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Mentre il mondo continua a guardare con orrore alle migliaia di giovani uomini e donne che abbandonano la loro vita – più o meno confortevole – in Occidente, per aderire all’ISIS, alcuni provano a dare una spiegazione dei motivi per i quali così tante persone sono passate rapidamente dall’essere apparentemente ben adattate, a diventare guerriglieri assetati di sangue e armati di Kalashnikov in nome della religione. Il fatto è che la propaganda jihadista migliora di continuo, ma anche le condizioni di vita in famiglia pesano in certe decisioni. Deeyah Khan prova a inquadrare il problema nel suo documentario dal titolo Jihad – A British History. Spiega la regista: ”Il fatto che qualcuno possa vendere la morte ai giovani musulmani e renderla così affascinante significa che noi altri non siamo stati in grado di vendere bene la vita. E’ un fallimento di tutti”
L’ex terrorista Alyas Karmani, intervistato nel doc, ora è imam a Bradford. Racconta di essere stato portato alla jihad da radicali carismatici: ”Se qualcuno mostra di comprenderti e ti sostiene emotivamente, se qualcuno ti abbraccia e mostra compassione e affetto, l’effetto è potentissimo”. Cosa trasforma i giovani in guerrieri religiosi? Nel nuovo film documentario della regista Deeyah Khan, che ha vinto anche un Emmy Award, si mostra come e perché gli occidentali abbracciano la jihad andando incontro al rischio della morte. Da tre generazioni ormai, giovani di tutta Europa sono caduti preda di gruppi estremisti e sono andati a combattere, uccidendo o venendo uccisi, in Afghanistan, Bosnia, Kashmir, in Cecenia e Birmania, per fare qualche esempio.
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In questo film, Deeyah, attivista e regista, che ha pure dovuto affrontare minacce dei fondamentalisti in passato, si propone di scoprire perché il messaggio jihadista ha un tale presa seducente sui giovani occidentali. E così inizia il suo lavoro indagando e tornando alle origini. Ha trascorso due anni con alcune delle figure di spicco del movimento jihadista britannico. Ci ha dunque lasciato una testimonianza senza precedenti dalla diretta voce di ex estremisti, che in qualche modo ci fa capire cosa si prova a essere coinvolti nella radicalità.
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Quello che viene evidenziata è la figura di padri che non riescono ad accettare i propri figli, perché non sono in grado di trovare un compromesso tra la loro tradizione e la sessualità occidentale. Questo non fa altro che generare frustrazione sui figli, che pure vivono in occidente e hanno punti di riferimento diversi rispetto ai loro genitori. La conclusione è che i genitori trovano più facile imporsi con la violenza, picchiando i loro figli, maltrattandoli o semplicemente reprimendo la loro sessualità. I giovani quindi si arruolano per fare colpo sulle ragazze? Sembrerebbe proprio così.
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Il quadro che ne esce è che i giovani musulmani britannici (ma non solo) si sentono arrabbiati e alienati di fronte alle questioni più comuni che riguardano soprattutto la discriminazione da parte della comunità in cui si vive, la crisi di identità e il rifiuto da parte sia della società tradizionale che delle famiglie di appartenenza. Ma sono anche frustrati e repressi a livello sessuale, e colpevoli di tale condizione sono proprio i genitori, che con i loro tabù spingono i giovani ad andare a lottare per lo Stato Islamico per dimostrare al mondo e ai loro occhi di ”valere qualcosa”. Ed è il sindaco di Londra, Johnson a spiegare che: ”L’Isis deve essere demistificato e le reclute smascherate. I soldati della jihad vanno guardati per ciò che sono: perdenti tormentati. Sono persone che vivono malissimo le relazioni con il gentil sesso, sintomo questo del senso di fallimento e della sensazione che hanno di avere il mondo contro”.
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