La situazione in Iran un continua a essere estremamente pericolosa per il popolo, che sta portando avanti, nonostante le difficoltà concrete e quotidiane, una rivoluzione che punta a rovesciare il regime islamico autoritario di Raisi. Emerge una lettera di sette detenute politiche, che sono prigioniere al carcere di Evin a Teheran, che invocano l’appoggio dell’opinione pubblica per fermare l’esecuzione in programma da parte del governo iraniano.
Mentre le autorità internazionali chiedono che venga interrotto questo scempio, che ha portato alla morte quasi 600 persone, uccise durante le proteste e, anche, all’arresto di oltre 19.000 manifestanti, arrivano appelli disperato dall’Iran. Più le nazioni occidentali cercano di frenare la violenza e la ferocia della repressione iraniana, più il governo aumenta le condanne a morte e le punizioni riservate a chi ha ritenuto nemico dello Stato.
Anche se questo è un momento particolare per l’Iran, che ha visto attacchi attuati mediante droni colpire punti strategici militari, sembra che questo, però, questo non fermi la volontà della Repubblica Islamica Iraniana di soffocare la rivolta e riportare il regime autoritario ai livelli più estremi. L’Unione Europea ha reagito all’esecuzione dell’ex ministro Akbari, che aveva cittadinanza sia britannica che iraniana, con accuse importanti verso Raisi e contro la decisione di togliere la vita ad un uomo per colpire una nazione con la quale è in atto un contrasto ovvero il Regno Unito. Dopo questa decisione, presa dal governo iraniano, è arrivata una risoluzione ufficiale che chiede al Parlamento Europeo di inserire ufficialmente le Guardie della Rivoluzione Islamica all’interno della lista dei terroristi internazionali. L’ Iran ha risposto che, nel caso in cui la decisione andasse a buon fine, le ripercussioni sarebbero forti e non ci sarebbe nessuna pietà. L’alto funzionario delle Nazioni unite ha cercato di mantenere la calma e ha spiegato che, per poter inserire l’organizzazione all’interno dei terroristi, è necessario un processo e un procedimento istituzionale legislativo ben preciso.
In tutto ciò le condizioni dei detenuti iraniani sono veramente preoccupanti e le associazioni umanitarie, per prima Amnesty International, chiedono aiuto alle istituzioni internazionali, per poter compiere azioni concrete e dare sostegno a chi, ogni giorno, subisce abusi, stupri e linciaggi. Per l’Occidente è impossibile accettare una tale violazione dei diritti umani e appoggia la rivolta del popolo scaturita a causa della morte di Masha Amini avvenuta il 16 settembre a causa delle eccessive percosse ricevute dalla polizia morale per aver indossato male il velo. Da quattro mesi la popolazione iraniana e, soprattutto i giovani, sfidano la morte e gravi ripercussioni, anche familiari, per dare una possibilità di vita alle future generazioni che compresa diritti primari e dignità.
Amnesty International ha chiesto di annullare le condanne a morte di tre giovani manifestanti, Arshia Takdastan di 18 anni, Mehdi Mohammadifard 19 e Javad Rouhi 31. I giovani sono stati sottoposti, dopo essere stati tratti in arresto, a frustate, scariche elettriche, sospensi a testa in giù e a ulteriori forme di tortura.
I tre detenuti hanno ricevuto la sentenza nel dicembre2022, la quale prevede una doppia condanna a morte per “inimicizia contro Dio” e anche per “corruzione sulla terra”.
Secondo quanto emerso dalle fonti locali e riportato anche da Amnesty sono accusati di aver “istigato a incendi e ad atti di vandalismo”. Oltre alle azioni violente, che non sono supportate da prove, vengono menzionate azioni come aver danzato, ballato e gettato veli tra le fiamme durante le manifestazioni del 21 settembre nella provincia di Manzadaran.
A Rouhi è stata aggiunta una terza condanna a morte per apostasia, dopo che, sotto tortura, ha confermato di aver dato fuoco a una copia del Corano.
Rouhi, arrestato il 22 settembre 2022, è stato tenuto in isolamento per oltre 40 giorni, durante i quali è stato minacciato di morte con un arma da fuoco per costringerlo a confessare. È stato poi anche frustato, sottoposto a corrente elettrica e a temperature estreme.
Takdastan invece è stato arrestato il 24 settembre e tenuto in isolamento per quasi un mese. Anche lui è stato minacciato di morte, nel caso in cui non avesse confessato ma è stato, anche, sottoposto ripetutamente a soprusi fisici.
Mohammadifard è stato arrestato invece il 2 ottobre. È stato tenuto in isolamento per una settimana in una cella infestata da insetti e topi e ha subito feroci pestaggi. Ma non solo, perché è stato stuprato, riportando lesioni anali e sanguinamento dal retto, talmente serie, che si è reso necessario il suo ricovero in ospedale.
I tre imputati hanno potuto difendersi con i propri avvocati soltanto durante un’udienza durata circa un’ora. È stata avviata la richiesta di appello alla Corte Suprema, ma la preoccupazione di un’esecuzione per impiccagione per entrambi è qualcosa di reale e concreto, che ha mobilitato le associazioni umanitarie e ha ricevuto appello anche dalle autorità internazionali.
Arriva ora anche una lettera da parte di sette detenute politiche, prigioniere nel carcere di Evin a Teheran che chiedono all’opinione pubblica una presa di posizione e di non votare la faccia davanti a questo scempio compiuto dal governo iraniano.
Sette detenute politiche al carcere di Evin hanno chiesto all’opinione pubblica di non restare ferma a guardare ma di attuare azioni contro la condanna a morte dei manifestanti. Hanno riferito le minacce costanti di esecuzione imminente nonché di minacce di finte esecuzioni verso conoscenti dei detenuti al fine di per ottenere confessioni forzate. Ma soprattutto hanno espresso il loro disgusto per la condanna a morte utilizzata come deterrente per il popolo ma anche per le torture fisiche, mentali e psicologiche che quotidianamente vivono i prigionieri iraniani.
Bahare Hedayat, Narges Mohammadi, Sepideh Qalian, Alia Matalzadeh, Hasti Amiri, Noushin Jafari e Raha Asgarizadeh hanno domandato all’opinione pubblica di utilizzare il pugno duro per fermare le “condanne a morte” dei manifestanti.
Nella lettera le detenute hanno anche elogiato i prigionieri come Sepideh Kashani e Nilofar Bayani che, nonostante i reali pericoli “hanno rivelato le dimensioni del crimine e dell’oppressione nelle camere oscure di sicurezza”.
Nilufar Bayani, uno degli imputati nel cosiddetto caso “Ambiente biologico“, spiegò in una lettera del 2018 che avvenivano nel carcere “le più gravi torture mentali ed emotive, minacce di torture fisiche e minacce sessuali”.
La scorsa settimana, in una lettera, Sepideh Kashani informava di lunghi e strazianti interrogatori finalizzati alla confessione di reati inesistenti, così da poter avere una linea sulla quale improntare la difesa, nel caso emergano problemi dovuti alle pratiche utilizzate sui prigionieri.
Ha rivelato nella lettera che una notte dopo aver terminato l’interrogatorio, approfittando del buio: “Improvvisamente, un uomo mi ha sussurrato all’orecchio da dietro di me da una distanza molto ravvicinata. Lanceremo freccette proprio qui. Sono andato nel panico. La morte era così vicina a noi”.
Le detenute politiche hanno invece sottolineato, nella loro lettera, che uno degli strumenti più ignobili utilizzati dalle Guardie di Sicurezza per pressare e ottenere, così, le confessioni dagli attivisti è quella di “mostrare la scena dell’esecuzione”.
Le condannate hanno spiegato in questa lettera che la paura delle esecuzioni: “nella solitudine e nella solitudine delle celle solitarie non è lontana dall’esecuzione”.
Le prigioniere hanno riferito anche che Maryam Haj Hosseini, un’altra loro compagna che fa parte dell’élite accademica del Paese, è stata detenuta per 412 giorni nella casa sicura del Ministero della Difesa, in una zona lontana da Teheran, ed è stata costantemente minacciata di “esecuzione capitale” ed è stato accusata di “corruzione nel mondo”.
Ciò che emerge chiaramente è la manipolazione dei detenuti che vengno portati allo stremo e, così, per sfinimento e, soprattutto, a causa delle condizioni precarie sia fisiche che psicologiche si arrendono alla confessione. I maltrattamenti fisici e psicologici stanno segnando una generazione intera e per mano del governo dell’iran che invece dovrebbe proteggere i propri cittadini.
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