Israele sta vivendo un momento di transizione politica con l’ingresso del nuovo governo di estrema destra, capitanato da Netanyahu e supportato da Levin e Ben Gvir. La nuova riforma giudiziaria, che ha proposto il neo eletto, ha sollevato l’ira di molti alti funzionari che credono che, in questa maniera, si andrà incontro alla disfatta del sistema giudiziario israeliano.
Dopo che Netanyahu ha ottenuto la maggioranza sconfiggendo il suo oppositore Lapid con l’appoggio, però, dei partiti di estrema destra, considerati da molte istituzioni internazionali pericolose, Israele è tornato a destare preoccupazione e timore in merito alle prossime scelte che intenderà intraprendere il neo eletto Netanyahu, insieme ai suoi due ministri, molto discussi, Levin e Ben Gvir. Il timore delle istituzioni internazionali e quello di vedere una nuova escalation di violenza, in particolar modo nei confronti del territorio palestinese, dato il profondo astio tra esponenti estremisti ortodossi in contrapposizione ai gruppi islamici insediati sia all’interno della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ma anche del territorio palestinese.
Una guerra religiosa ed estremista che ha radici profonde, che invece di essere spenta, come succedeva nel caso di Lapid, viene alimentata dalla parte più estrema del governo, che ha già fatto chiaramente capire la sua posizione senza troppi giri di parole. Si preannuncia un anno complicato per Israele, in quanto non ha intenzione di frenare la propria posizione di attacco nei confronti dei gruppi islamici e gli attacchi che sono stati eseguiti, non appena è iniziato il mandato governativo, sono un chiaro messaggio per la comunità internazionale.
Il popolo israeliano ha iniziato l’anno con l’avvio del nuovo mandato governativo, che vede al comando Benjamin Netanyahu eletto nuovo primo ministro. La vittoria del leader è stata supportata delle fasce di estrema destra ultranazionalista, vicinanza che ha fatto molto discutere fin da subito. La scelta di Netanyahu di dare una posizioni di rilievo a Ben Gvir e a Levin, ha sollevato molte critiche, sia all’interno dell’opposizione israeliana che a livello internazionale, in quanto, entrambi, appartengono a partiti estremisti che sostengono fermamente, soprattutto Gvir, la l’occupazione dei territori palestinesi e della Cisgiordania e, per quanto riguarda l’aspetto sociale, non accettano i diritti LGBT e parità di genere e, inoltre, sono pronti ad una guerra contro le forze dello Stato islamico.
Israele gode di un’economia fragile che è, ora, improvvisamente messa in discussione, dato le scelte intraprese da parte del capo del governo e dei suoi ministri, non appena entrati in carica ufficialmente. La prima cosa che ha deciso di fare il governo è stata quella di attuare un attacco all’aeroporto di Damasco, finalizzato, al distruggere alcune basi ritenute possibili nascondigli dei gruppi ribelli islamici. La decisione ha lasciato perplesse tantissimi cittadine e ha attirato critiche a livello globale.
Ciò che si è verificato dopo, però, e qualcosa che ha irrimediabilmente spinto oltre il conflitto tra milizie israeliane e milizie islamiche. Il ministro della difesa israeliana ha dichiarato che avrebbe fatto visita alla Spianata delle moschee che è notoriamente un luogo non accessibile ai fedeli ebrei e ortodossi ma che è stato assegnato come luogo sacro ai musulmani. La provocazione di Ben Gvir non è stata soltanto è una provocazione verbale, dato che, il giorno successivo, si è recato con tanto di scorta armata in passeggiata proprio nel luogo sacro ai musulmani e ha attirato a sé l’ira del popolo islamico ma virgola in tutta risposta, a precisato che gli israeliani non si faranno mai intimidire dagli islamici.
Tutto il lavoro svolto in precedenza per cercare di sedare animi contrastanti e astio presente, è stato completamente annullato nel giro di pochissimo tempo dalla volontà del nuovo governo che, a quanto pare virgola non ha a cuore la coesione dei popoli ne il vivere pacifici, senza contrasti interni ne esterni. Ma ha schiacciato, invece, il pedale sull’acceleratore e innescato un nuovo attrito, che sta spaventando il mondo intero.
Probabilmente sarà inevitabile un nuovo conflitto armato ma, per ora, è improbabile e impossibile immaginare la reale portata militare di ciò che potrebbe scaturire. È chiaro, però, che non sono soltanto i paesi esteri, considerati ostili dal governo israeliano, a dover temere per il proprio futuro ma è necessario che lo facciano anche gli stessi cittadini di Israele, che rischiano di rimanere oppressi e schiacciati dal nuovo governo formato da Netanyahu.
La riforma giudiziaria è stata illustrata dal ministro della Giustizia Levin, ma non è stata ben accolta in Israele sia dall’opposizione che dalle alte cariche della magistratura, che ritengono, queste nuove leggi introdotte, una manovra atta a trasformare la Corte Suprema israeliana in uno strumento politico governativo.
La riforma proposta dal ministro israeliano della Giustizia Yariv Levin, ovviamente appoggiata dal partito di maggioranza Likud e, di conseguenza, dal primo ministro Netanyahu, finirà per “distruggere il sistema giudiziario”.
Una lettera Inaspettata pubblicata nelle ultime ore e “senza precedenti” nella storia di Israele, voluta da tutti gli ex procuratori generali e da gran parte dei pubblici ministeri in pensione è arrivata, durissima, e ha colpito con fermezza l’esecutivo e la legge allo studio che cambierà in modo radicale il ramo giudiziale. Si legge: “Siamo rimasti scioccati nell’ascoltare il piano e siamo convinti che non porterà un miglioramento al sistema ma, al contrario, minaccia di devastarlo”.
Alcuni fra i più stimati magistrati affermano che ,il piano di Levin, ha la chiara intenzione di: “cambiare il metodo di selezione dei giudici” e rischia di trasformare la Corte suprema da “istituzione indipendente” che agisce attualmente: “senza paura e pregiudizi” in un “organismo politico”. Il timore, che portano alla luce i togati, è quello che possano insinuarsi “sospetti” di plagio o di sfruttamento della legge “a favore del governo” compromettendo così irrimediabilmente l’indipendenza necessaria fra i vari organi statali.
Tutto viene aggravato poi dalla “significativa limitazione” della “autorità” di giudici e tribunali di esercitare “una reale critica verso il governo” perché quest’ultimo non “abusi dei propri poteri” e lasciando campo libero a una coalizione di maggioranza di decidere senza contrappesi e limiti.
Gli alti funzionari spiegano inoltre: “Il tutto a prescindere da quanto possa essere sbagliata o dannosa una decisione” attraverso una “clausola di annullamento”.
La clausola, che vorrebbe il ministro Levin, prevede che possa essere chiesta una votazione, anche da un singolo deputato, in merito alle decisioni della Corte Suprema e prevede che con la maggioranza dei voti, ovvero 61 su 120, la decisione presa dall’organismo, che dovrebbe essere superiore ad ogni macchinamento politico e governativo, può essere annullata.
Nella dichiarazione inattesa gli alti funzionari spiegano che la Corte suprema è notoriamente un strumento che deve essere al di sopra nell’ambito politico e non deve avere condizionamenti dalle istituzioni. Tra l’altro la Corte Suprema di Israele e “riconosciuta” all’estero fra le più “autorevoli” al mondo.
Hanno poi precisato che: “In assenza di una Costituzione, e senza una carta dei diritti umani, è quella che ha retto in Israele lo Stato di diritto anche verso il potere esecutivo, combattendone arbitrarietà e corruzione e proteggendo i diritti umani, anche di quelli dei gruppi minoritari. Ora questi risultati sono in grave pericolo per questo il governo dovrebbe far cadere il piano di riforma e scongiurare ulteriori e gravi danni al sistema giudiziario.”
Concludono poi affermando che: “l’obiettivo deve essere quello di preservare Israele come Stato ebraico e democratico alla luce dei valori espressi all’interno della Dichiarazione di Indipendenza.”
La riforma giudiziaria appoggiata da Netanyahu alimenta scontri e dissapori all’interno del paese, tra gruppi già in conflitto. Da un lato estrema destra schierata ciecamente al fianco di Netanyahu e dei suoi ministri Levin e Ben Gvir che appoggia il partito pienamente ed è favorevole alla suddetta riforma giudiziaria. L’opposizione invece ritiene che, questa riforma, priverà dell’unico organismo imparziale che potrebbe in futuro sanzionare e occuparsi anche di esponenti politici nel caso dovessero compiere azioni a discapito dello Stato.
I partiti dell’opposizione invocano proteste di massa anche per combattere la riforma di Levin e chiedere che venga fatto un passo indietro, in merito a questa decisione, che mette a rischio non solo la Corte Suprema ma tutte le istituzioni democratiche israeliane.
Nelle ultime ore si è verificata anche una protesta attuata da un gruppo di attivisti direttamente fuori dalla casa del ministro della Giustizia che è stata attuata in risposta al raduno dei gruppi filogovernativi che si erano dati appuntamento davanti all’abitazione dell’ex presidente dell’alta Corte Barack.
Levin con questa riforma rischia di attirare a sé molto malcontento e non soltanto da Israele ma anche dalle autorità globali in quanto, le modifiche andrebbero ad apportare cambiamenti che favoriscono soltanto le autorità governative e sminuiscono l’imparzialità dei provvedimenti giudiziari.
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