Iran: scoppiati incendi e scontri nella prigione di Teheran, nota per ospitare molti prigionieri politici.
Fiamme e spari. Sabato sera, al termine di una nuova giornata di manifestazione contro il potere in Iran, è stata data alle fiamme la prigione di Evin, a nord della capitale Teheran. Il penitenziario ha una brutta reputazione nel Paese: l’edificio, infatti, è noto per ospitare nelle sue carceri molti prigionieri politici, in particolare dall’inizio del movimento di protesta innescato dalla morte di Mahsa Amini.
Sui social sono stati pubblicati molti video delle proteste di sabato e dell’incendio divampato all’interno del carcere di Evin, a Teheran. Mostrano fiamme alte e fumo che si alzano dall’edificio, il tutto accompagnato dal rumore degli spari e dal suono delle esplosioni. Si sente anche “morte al dittatore“, lo slogan più volte scandito nei cortei dal 16 settembre.
Dopo l’incendio e le proteste, come sottolinea un funzionario della sicurezza, tutto è ritornato alla normalità, attribuendo l’incendio a “teppisti“.
Tuttavia, otto prigionieri sono morti. Un precedente rapporto riportava quattro morti e 61 feriti, quattro dei quali in gravi condizioni. Tutte le vittime erano condannate per furto. Secondo un giudice della città, gli scontri non sarebbero collegabili ai disordini iniziati nel paese.
Da anni il carcere è noto per i maltrattamenti dei prigionieri politici. Dal 16 settembre vi sono state rinchiuse tante persone arrestate nel corso delle proteste.
Secondo la CNN, la prigione è una struttura violenta, in cui sono incarcerati, dal regime, tutti i dissidenti politici. Questa vocazione ad accogliere prigionieri politici e il clima insurrezionale fanno paragonare il carcere alla Bastiglia.
Su Twitter, il giornalista iraniano-americano Jason Rezaian, incarcerato per 544 giorni a Evin, conferma la terribile reputazione del carcere.
La prigione di Evin detiene anche stranieri o cittadini con doppia cittadinanza come l’accademica franco-iraniana Fariba Adelkhah e l’americano Siamak Namazi, che è stato reincarcerato questa settimana dopo un rilascio temporaneo.
Il gruppo di supporto di Fariba Adelkhah ha detto di avere notizie “rassicuranti” su di lei. Il procuratore statunitense di Siamak Namazi ha detto di aver parlato con la sua famiglia e che è stato “trasferito in una zona sicura della prigione“.
La studiosa australiana Kylie Moore-Gilbert, che ha trascorso la maggior parte dei suoi 800 giorni in Iran a Evin, ha detto al Sydney Morning Herald che i parenti delle prigioniere politiche lì le avevano assicurato che tutte le donne erano in buoni condizioni e che non avevano subito danni.
Secondo lei, non si può sapere ancora cosa accadrà al paese ma di una cosa è certa: l’Iran non potrà tornare alle condizioni di prima dopo questa massiccia rivoluzione.
Si ritiene che in questo istituto penitenziario siano detenuti anche il famoso regista iraniano Jafar Panahi vincitore di numerosi premi internazionali e il politico riformista Mostafa Tajzadeh.
La preoccupazione è alta da parte delle ONG per i diritti umani. “La vita di ogni prigioniero politico e di diritto comune a Evin è a rischio“, ha affermato Iran Human Rights, affermando che le autorità hanno chiuso le strade che portano al carcere per impedire ai manifestanti di entrarvi.
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