Meriem Rehaily, l’italiana di origini marocchine arruolatasi nell’Isis, una volta aveva ammesso: «Godo nel vedere decapitazioni». Le decapitazioni effettuate dai terroristi islamici dell’Isis sui miscredenti e i nemici dell’Islam. Contro la ragazza, latitante forse in Siria, è cominciato il processo per terrorismo a Venezia.
PERCHÉ IN ITALIA NON CI SONO STATI ANCORA ATTENTATI
Meriem Rehaily, originaria di Arzergrande, in provincia di Padova, nel 2015 fuggì a Raqqa, in Siria, per legarsi all’Isis. A luglio di due anni fa, appena arrivata in Marocco dall’aeroporto di Bologna, scrisse ai genitori: «Sono arrivata, ci vediamo in paradiso». Meriem ormai era diventata una fondamentalista islamica, credeva nella jihad e nel paradiso per i kamikaze.
Nel processo saranno utilizzate, come elementi contro di lei, intercettazioni telefoniche e messaggi scambiati sui social con altri terroristi e amiche che voleva indottrinare o con cui voleva vantarsi di essere diventata una fanatica. «Non puoi immaginare quanto ho goduto ieri… non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa… ahahahah», scrisse a un’amica nel 2014, prima di partire per la Siria. In un altro messaggio, pochi mesi prima, aveva scritto: «Prego Allah per darmi il viaggio e la Jihad per Allah… Amo il Jihad e colui che fa il Jihad avrà un guadagno».
Arrivata in Siria, nel 2015, confessò a un’amica di trovarsi in Siria: «Io qui sto vivendo da Dio perché ho trovato quello che ho sempre sognato», ovvero una casa «di sole donne» a cui ogni giorno venivano impartite «lezioni sul Corano e sull’utilizzo teorico e pratico delle armi per andare a combattere». In un ultimo messaggio, risalente a un anno fa, aveva contattato la famiglia perché voleva tornare a casa. Forse si era pentita. Di lei si sono perse le tracce: è latitante, sempre se non abbia pagato le conseguenze di un’eventuale diserzione.
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