La furia del governo in Iran non conosce tregua ma anzi le autorità avvisano che la repressione sarà ancora più dura. Oltre 100 manifestanti sono stati condannati a morte e le Ong sono preoccupate per la vita dei giovani prigionieri tra cui anche minorenni. L’Onu ha deciso di prendere posizione e lo ha fatto duramente, nonostante ciò Raisi sembra non indietreggiare.
La situazione sta andando incontro a un punto di non ritorno, che ora come ora è difficile anche da gestire per le autorità internazionali che, ovviamente vorrebbero fermare lo scempio che tutti stiamo osservando, ma non è così facile inserirsi e imporsi all’interno delle decisioni di uno stato. Le sanzioni emesse dall’Ue e dagli Stati Uniti sembrano non toccare minimamente il regime iraniano, che continua con la sua folle repressione. Violenza, crudeltà e morte sono le costanti quotidiane a cui devono sottostare i cittadini in Iran ma soprattutto il genere femminile.
Dal 16 settembre, data in cui ha perso al vita Mahsa Amini a causa delle percosse ricevute mentre si trovava in custodia dalla polizia morale, le manifestazioni sono diventate una rivoluzione per ridare dignità e diritti alle donne, ma anche per rovesciare il regime Islamico. La paura di perdere potenza ha creato una pericolosa escalation di violenza governativa ma nonostante il terrore quotidiano il popolo non rinuncia a lottare.
Non esiste un momento di tregua per la popolazione in Iran, che ora è davvero sotto attacco su tutti i fronti. Si tratta di una questione di dimostrazione di potere e potenza governativa, che si tramuta in concreto nella repressione quotidiana delle proteste. Il presidente Raisi non ha intenzione di mollare il colpo così come non lo ha minimamente la guida spirituale dell’Iran Khamenei.
Entrambi dopo il polverone mediatico sollevato da associazioni umanitarie, ma anche dalle stesse istituzioni internazionali ha aumentato il sentimento d’odio nei confronti dell’occidente, ritenuto responsabile dei tumulti e di cattiva pubblicità per il governo iraniano. La pena di morte introdotta per i manifestanti vuole essere un monito per chi ancora continua a protestare.
Chi è ritenuto nemico del governo e della religione islamica va fermato a tutti i costi. Una dura presa di posizione che sta, però, schiacciando la popolazione. Le donne non rinunciano a volere diritti e dignità e non hanno intenzione di indietreggiare e lasciarsi abbattere dalla paura.
Anche numerosi personaggi di spicco hanno usato la loro influenza per chiedere lo stop della repressione ma hanno avuto punizioni davvero crudeli. Elnaz Rekabi ha gareggiato a Seul senza il velo e ha visto la propria abitazione rasa al suolo. Il calciatore Daei, dopo aver manifestato solidarietà al popolo dell’Iran, ha avuto un serio avvertimento dalle autorità che hanno fatto atterrare la moglie ed il figlio diretti su un volo a Dubai per farli rientrare nel Paese.
Queste sono le storie con lieto fine dato che ciò che emerge dai penitenziari è sconvolgente. Violenze di gruppo e stupri utilizzato come arma per umiliare, oltre che per far soffrire, i prigionieri ma anche ferimenti e confessioni estorte con minacce. Una realtà che rivela quanto sia costretto il popolo a una vita di privazioni e abusi. Non è possibile avere un’opinione differente dal governo e ciò è considerato reato.
Il rispetto rigoroso delle leggi islamiche morali e di comportamento è essenziale per il capo di stato Raisi che ha, difatti, dato pieno poteri per farle rispettare alle guardie della rivoluzione e alla polizia religiosa. Le privazioni femminili sono qualcosa di inaccettabile e che necessita di essere fermato dato che le autorità iraniane minimizzano ciò che sta realmente accadendo nella nazione.
Le condanne a morte per i manifestanti sono utilizzate come arma per infondere terrore e placare le rivolte in Iran. La Ong, con sede a Oslo, Iran Human Rights ha affermato che attualmente le persone rimaste uccise durante le proteste sono 517 e oltre 19.000 manifestanti sono stati arrestati.
Numerose Ong hanno ora sollevato il problema della lista dei condannati a morte che ora è arrivata a contare 109 nomi di giovani iraniani che hanno al massimo 30 anni. Nella lista dei condannati sono presenti anche minorenni e ciò ha sollevato l’indignazione dell’Onu che non può tollerare violenza ulteriore.
Le autorità di Teheran hanno inoltre spiegato che le esecuzioni dei due giovani manifestanti recentemente arrestati ma già condannati a morte ovvero Mohammad Ghobadlou e Mohammad Boroughani non è ancora stata programmata. Mizan, l’agenzia della Magistratura iraniana, ha spiegato in merito: “L’esecuzione della condanna a morte di Ghobadlou, accusato di avere ucciso un agente di polizia, e di Boroughani, accusato di avere un coltello e di avere incendiato l’edificio di una prefettura durante le dimostrazioni, è stata fermata per ‘procedimenti legali incompleti‘”.
Ieri mattina moltissimi cittadini si sono incontrati davanti al carcere di Rajaeishahr a Karaj, compreso i familiari dei condannati, dopo che si era diffusa la notizia del passaggio in isolamento per essere successivamente uccisi mediante impiccagione pubblica.
L’Onu ha precisato con fermezza: “L’utilizzo come arma delle procedure penali per punire le persone che esercitano i loro diritti fondamentali, come coloro che partecipano o organizzano manifestazioni, equivale a un omicidio”.
Ma le accuse e affermazioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite non sfiorano minimamente Raisi e le autorità governative che replicano alle accuse duramente.
Il comandante dei guardiani della rivoluzione ha affermato: “Le proteste contro il sistema in Iran sono in realtà un’insurrezione del nemico e una guerra mondiale contro la Repubblica Islamica per portare il Paese nel caos” concludendo poi: “coloro che sono incitati dagli stranieri e incitano i giovani a partecipare alle rivolte puntano a rovinare l’Iran e fermare il suo sviluppo. Dove il nemico è presente nella regione c’è povertà, prigionia e miseria e questo è il piano del nemico contro la comunità islamica”.
La guida Suprema dell’Iran Khamenei ha affermato: “I media occidentali, arabi ed ebraici, come anche i social network, stanno tentando di diffondere l’idea che le attuali rivolte mirano a criticare i punti deboli esistenti nella gestione del paese rispetto all’economia ma di fatto sono contro i nostri punti forti”.
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