e velo.
L’attenzione mediatica sollevata dalla brutalità attuata dalla polizia religiosa e dalle guardie rivoluzionarie ha scatenato critiche e malcontento, il quale non ha fatto altro che istigare ancora di più alla violenza il regime iraniano. L’occidente è ritenuto il sovvenzionatore di questa rivolta e soprattutto, Secondo il regime, è colpevole di fomentare questa protesta.
Le fondamenta della Repubblica islamica dell’iran sono basate sulle leggi islamiche, che sono fondamentali ed essenziali e, senza le quali, non potrebbe esistere lo stato islamico dell’iran. Questa è una precisazione che è stata fatta da Raisi spesso e che per lui rappresenta un profondo che fa parte ha anche della legislatura iraniana e della quotidianità delle persone. La rivoluzione, a cui assistiamo oggi, è nata dopo il 16 settembre, quando Mahsa Amini è deceduta a causa delle percosse ricevute dalla polizia morale a Teheran, ma il malcontento e le problematiche erano già ben presenti all’interno dello Stato.
Chiunque abbia cercato di dare solidarietà al popolo, sfruttando la propria celebrità, come attori e sportivi, hanno subito poi durissime ripercussioni sia personali che familiari. Ora si sono accese rivolte importanti nei penitenziari, dove si è sviluppato uno sciopero della fame collettivo che comprende attiviste e detenuti ma è stato abbracciato anche dagli studenti. Si cerca in tutti i modi di tenere duro e lottare continuando a protestare con ogni mezzo contro la violenza quotidiana, gli stupri, i pestaggi e i soprusi che il popolo è costretto a subire tutti i giorni.
Le esecuzioni per impiccagione sono proseguite e nelle scorse giornate è stato giustiziato il cittadino iraniano britannico Akbari, ritenuto di essere una spia del Regno unito. Questa provocazione che è stata puramente attuata per irritare la Gran Bretagna è stata accolta con sdegno e rammarico per quanto sia crudele ingiusta.
La ferocia di Raisi e del suo governo ha generato malcontento globale, che si sta man mano riflettendo nella quotidianità e anche l’Unione Europea, così come le altre nazioni occidentali, stanno pensando quale sia la maniera più opportuna per intervenire e per fermare uno scempio che non può più essere tollerato. Bisogna utilizzare la massima cautela nel effettuare mosse che porterebbero poi, sicuramente, ad una contromossa iraniana. Una situazione delicata, che sembra creare qualche divisione anche all’interno dello stesso governo.
La reazione dell’unione europea verso l’Iran e le ultime dichiarazioni emerse
Le reazioni alle ultime provocazioni del governo iraniano hanno portato, ovviamente, a conseguenze nazionali e internazionali.
Lunedì il ministro degli Esteri britannico ha ammonito la Repubblica islamica per aver condannato a morte il cittadino britannico-iraniano Alireza Akbari e averlo, Successivamente, giustiziato dopo aver affrontato un processo legale arbitrario.
Il governo di Teheran ha annunciato sabato di aver giustiziato l’ex viceministro della Difesa Akbari. Dopo averlo condannato a morte con l’accusa di spionaggio per l’MI6 britannico. Prima della sua morte per impiccagione è emerso un file audio in cui affermava di essere stato sottoposto a torture per 3.500 ore. Akbari spiegava inoltre che è stato costretto a confessare crimini non commessi sotto obbligo e tortura iraniana.
Il ministro degli Esteri James Cleverly ha dichiarato in parlamento: “Loro (la famiglia di Akbari) hanno condiviso il suo calvario. Un calvario iniziato poco più di tre anni fa, quando è stato attirato di nuovo in Iran” Spiegando anche che: “è stato detenuto e poi sottoposto al famigerato e arbitrario processo legale del regime iraniano.”
Il ministro ha poi dichiarato alla Camera dei comuni Definendo l’esecuzione “vile e vergognosa” di Akbari, avvertendo anche il governo di Teheran che “Il mondo ti sta guardando e sarai tenuto a rendere conto“.
Akbari era stato viceministro della difesa dal 1997 al 2005, durante il regime del presidente riformista Mohammad Khatam. Era Inoltra un grande sostenitore dell’accordo sul nucleare iraniano noto come JCPOA, firmato alla fine nel 2015 con le potenze mondiali.
Cleverly ha inoltre affermato che: “Non ci sono dubbi, è caduto vittima delle vendette politiche di un regime feroce” ha sottolineato inoltre anche che “la sua esecuzione è stata l’atto codardo e vergognoso di una leadership che non disdegna di utilizzare la pena di morte come strumento politico per mettere a tacere il dissenso e regolare i conti interni.”
Dopo l’esecuzione del cittadino iraniano britannico il Sunday Telegraph ha spiegato che il Regno Unito sta considerando il suo sostegno all’accordo nucleare del 2015 e ora i dubbi sono sul fatto di rilanciare o meno l’accordo. La Gran Bretagna è stata fondamentale e protagonista nel ripristinare l’accordo che Trump aveva deciso di abbandonare dopo aver assunto il timone degli Stati Uniti.
Emerge anche la notizia del fatto che diverse donne si sono riunite per pregare dopo il lutto causato dall’esecuzione a discapito del manifestante iraniano Mohammad Hosseini.
In un video che è stato inviato a Iran International domenica, si sente chiaramente una donna che si rivolge a Mohammad, ucciso il 7 gennaio, dicendogli che ora ha numerose sorelle, mentre mentre in sottofondo una donna piange copiosamente.
Il messaggio della donna riporta: “Mohammed, mio buon fratello, ora hai così tante sorelle qui, non sei più solo, siamo venuti da lontano in questo freddo perché hai sacrificato la tua vita per noi, ti vogliamo tutti bene, sei nei nostri cuori.”
Il 39enne, senza apparenti membri della famiglia, è stato una delle vittime più sole della repressione di Raisi e la sua esecuzione ha suscitato massicce reazioni sui social media. Subito dopo la sua impiccagione è diventato un’icona della solitudine, di fronte alla crudele oppressione della Repubblica islamica iraniana.
Moltissime persone portano tutti i giorni fiore e pensieri sulla tomba del giovane ucciso brutalmente dal regime islamico e sono emersi, numerosissimi, post sui social che hanno voluto far comprendere a chi soffre e a chi sta subendo i suoi operosi del governo che nessun iraniano e solo mai supportato da tutta la rivoluzione.
Le condanne non erano basate su un’accusa penale collegata all’omicidio in sé, ma erano accusate di ‘moharebeh’, che significa “guerra contro Dio”, un generico concetto religioso che racchiude in sé numerose interpretazione ma non è rivelatore di nessun specifico crimine se non la fantomatica inimicizia verso Dio. La Repubblica islamica applica ora l’accusa a persone che potrebbero entrare in uno scontro con le forze di sicurezza durante le proteste.
La scelta di continuare con le condanne a morte e con le esecuzioni hanno portato moltissimi Paesi a condannare duramente l’Iran e, soprattutto, la presa di posizione del governo di Raisi che continua, insieme alla guida Suprema dell’iran Khamenei, nel voler ristabilire il pieno regime islamico autoritario.
In molte capitali europee sono nate proteste da parte di gruppi politici e attivisti per i diritti umani, che puntano a fermare il regime Islamico. Puntare ancor di più lo sguardo verso un popolo sofferente e che si trova attualmente nel pieno di una repressione feroce da parte delle autorità governative dell’iran.
Mentre le manifestazioni si moltiplicavano in tutto il mondo e le autorità internazionali continuano a ammonire e sanzionare l’Iran, il regime ha emesso altre condanne a morte e sembra che ora la lista del boia sia arrivata a 109 nomi ma, si tratta soltanto di quelli dichiarati, molte famiglie preferiscono non parlare della loro storia, in quanto potrebbe essere decisivo per la sorte del proprio caro o cara imprigionati.
Gli ultimi giorni i tribunali rivoluzionari iraniani hanno emesso pesanti condanne contro manifestanti arrestati durante le proteste. Per esempio, Mehdi Sabzehparvar è stato condannato a cinque anni, Nazli Saeedi è stato condannato a due anni di divieto di lasciare il paese e a 15 mesi di prigione, lo studente di odontoiatria Behzad Ghadiri è stato condannato a 50 frustate oltre a più di tre anni di carcere, e Amin Amanat è stato condannato a quattro anni con l’accusa di “agire contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro il regime”.
Ma non è tutto, dato che emerge anche la guida Suprema nella città di Karaj, sostiene che la colpa della siccità e di ciò che sta affrontando a livello ambientale l’Iran è colpa delle donne che non vogliono più indossare il velo.
La follia delle autorità religiose iraniane è arrivata ad incolpare le ragazze, che hanno dato il via a movimenti di protesta dopo la morte di Masha Amini e di centinaia di persone uccise brutalmente dalla polizia. Se non piove la responsabilità è di chi offende Dio.
la Guida Suprema nella città di Karaj che ha affermato che la ragione delle basse precipitazioni nel Paese è legata alla mancanza dell’utilizzo del hijab, dopo che molte donne si sono tolte il velo in seguito a mesi di proteste.
In pratica si sottolinea così che l’osservanza dell’hijab è necessaria e chi trasgredisce è un nemico. “Non si può pensare di vivere in un Paese islamico quando si entra in alcune istituzioni, centri commerciali, farmacie, eccetera che servono donne che hanno tolto l’hijab “.
Non è la prima volta che gli integralisti della Repubblica islamica collegano la violazione dei principi e delle leggi islamiche alla siccità o ai disastri naturali, ma stavolta la presa di posizione di Hosseini Hamedani sembra avere superato ogni limite.
Ahmad Alamolhoda anch’egli radicale e religioso, ha chiesto alla popolazione di pregare dato che la pioggia non si manifestava, specificando che la causa potesse essere da ricercare nel continuo opporsi alle leggi morali ed islamiche.
Anche un procuratore generale di nome Mohammad Jafar Montazer nel 2019 ha speso queste parole Merito alla violazione dell’utilizzo del velo: “Il sistema giudiziario non permette alle donne di svelarsi in pubblico, perché provoca disastri naturali come inondazioni e terremoti”.