Italiani rapiti in Libia, tutti i misteri e i punti oscuri

Liberati gli ostaggi Pollicardo e Calcagno in Libia

La vicenda degli italiani rapiti in Libia, finita con la liberazione di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno e la morte di Salvatore Failla e Fausto Piano ha ancora molti punti oscuri, misteri di cui ancora si sa poco o niente. Tutto inizia con il loro sequestro il 19 luglio 2015: i 4 sono tecnici della Bonatti Spa, azienda specializzata nella manutenzione di impianti, che lavora per l’Eni nell’impianto di Mellitah. Siamo in una zona molto pericolosa, al confine con la Tunisia e con il deserto. Quel giorno i quattro tecnici vengono rapiti da una banda di criminali: di loro non si sa più nulla, fino al 3 marzo quando dalla Libia arriva la notizia della morte di due italiani. La Farnesina conferma che si tratta di due dei tecnici rapiti quasi otto mesi, prima: Failla e Piano sono morti durante un conflitto a fuoco nella zona di Sabratha. Il giorno dopo Pollicardo e Calcagno vengono liberati. Raggiunto un commissario locale, telefonano ai parenti e mandano un videomessaggio dalla pagina Facebook del Media Center di Sabratha: stanno bene ma vogliono tornare in Italia. Domenica 6 marzo alle 5 del mattino il loro aereo atterra a Ciampino: è la fine di un incubo. Ai pm raccontano come si sono liberati e come hanno vissuto i lunghi mesi di prigionia. Solo al rientro in Italia apprendono della morte dei due compagni. Tutta la vicenda è intricata e nasconde molti lati oscuri: vediamo quali sono.

Il sequestro all’estero di connazionali, la morte di due ostaggi e la liberazione degli altri due, già di per sé presenta dei punti poco chiari. In questo caso, tutto è aggravato dall’attuale situazione in Libia dove, con la caduta di Muammar Gheddafi, si è creato un vero caos istituzionale, con il Paese diviso tra due governi (Tobruk e Tripoli) e sfiancato dalla guerriglia tra tribù in cui si è infilato il fondamentalismo islamico e l’Isis.

Il rapimento

Dai racconti di Pollicardo e Calcagno e dalle indagini della Procura, sappiamo che i 4 tecnici della Bonatti Spa sono stati rapiti lungo la strada che li portava a Mellitah, passando per il confine con la Tunisia. Gli italiani erano infatti arrivati in aereo a Djerba e da lì avrebbero dovuto prendere una nave o un aereo per attraversare il confine con la Libia. Il nostro Paese ha infatti dato espresso divieto di attraversare il confine via terra: si tratta di una “zona di nessuno”, non controllata da forze militari riconosciute e usata dai foreign fighters tunisini che si uniscono all’Isis. Invece, il 19 luglio 2015, ad attendere i 4 italiani c’era un furgone e i tecnici vengono rapiti lungo la strada. Secondo le prime ricostruzioni, a tradirli sarebbe stato l’autista del furgone. Perché si è scelto di attraversare il confine via terra? Ci sono delle responsabilità della Bonatti? Se sì quali sono?

I sequestratori

Ancora non è chiaro chi siano i rapitori. Da quanto ricostruito con le indagini e i racconti degli ex ostaggi, si tratterebbe di un gruppo tribale di estremisti islamici più che di appartenenti all’Isis. Calcagno ha raccontato di aver visto tra i rapitori anche donne e bambini, che i sequestratori non indossavano le classiche tute mimetiche con cui si vestono i miliziani del presunto Califfato, non c’erano le bandiere nere dell’Isis. Da subito, per gli investigatori italiani è difficilissimo indagare sul territorio, anche per l’assenza di strutture diplomatiche (l’ambasciata italiana è stata chiusa nel febbraio 2015). I contatti diventano sempre più radi e la situazione sempre più complessa.

L’Isis

A rendere ancora più oscuro il tutto c’è il ruolo dell’Isis nella vicenda. Da quello che sappiamo, gli jihadisti non avrebbero preso parte al rapimento, ma questo non esclude la loro presenza sul territorio. La zona di Sabratha è a forte infiltrazione da parte dell’Isis ed è per questo che il 19 febbraio 2016, un raid USA ha colpito una base di jihadisti in quell’area. Tra le vittime ci sono anche due diplomatici serbi. Tutto diventa sempre più complicato. Che ruolo ha avuto l’Isis? Hanno orchestrato tutto usando i terroristi locali per nascondersi? Se invece fossero stati i rapitori a usare il nome dell’Isis per sviare l’attenzione?

Il riscatto

Fonti libiche hanno riferito alla Bbc di una richiesta di riscatto pari a 12 milioni di euro per la liberazione dei 4 ostaggi. Le autorità italiane negano di aver pagato tale cifra, il presidente del Copasir Giacomo Stucchi lo nega con forza e fa notare come sia la stessa cifra venuta fuori per il rapimento di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Raccontando quanto successo, Filippo Calcagno ha spiegato che due giorni prima della loro fuga, i rapitori avevano detto che “era tutto finito” e avevano portato delle tute da indossare al momento della liberazione. Solo allora li avrebbero divisi, portando via Failla e Piano. Cosa vuol dire che era finito? Il riscatto è stato pagato? Se sì, quanto? E soprattutto, perché due dei 4 ostaggi sono morti?

La morte di Failla e Piano

Salvatore Failla e Fausto Piano, in tutto questo, sono morti. Come e per mano di chi ancora non si sa. Le ipotesi sono diverse a seconda delle fonti. Alcune parlano di una vera e propria esecuzione: i due italiani sarebbero stati colpiti con un colpo alla nuca poco prima che il furgone su cui viaggiavano si imbattesse nelle forze di sicurezza libica. Altre dicono che sono stati usati come scudi umani da parte dei loro rapitori; altre ancora che sono morti durante un conflitto a fuoco con le milizie libiche che li avrebbero scambiati per un gruppo di jihadisti dell’Isis, lungo la strada che passa nel deserto a circa 30 Km da Sabratha.

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