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Il governo laico di Tunisi prende provvedimenti contro le moschee considerate centri di predicazione che incitano alla violenza. Dopo la strage di turisti avvenuta sulla spiaggia presso l’hotel Riu Imperial Marhaba di Port El Kantaoui, vicino a Sousse, dove in una sparatoria a colpi di kalashnikov sono morte 39 persone, quasi tutti turisti, Isis ha rivendicato sui social media la parternità dell’attentato contro i turisti sulla spiaggia di Sousse. A dare l’annuncio del giro di vite sulle moschee fuori controllo è stato il premier Habib Essid. ”Tutte le moschee chiuderanno entro una settimana”, ha detto Essid parlando durante una conferenza stampa a Tunisi.
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Saranno dunque chiuse 80 moschee – al di fuori del controllo dello Stato – per incitamento alla violenza dopo il massacro avvenuto sulla costa a Sousse. Il presidente ha poi detto che alcuni di questi centri di predicazione ”continuano a diffondere la loro propaganda e il loro veleno per promuovere il terrorismo”.
L’orrore tra gli ombrelloni in una giornata di sole
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Il ministero dell’Interno ha fornito un primo elenco delle vittime: cinque cittadini tunisini, un belga, cinque tedeschi, quattro britannici e tre francesi. Fonti ospedaliere registrano anche cittadini cechi e polacchi, mentre l’Irlanda ha confermato la notizia data dall’Irish Times della presenza di una donna irlandese tra i morti. L’Unità di crisi della Farnesina è al lavoro per verificare la presenza di italiani.
Isis rivendica l’attacco
Sul web, Isis ha rivendicato l’attentato contro i turisti sulla spiaggia di Sousse, dopo aver rivendicato anche l’altro attentato, quello contro una moschea a Kuwait City che ha fatto 27 vittime. Secondo il sito Site, Isis ha anche pubblicato la foto dell’attentatore, un giovane identificato come Abu Yahya al-Qayarawani, che appare sorridente in maglietta bianca con accanto due kalashnikov. Una scritta recita: ”Il nostro fratello, il soldato del Califfato Abu Yahya al-Qayarawani ha raggiunto il suo obiettivo, l’Imperial hotel, malgrado le misure di sicurezza”.
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Un venerdì di sangue, quello del 26 giugno 2015: morti in una moschea in Kuwait, morti tra i turisti sulle spiagge in Tunisia e morti tra i soldati africani trucidati dagli Shebab in Somalia. Solo pochi giorni fa, il portavoce dello Stato islamico, Al Adnani, ha esortato a trasformare il mese del Ramadan in ‘calamità per gli infedeli’.
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