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Italiani uccisi in Libia, i funerali di Failla e Piano: l’omaggio dei colleghi Pollicardo e Calcagno

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Le famiglie hanno dato l’ultimo saluto a Fausto Piano e Salvatore Failla, i tecnici della Bonatti uccisi in Libia. Le comunità di Capoterra, in provincia di Cagliari, e Carlentini, in provincia di Siracusa, sono state unite nel dolore per i funerali dei loro concittadini. Nel paese sardo è arrivato Gino Pollicardo, rapito anche lui con Filippo Calcagno e i due colleghi della Bonatti, e riuscito a salvarsi: è stato vicino alla vedova di Piano, la signora Isabella, l’ha sorretta nel tragitto verso la chiesa e le ha dato un lungo abbraccio. Filippo Calcagno invece ha raggiunto il paese siracusano per rendere omaggio a Salvatore Failla: ad accompagnarlo alla bara la vedova, Rosalba Scorpo. I funerali sono stati l’ultimo atto di una vicenda che ha ancora troppi punti oscuri.

Secondo l’autopsia, Fausto Piano e Salvatore Failla, i tecnici della Bonatti uccisi in Libia dopo quasi otto mesi di prigionia sono morti perché raggiunti da raffiche, probabilmente di kalashnikov, nella parte anteriore del corpo. Sono stati dunque colpiti frontalmente, al cuore e al fegato, e non con colpi alla nuca durante una esecuzione, come affermato nei giorni scorsi in alcune versioni fornite dalle autorità di Sabrata, che sostengono che i due italiani sarebbero stati uccisi dai sequestratori prima di essere a loro volta uccisi. L’autopsia fa emergere la possibilità sempre più accreditata che i due siano stati raggiunti durante una sparatoria nella quale sarebbero stati uccisi almeno una parte dei sequestratori.

Il rientro delle salme
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Nella notte di mercoledì 9 marzo le salme di Salvatore Failla e Fausto Piano sono rientrate in Italia. Ad attenderli all’aeroporto di Ciampino, le famiglie, distrutte dal dolore. Con loro, anche un sacerdote che ha dato la benedizione alle bare in un silenzio quasi irreale. Ora, i cari dei tecnici della Bonatti Spa chiedono verità e giustizia. In particolare, la pretende Rosalba Castro, vedova di Failla, che ha rifiutato i funerali di Stato e che ha fatto sentire l’audio dell’ultima telefonata arrivata dal marito. “Sono da solo, muovi tutto quello che puoi, i media, i tg. Aiutami“, si sente dalla voce di Failla. La moglie si accorge che sta ascoltando una registrazione e chiede di parlare con il marito. A quel punto si sente una persona, dall’accento arabo, dire qualcosa: uno dei rapitori parla in italiano.

L’ultima telefonata di Failla alla moglie: ‘Aiutatemi’
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Ho sentito la registrazione di Failla fatta ascoltare ieri dalla moglie. Le cose sono andate così, il racconto non si allontana dalla realtà, dall’incubo che abbiamo vissuto. Loro ci avevano chiesto un numero di cellulare di tutti nostri familiari, ce li hanno estorti“, ha commentato Filippo Calcagno alla trasmissione ‘Radio anch’io’, uno dei due italiani riusciti a fuggire. Il suo racconto ha un elemento importante: a sua memoria nessuno dei rapitori parlava italiano.

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Secondo Calcagno dunque i sequestratori non parlavano italiano. “Ci dissero attraverso Salvo Failla, che era l’unico che capiva il francese, che loro non parlavano neppure tanto bene, di stare attenti e di non dire altre cose se non quelle cose che venivano suggerite. Però ci dissero che siccome quelle registrazioni dovevano essere fatte in italiano, ci dissero di stare attenti di non dire altre cose che non fossero quello che veniva suggerito, perché c’era qualcuno che capiva quello che (…) perché loro dovevano farlo sentire a qualcuno“, ha spiegato Calcagno. Chi c’era che parlava italiano? Chi ascoltava e approvava le registrazioni?

L’autopsia in Libia

La Procura generale di Tripoli ha diffuso nella giornata di mercoledì 9 marzo la notizia dell’autopsia sui corpi dei due italiani uccisi a Sabratha. Sulla sua pagina Facebook il Sabratha Media Center ha postato foto che mostrano le salme e i mezzi dei servizi medici di emergenza all’aeroporto di Tripoli. Inutile la richiesta della vedova di Failla che aveva negato il permesso per fare gli esami autoptici in Libia. Appresa la notizia, si era rivolta alla Farnesina per avere chiarimenti. L’Unità di crisi le aveva risposto che si trattava di esami superficiali. Le autorità di Tripoli hanno invece chiarito che l’autopsia è stata approfondita, anche per cercare i proiettili che hanno ucciso i due italiani.

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وصلت يوم أمس إلى مطار امعيتيقة جثث الإيطاليين الذين قُتلوا في مدينة صبراتة في المواجهات الأخيرة مع داعش ومعهم أيضا ستة ج…

Pubblicato da ‎المركز الإعلامي صبراتة – Sabratha Media Center‎ su Mercoledì 9 marzo 2016

Le salme dei nostri due connazionali rapiti e morti in Libia sono state bloccate a Tripoli per problemi procedurali relativi al rimpatrio dei due corpi, ovvero c’era la chiara volontà del governo locale di effettuare l’autopsia sui cadaveri. I corpi dei due tecnici italiani della Bonatti sono state trasportate via elicottero all’aeroporto Metiga di Tripoli.

LEGGI ANCHE IL RIENTRO IN ITALIA DI GINO POLLICARDO E FILIPPO CALCAGNO

Il dolore delle famiglie
Le famiglie dei due ostaggi italiani che sono morti in Libia hanno rotto il silenzio: ”Ora aspettiamo solo il ritorno a casa del corpo di nostro padre. Lo Stato ci deve dire la verità sulla sua morte”, dice Stefano Piano, figlio di Fausto Piano, tecnico sessantenne di Capoterra (Cagliari) ucciso in Libia con il collega Salvatore Failla, per la cui morte è invece intervenuta la vedova Rosalba Castro, rilasciando alcune interviste in cui si mostra visibilmente provata dai tragici eventi delle ultime ore.

Non abbiamo nominato nessun legale, quello che chiediamo in questo momento sono solo le risposte alle nostre domande. Ci devono spiegare cosa è accaduto veramente e perché mio padre ed il suo collega sono morti. Non abbiamo potuto riabbracciarlo da vivo, l’unico nostro pensiero adesso è poterlo riavere presto a casa per dirgli addio dignitosamente”, conclude Stefano Piano – il figlio di Fausto Piano in una dichiarazione pubblicata dal quotidiano L’Unione Sarda.

Anche la moglie di Failla chiede verità e giustizia: ”Mi devono spiegazioni”, e a proposito dei due connazionali tornati vivi dalla Libia”Sono felice per loro che sono rientrati a casa a riabbracciare i loro cari. Noi questa fortuna non l’abbiamo avuta. Mi fa stare male però che la liberazione sia avvenuta a 24 ore di distanza. Lo Stato ha fallito”, ha detto la vedova del tecnico italiano. ”In questi mesi le istituzioni ci sono state vicine, alcune persone del ministero degli Esteri ci hanno supportato giorno e notte . Grazie a loro io sono qui a parlare. Non si sa niente perché ancora si deve capire ciò che è successo. Queste spiegazioni dovrebbero arrivare, le hanno promesse. Me le devono. A Salvo lo devono”, e poi ha concluso: ”Non voglio che l’autopsia venga fatta in Libia perché non è rilevante. Non c’è nessuno che valuti ciò che viene scritto o se venga falsificato qualcosa”. E sul messaggio di cordoglio di Mattarella, Rosalba Castro, vedova di Salvatore Failla, uno dei due tecnici italiani uccisi in Libia si è espressa duramente: ”Non ha valore per me quel messaggio lì, non vale niente. Mi dispiace dirlo, ma non vale niente. Non mi tocca, dovevano portarmelo vivo, non volevo le condoglianze. Dovevano fare il possibile per salvarlo“.

Lo Stato italiano deve una risposta di verità a Rosalba Failla”, fa eco l’avvocato della donna, Francesco Caroleo Grimaldi: ”Ancora non è stata data una risposta: non si sa chi deteneva i nostri connazionali, non si sa se ci sono stati dei passaggi o se c’è stato un effettivamente un intervento dell’Isis. Non si sa in quale modo e da chi sono partiti i colpi che hanno colpito Salvatore Failla. Non si sa neanche se si riuscirà ad evitare l’autopsia, che la signora Failla avverte come un oltraggio”. E conclude: ”So che la signora Failla si è sentita con il ministro Gentiloni, che le ha detto che lo Stato si sarebbe mosso per evitare questo sfregio dell’autopsia in Libia. Si sta cercando di accelerare il rientro in patria delle salme”.

La morte di Salvatore Failla e Fausto PianoL’ipotesi più probabile è che Salvatore Failla e Fausto Piano siano morti durante l’attacco a un convoglio dei loro rapitori che li stavano spostando da un luogo all’altro: il furgone su cui viaggiavano sarebbe stato colpito dalle milizie di Tripoli. A tradirli sarebbe stato l’autista del furgone su cui viaggiavano a luglio, quando furono rapiti. Mohammed Yahia, questo il nome, secondo la ricostruzione dell’inviato del Corriere della Sera, avrebbe organizzato il rapimento per consegnare gli ostaggi italiani a uno zio, legato a cellule terroristiche.

Anche in questa versione, si parla di riscatto: una parte sarebbe stata pagata, ma verso la fine del 2015, con il peggioramento della situazione in Libia, non sarebbe più stata sufficiente, forse perché gli ostaggi sarebbero stati venduti ai terroristi dell’Isis o a milizie a loro vicine. A quel punto, i 4 connazionali sarebbero stato divisi in gruppi da due. Di loro si perdono le tracce fino ai primi di marzo, quando Failla e Piano cadono vittime di un assalto al furgone dei loro rapitori a Sabrata.

Gli inquirenti italiani intanto si stanno muovendo, con la Procura di Roma che ha già un fascicolo aperto sul rapimento dei 4 italiani in Libia. Stando a quanto si apprende l’inchiesta per omicidio è a carico di ignoti.

Il sequestro dei 4 tecnici della Bonatti era stato tenuto sotto silenzio ma era noto che i rapiti fossero nelle mani di milizie locali, criminali comuni che usano i sequestri a scopo di lucro. Nei mesi scorsi la situazione degli italiani rapiti pareva andare verso una risoluzione. Se e come siano finiti nella mani dell’Isis è ancora oggetto di indagine.

Secondo quanto riportato da un testimone libico all’Ansa, i due ostaggi sarebbero stati usati come “scudi umani” dagli jihadisti dell’Isis durante gli scontri con l’esercito avvenuto a Sabrat. In mattinata il profilo facebook libico “Febbraio al Ajilat-2″ aveva diffuso la notizia della presenza di italiani tra gli jihadisti libici, con l’immagine di un uomo con la barba bianca. Diversa la versione riportata dall’Adnkronos secondo la quale i due connazionali sarebbero stati uccisi per vendetta da parte dei miliziani dell’Isis dopo lo scontro armato avuto con l’esercito a Sabratha.

Kati Irrente

Giornalista per vocazione, scrivo per il web dal 2008. Mi occupo di cronaca italiana ed estera, politica e costume. Naturopata appassionata del vivere green e della buona cucina, divido il tempo libero tra musica, cinema e fumetti d'autore.

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